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(22 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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Lì, periferia: Iran, Iraq, Siria... Qui, metropoli. Lotta a tutto campo contro l'imperialismo

(18 Gennaio 2020)

unione solidale secondo il nucleo

Abbiamo letto il volantino fatto dai compagni dell’OCI (organizzazione da cui ci separammo ormai 13 anni addietro) sugli eventi scatenati dall’azione terroristica americana il 2 di gennaio. Si tratta di una presa di posizione netta, chiara, diretta. La linea dello schieramento di classe (Qui nella metropoli, nella periferia) vi è tracciata in maniera inequivocabile. Senza indugio lo pubblichiamo e diffondiamo come “cosa nostra”.

In particolare segnaliamo all’attenzione dei nostri “fedeli” la giusta attitudine del documento a sottolineare e valorizzare i colpi inferti all’imperialismo (che esso si sforza di occultare o minimizzare) ad opera dello Stato borghese iraniano (a cui ne sono seguiti altri da parte di combattenti irregolari iracheni, del tutto e non per caso silenziati dai media mainstream). Si scandalizzi chi vuole, ci sta bene il filo da torcere dato all’imperialismo dal popolo oppresso. Lo Stato borghese iraniano come quello dell’Iraq ed altri (dai cui apparati i comunisti rivoluzionari devono mantenere la più assoluta indipendenza politica ed organizzativa) certamente non possono dare la risposta adeguata – ossia lo scatenamento della guerra di classe in tutta l’area – alla protervia del Mostro imperialista. Né mai la potranno dare: ben sappiamo che la borghesia e il suo Stato schiacciato dall’imperialismo anche e perfino quando è decisa a replicare al Mostro coi missili, inquadra tale azione militare dentro una politica complessiva indirizzata alla ricerca del compromesso, al dialogo coi grandi concentramenti di potere capitalistico dentro le cui contraddizioni tenta di inserirsi e “sistemarsi” in un preteso e illusorio “nuovo ordine mondiale più giusto ed equilibrato”. Insomma: anche quando i borghesi (della potenza oppressiva contro quelli che vi si oppongono) si tirano addosso al tempo stesso trattano, come detto e spiegato sinteticamente ma esemplarmente dal Che Fare n. 12 1988 (ripubblicato su queste pagine in calce ad un nostro precedente intervento) alla cui linea di schieramento ci colleghiamo ed esortiamo i compagni tutti a riferirsi.

Rimane per noi valido ed attuale il criterio stabilito dalla nostra corrente storica:

« Si tratta di cogliere il senso storico della vicenda (nell’articolo si parla dell’appoggio dei comunisti rivoluzionari ai movimenti nazional-borghesi, nello specifico caso – 1860 – il moto di liberazione nazionale polacco ma, appunto, qui dobbiamo sapere cogliere il senso storico, non contingente della questione, ndr) che due volte si nega: avanti operai di Varsavia al fianco del borghese per negare il potere zarista, perché altra via non vi è offerta per negare il potere borghese. Cercate – pure essendo molto difficile – di dare al borghese una mano, ma di non pensare, ciò malgrado, col suo cervello. Il determinismo è il gioco di miriadi di unità e di forze nel campo mondiale, non una adesione ottenuta con la colla tra azione, volontà, coscienza, pensiero di ciascuno…» (sottolineatura nostra, ndr)

Ancora:

«Quindi nessun militante del partito comunista ricostruito potrà, in dottrina, esentarsi dal capire come diverso sia lo schieramento sociale ed il rapporto delle forze in un paese come ad esempio la Cina e in quelli del capitalismo di occidente, e debbano attendersi diversi processi e sviluppi di lotte, nel quadro sempre più unito, per fatti della base economica, del mondo moderno.

Non potrà esentarsi dall’intendere come influisca sui rapporti delle forze, anche tra i blocchi imperiali in conflitto latente, l’utilizzazione delle spinte anti-imperialiste nei popoli di colore, dando luogo a ben diverse valutazioni delle conseguenze del prevalere dell’uno o dell’altro.


