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Stefano Gugliotta

Stefano Gugliotta

(11 Maggio 2010) Enzo Apicella
Dopo che le tv hanno trasmesso il video di Stefano Gugliotta che viene pestato immotivatamente dalla polizia e poi arrestato per "resistenza a pubblico ufficiale", il capo della polizia Manganelli "dispone una ispezione".

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Contro la repressione delle lotte di difesa economica e sociale

(31 Gennaio 2020)

il manifesto del partito comunista

Non vogliamo ripetere la cronaca: i ripetuti episodi di aperta persecuzione (poliziesca, giudiziaria, mediatica) dei lavoratori impegnati in coraggiose lotte di difesa economica fuori e contro il sindacalismo istituzionale, dei sindacalisti S.I. Cobas che li organizzano e di tutti coloro che, come noi, hanno espresso solidarietà attiva e operante – la stessa solidarietà che esprimiamo, anche quando ci dividono differenti concezioni politiche, a tutti quei militanti che, per l'occupazione di case d'abitazione e di spazi sociali o l'opposizione alla devastazione dei più diversi territori o l'aiuto umanitario prestato ai migranti, subiscono la medesima repressione. Questa repressione è solo l'espressione particolare di una più generale condizione di oppressione (economica, sociale, politica) organizzata tramite lo Stato dalla classe che inquadra e sfrutta la nostra forza-lavoro: la borghesia.
I governi che si alternano da un'elezione all'altra sono solo “comitati d'affari” che garantiscono la migliore efficienza dello Stato: uno degli organi la cui funzione politica è di meglio coordinare gli altri in modo che lo Stato possa agire da capitalista collettivo. Nei periodi in cui l'economia è al culmine della sua espansione, lo Stato può tollerare una lotta rivendicativa anche radicale e utilizza per il suo controllo lo strumento del sindacalismo istituzionale per mantenere i bisogni dei lavoratori nel quadro delle compatibilità dell'economia nazionale: l'organo dello Stato deputato all'uso di questo strumento sono i partiti borghesi che si spacciano per rappresentanti degli interessi dei lavoratori e deviano l'energia potenzialmente eversiva delle lotte verso l'illusione di riforme che possano migliorare “una volta per tutte” la condizione di lavoratori salariati. Ma l'illusione dura poco: all'espansione segue la crisi, da cui il Capitale pensa di uscire riducendo “il costo del lavoro” e intensificando lo sfruttamento: tutto quello che era stato strappato con le lotte viene “ripreso con gli interessi”, e per di più fioccano i licenziamenti. I padroni “rompono i patti” e il sindacalismo istituzionale e i “partiti dei lavoratori” elaborano non solo le leggi che, in nome dell'economia nazionale, tagliano salari, stipendi, pensioni, peggiorando le nostre condizioni di vita, ma anche e soprattutto quelle volte a reprimere tutte le lotte che minacciano di sfuggire al loro controllo. Lo Stato assicura la continuità del dominio borghese in modo democraticamente dittatoriale o dittatorialmente democratico, a seconda delle necessità di contenere le potenzialità rivoluzionarie della nostra classe, alternando le forme con le quali mantenerci schiavi e utilizzando comunque sempre i “partiti operai”, i partiti riformisti.
Ma allora che cosa possiamo e dobbiamo fare?
Con la forza dei fatti, dobbiamo “spiegare con pazienza” ai nostri fratelli di classe che – per quanta determinazione si metta nelle singole vertenze, per quanta solidarietà si riesca a ottenere da chi è già comunque costretto alla lotta contro la borghesia – per resistere si deve cercare di allargare ed estendere le lotte, coinvolgendo con obiettivi comuni e praticabili il maggior numero di lavoratori, occupati e disoccupati. La prospettiva dev'essere quella della ripresa e della generalizzazione delle lotte di difesa economica, con metodi, contenuti e forme organizzative che tendano a rompere gli interessi corporativi delle categorie nelle quali siamo divisi: ripresa e generalizzazione che, non per nostra volontà, purtroppo non sono vicine e, come dimostra proprio la parabola delle lotte cui sono stati costretti i lavoratori oggi perseguitati dallo Stato, procederanno per esplosioni e implosioni, avanzate e rinculi. Eppure, una sola è la strada: la riorganizzazione di un sindacato che sbaragli nei metodi, nei contenuti, nelle forme organizzative, il sindacalismo istituzionalizzato.