(…) Occorre accorgersi che nei paesi moderni restano zone di piccoli contadini che ancora chiusi fuori dal girone mercantilistico si tramandano stimmate antiche, che il girone moderno ha cancellate in tutti gli abitatori di città, miliardari o pezzenti, e costituiscono come Marx disse una vera razza di barbari in un paese avanzato – avanzato nella sua orribile civiltà. Tuttavia anche questi barbari potrebbero diventare, contro essa civiltà, uno dei proiettili della rivoluzione che la deve sommergere.

Occorre accorgersi che oltremare, nei paesi gialli, neri e olivastri, vivono sterminate collettività di uomini che svegliati dal fragore del macchinismo capitalista, sembrano aprire il ciclo di una loro lotta di libertà, indipendenza e patriottismo, come quella che ubriacava i nostri nonni, ma entrano invece come fattore notevole nel conflitto delle classi che la presente società reca nel suo seno, che più e più a lungo sarà soffocato, tanto più ardente divamperà nel futuro».


I passaggi sopra riportati sono scritti nel 1953 (da: “Pressione ‘razziale’ del contadiname, pressione classista dei popoli colorati”, Programma Comunista n. 14/1953) ed a nostro giudizio il senso storico di cui “occorre accorgersi e saper cogliere” è esattamente il criterio che informa il nostro schieramento incondizionato dalla parte dei paesi e dei popoli oppressi dall’imperialismo, e da cui non deflettiamo. Non vi è oggi certamente in nessuna parte di un globo interamente avvinto alla forma borghese e capitalistica (dagli Stati Uniti d’America … all’Uganda), a differenza del … 1860 o del 1953, alcuna sopravvivenza “di retaggi o di ritorni feudali” contro i quali il proletariato debba “dare una mano” (sempre nel senso dialettico … “per negare il potere borghese” indicato nel testo del 1953) ad una giovane borghesia anelante “di libertà”. Rimane però ed anzi si accentua in forme intollerabili, il giogo della dominazione imperialista apposto al collo dei popoli e del proletariato delle periferie, doppiamente oppresso (dall’imperialismo e dalla propria borghesia), il quale pur entrando nel combattimento volto a farlo saltare sotto il controllo e la direzione delle forze nazional-borghesi, vi deve entrare “pensando col suo cervello” per usare l’espressione dell’antico documento sopra citato.

I fatti che ci scorrono sotto gli occhi, che ci coinvolgono e che con passione intensa stiamo vivendo sono di portata storica. Solo molto vagamente siamo oggi in grado di intuirne l’impatto devastante sull’ordine capitalistico mondiale: milioni di uomini, milioni di oppressi si sono disposti, sia come sia, al combattimento. Nei momenti di massima tensione finora vissuti dall’inizio dell’anno, una Forza enorme si è levata, dimostrando di non temere le armi più terribili brandite dal Mostro per terrorizzarle. E questa enorme Forza potenziale ha spaventato non solo le centrali e le cancellerie imperialiste ma anche le stesse borghesie nazionali, per quanto esse stesse l’abbiano suscitata non accettando di mettersi in ginocchio e di baciare gli stivali dei padroni del mondo i quali, incassati i colpi, certamente si predispongono ad usare sadicamente tutti i mezzi ed i poteri che detengono nelle loro mani per disperderla, per scongiurare che una tale energia potenziale si trasformi in energia cinetica rivoluzionaria.

Questo scontro di energie e di forze di portata storica, presto o tardi – più presto che tardi noi crediamo – dilagherà dentro le nostre società metropolitane. Non vi è nessuna “Svizzera” in cui pensare e illudersi di rintanarsi. Nessuna “neutralità” è possibile nella guerra di classe a scala internazionale di cui è in effetti tassello lo scontro in atto nei campi di battaglia mediorientali.

Compagni tutti, ovunque collocati o dispersi, fate vostra la chiamata allo schieramento di classe che in maniera esemplare il documento qui riportato ci trasmette!

17 gennaio 2020
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A fianco della resistenza delle masse lavoratrici
iraniane e dell’intero Medioriente!


Il 2 gennaio 2020 gli Stati Uniti hanno assassinato in Iraq, a Baghdad, il generale iraniano Qassem Suleimani.

Questo assassinio è solo l’ultimo atto della criminale guerra che da decenni gli Usa e i paesi europei, con politiche parzialmente diverse, stanno portando avanti contro i popoli del Medioriente e del mondo musulmano, per saccheggiarne le ricchezze naturali e soprattutto per schiavizzarne i lavoratori, o direttamente nei loro paesi nelle fabbriche affiliate alle multinazionali o qui in Europa come immigrati supersfruttati.

Questa guerra di oppressione e di saccheggio è stata scandita negli ultimi anni da continue banditesche aggressioni economiche e militari: le sanzioni contro l’Iraq, poi i bombardamenti contro l’Iraq e l’occupazione neo-coloniale del paese, le sanzioni contro l’Iran, la distruzione della repubblica libica di Gheddafi, i tentativi di disgregazione della Siria attuati con l’aiuto di forze mercenarie locali, l’assedio infernale mantenuto permanentemente da Israele contro il popolo palestinese, i raids aerei di Israele in Libano e in Siria contro le forze popolari non disposte a piegarsi all’ordine del dollaro e dell’euro…

Popoli e sfruttati che non intendono piegare la testa.

Di fronte a questo brigantesco rullo compressore, le masse lavoratrici del Medioriente hanno cercato e stanno cercando di difendersi. A Gaza, in Libano, in Siria, in Iraq, in Iran, nella penisola arabica. L’esigenza di arginare un nemico onnipresente, l’Occidente imperialista, sta spingendo gli sfruttati dell’area a superare gli steccati nazionali e religiosi che li dividono e a coordinare le loro resistenze in un unico fronte dall’Iran a Gaza e allo Yemen.

Questa resistenza proletaria si sta intrecciando con altre due spinte di diversa natura sociale, ma altrettanto spinose per i piani di dominio dell’Occidente: da un lato, la spinta della classe dirigente iraniana, che non intende diventare una marmaglia borghese al soldo degli Usa, come avveniva ai tempi dello scià; dall’altro lato, la spinta della borghesia cinese, che vuole continuare a scalare posizioni nelle gerarchie capitalistiche mondiali e che, a tal fine, ha bisogno di accedere al petrolio mediorientale, di stabilire fruttuose relazioni di affari con i paesi dell’Asia centrale e del Medioriente, soprattutto con Teheran.

Gli Usa mirano ad affossare tutto ciò. A tal fine vogliono gettare nel caos la regione mediorientale, isolare economicamente e militarmente l’Iran e, da lì, prendere alle spalle la Cina, per mettere le mani sulla gallina dalle uova d’oro costituita dalle masse lavoratrici della Cina.


Il generale iraniano Suleimani era uno dei principali dirigenti del tentativo di formare un fronte di resistenza popolar-borghese trans-nazionale e trans-religioso contro la manomissione statunitense ed europea dell’area. È questa la colpa che gli rimproveravano gli Usa e la Ue. È questo il motivo per cui Washington e Bruxelles lo avevano etichettato come terrorista. È questo il motivo per cui l’amministrazione Trump lo ha voluto eliminare. È questo il motivo per cui le masse lavoratrici dell’Iran e del Medioriente hanno giustamente visto nell’assassinio del generale un colpo lanciato contro se stesse, contro la propria irriducibile aspirazione al riscatto nazionale e sociale.

L’Italia e gli altri paesi europei non hanno approvato l’atto di guerra di Trump, ma solo perché ritengono più vantaggioso, per imporre il loro pieno controllo sulla manodopera e sulle risorse dell’area, seguire una tattica diversa, basata sulle pressioni economiche, sulle manovre ordite dietro le quinte dai loro contingenti militari in Medioriente, sul sostegno ai settori delle borghesie mediorientali disposte a piegarsi al volere dei signori del mondo. Il governo italiano e gli altri governi europei concordano però con Trump sul punto fondamentale: deve essere vietato ai popoli dell’area di resistere alla dittatura dell’Occidente e al terrorismo di stato occidentale. Prova ne sia, se ce fosse bisogno, la criminale condanna da parte del governo italiano e di Bruxelles della sacrosanta risposta con cui, l’8 gennaio 2020, l’Iran ha colpito due basi statunitensi e occidentali in Iraq. Prova ne sia il rifiuto del governo italiano di accogliere le richieste del governo iracheno, del governo iraniano e dei popoli dell’area di ritirare i contingenti militari occidentali dall’Iraq e dagli altri paesi mediorientali.