La vicenda della moderna lotta di classe in due secoli di storia ha confermato quanto noi comunisti abbiamo proclamato nel Manifesto del Partito Comunista, la nostra dichiarazione di guerra al Capitale: “Ogni lotta economica è una lotta politica”, anche se non immediatamente rivoluzionaria. Questo non vuol dire che al sindacato si debba attribuire una funzione politica da “partito operaio” o che dal sindacato (o, peggio, dalle lotte) possa nascere l'ennesimo “partito operaio”, o ancora che il sindacato possa essere un surrogato, “per mancanza di soggetto politico”, del partito rivoluzionario, come troppo spesso si lascia sfuggire la dirigenza dei S.I. Cobas. Al contrario, ogni scontro che nasce per difendere le nostre condizioni di vita e di lavoro non si esaurisce sul solo terreno del confronto fra “Padrone” e “Operaio”, ma assume una dimensione nella quale solo la forza sociale extra- e anti-istituzionale può (deve) imporre allo Stato significativi benché transitori vantaggi. Lavorare perché rinasca un'organizzazione permanente di difesa economica e sociale che abbia la forza di rompere ogni legame dei lavoratori con lo Stato (come, per esempio, il finanziamento tramite prelievo sulla busta-paga, la pratica del cosiddetto “distacco sindacale”…) è già di per sé un atto politico, oggi come domani, capace di allenare la nostra classe allo scontro con la borghesia.
Risulta dunque velleitario e demagogico promuovere appelli contro questa o quella “legge antipopolare” – o peggio, contro questo o quel “governo antioperaio” – , perché così si alimenta l'equivoco che lo Stato sia uno strumento di mediazione degli “interessi di parte” in nome del più generale vantaggio della Nazione, e che abbia, nel “governo” (espressione del “Parlamento liberamente eletto a suffragio universale dal popolo”), un “centro direzionale” libero d'agire a favore o contro le “istanze dei lavoratori” – tesi cara tanto al riformismo nazionalsocialista dei tramontati PSI-PCI e loro diretti discendenti (“entrare nella stanza dei bottoni”) quanto al riformismo armato (“colpire il cuore dello Stato Imperialista delle Multinazionali”). Prospettare poi un “fronte anti-capitalista” che riunisca “tutti” in un carrozzone di sigle aventi, per minimo comun denominatore, una “lista di lamentele”, nell'illusione che la semplice unione numerica si traduca in una forza capace, con abili manovre ed espedienti tattici e con un atto di volontà, di invertire l'attuale tragico momento storico controrivoluzionario, non è solo velleitario e demagogico: è un autentico boicottaggio (non importa se frutto di entusiasmo, buona fede, o piuttosto di narcisistico personalismo!) del processo di crescita di un'autentica consapevolezza politica rivoluzionaria della nostra classe.
Non ci sono scuse e non esistono scorciatoie. L'unica politica possibile, per chiunque senta il bisogno di andare oltre la banale necessità di una lotta contro il governo, per passare alla guerra senza tregua contro il regime della borghesia, è quella rivoluzionaria. Il Partito comunista internazionale (Il programma comunista) esorta tutti i lavoratori, che usino le mani o il cervello, occupati o meno, femmine e maschi, di qualsiasi lingua ed età, oppressi e perseguitati dal mostro del Capitale ma desiderosi di agire per la preparazione rivoluzionaria del proletariato, a unirsi a esso nella dura opera del restauro dell'organo rivoluzionario di classe: il Partito Comunista Mondiale.

Partito comunista internazionale
Il programma comunista – Kommunistisches Programm – The Internationalist – Cahiers internationalistes

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