La guerra in Medioriente riguarda anche i lavoratori dell’Occidente, autoctoni e immigrati.


I lavoratori italiani, europei ed occidentali hanno interesse a respingere il patto avvelenato offerto dai loro governi.

Questi ultimi danno ad intendere che, se i lavoratori italiani, europei ed occidentali sosterranno le loro politiche di soffocamento della resistenza dei popoli e delle masse lavoratrici mediorientali, potranno guadagnare qualche briciola dal banchetto che i finanzieri e gli industriali occidentali imbandirebbero in caso di vittoria sulla pelle degli sfruttati del mondo musulmano. La partecipazione oceanica ai funerali del generale Suleimani ha mostrato che i popoli e gli oppressi mediorientali non si lasceranno spellar vivi senza combattere, senza portare la guerra anche in Occidente, senza costringere anche i lavoratori occidentali a pagare un prezzo di sangue devastante, che potrà riservare qualche briciola solo a una selezionata minoranza e lacrime e sangue alla larga maggioranza.

I lavoratori dell’Italia e dell’Occidente, autoctoni e immigrati, hanno invece interesse a sostenere incondizionatamente la resistenza delle masse lavoratrici mediorientali, qualunque sia la bandiera politica e religiosa che esse sono al momento costrette a impugnare per non arrendersi. Perché solo insieme ai fratelli di classe mediorientali, solo costruendo un fronte di lotta comune con loro, i lavoratori dei paesi occidentali potranno difendersi da un nemico, l’imperialismo, che, pur se in forme e misure diverse, opprime gli uni e gli altri.

La solidarietà incondizionata e militante alla resistenza degli sfruttati mediorientali anche soltanto da parte di una ristretta minoranza di lavoratori qui in Europa e negli Stati Uniti avrebbe un enorme rimando sullo scontro in Medioriente: darebbe forza ai tentativi con cui gli sfruttati mediorientali stanno cercando di superare gli steccati nazionali e religiosi che ancora li dividono e che sono coltivati ad arte dall’Occidente, come è emerso ad esempio lo scorso anno con la contrapposizione in Siria tra arabi e curdi e turchi; renderebbe meno insidioso il tentativo dei paesi occidentali di strumentalizzare a loro favore, con la collaborazione degli strati sociali borghesi locali affittati all’imperialismo, le proteste popolari contro il carovita che ci sono state nei mesi scorsi in Iran, in Iraq e in Libano; renderebbe meno difficile per gli sfruttati mediorientali aprirsi la strada verso una politica antimperialista realmente efficace, svincolata dalla “moderazione” delle attuali direzioni anti-imperialiste, anche di quella iraniana, e dall’illusione di poter contare nello scontro con la crociata imperialista sul sostegno della Russia o della Cina. Per quanto le borghesie russe, cinesi e iraniane abbiano interesse ad opporsi ai piani degli Usa e dell’Occidente in Medioriente, esse temono e sono incapaci di mettere in campo e di organizzare l’unica forza in grado di disarticolare e tagliare alle radici la mano rapace dell’imperialismo: la lotta unitaria delle masse lavoratrici del Medioriente dietro un programma di coerente unificazione di classe!

Per il ritiro delle truppe italiane e occidentali dal Medioriente!

Per l’unità di lotta internazionale e internazionalista fra i lavoratori occidentali, gli immigrati dal Sud del mondo in Europa e negli Stati Uniti e le masse lavoratrici del Medioriente!


11 gennaio 2020

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

NUCLEO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

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