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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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L'indecente balletto intorno ai decreti-Salvini

(21 Febbraio 2020)

vogliamo tutto si cobas 3

Al governo Conte-bis dal giorno in cui è nato è stata attribuita l'intenzione, o almeno il compito, di mettere mano ai decreti-sicurezza scritti da Salvini su dettatura dei boss della logistica e di altre bande del padronato. Se ne è sentite di tutti i tipi: cambiarli, superarli, stravolgerli, abolirli, cancellarli – i due ultimi termini sono stati rilanciati anche dalla vuota demagogia dei portavoce delle sardine. Fatto sta che 6 mesi dopo sono ancora lì, intatti. La ministra Lamorgese si è vantata perfino di avere espulso dall'Italia più immigrati irregolari del predecessore - il che è vero. Dunque su questo fronte c'è, ad oggi, piena continuità tra il Conte-uno e il Conte-bis, che anzi è più operativo e efficiente del primo. Con una sola variazione: la metodica redistribuzione in Europa degli emigranti sbarcati dalle navi delle Ong – esattamente quello che pretendeva Salvini dall'UE...
Nonostante ciò, a settimane alterne, ritorna il battage: ragazzi, finalmente si mette mano ai decreti-Salvini. E via ad un altro giro delle solite chiacchiere: cambiarli, superarli, stravolgerli, abolirli, cancellarli... Alcuni giornalisti di Repubblica sono tra i più esagitati. Lanciano per aria parole pesanti: civiltà, etica, discriminazioni “da abbattere” (addirittura!). Di cosa parlano in realtà questi critici dei decreti-Salvini? Gira e rigira, parlano quasi esclusivamente delle multe alle Ong o della confisca delle loro navi – e cioè degli stati e dei gruppi di interesse non proprio umanitari che stanno dietro molte di queste navi, il cui ruolo è mettere un po' di fard sul volto dei grandi trafficanti di schiavi: gli stati europei. Parlano, poi, di qualche permesso umanitario in più, e di poco altro. E la loro critica a Salvini e agli altri esponenti dei governi di ieri e di oggi non è di avere promosso una studiata politica anti-proletaria, ma di essere stati e di essere troppo deboli nell'assecondare il proprio “popolo”, come se il razzismo non fosse anzitutto un affare di stato, e non fossero proprio quelli che sono sul ponte di comando ad aizzare il “popolo”.
L'ipocrisia di costoro occulta il fatto che i due ultimi decreti-sicurezza Cinquestelle-Lega non si sono occupati solo, né principalmente, di Ong o di protezione umanitaria. Sono serviti anzitutto a potenziare le strutture di detenzione amministrativa per gli immigrati e ad indurire le misure repressive e punitive nei loro confronti, arrivando fino alla revoca della cittadinanza – in tal modo hanno acuito la criminalizzazione dell'intero mondo dell'immigrazione proletaria. Nello stesso tempo hanno sferrato un durissimo colpo al diritto di sciopero e di manifestazione, inasprendo le pene per i blocchi stradali, i picchetti, le occupazioni di case, l'uso dei caschi e dei fumogeni nei cortei, la resistenza a pubblico ufficiale, e quant'altro. Sulla scia dei decreti-Minniti, i decreti-sicurezza del Conte-1 hanno trasformato i conflitti sociali e sindacali in una questione di ordine pubblico, da regolare con le maniere forti (vedi la legalizzazione delle pistole taser) e l'azione immediata della magistratura. Che, infatti, spinta da questo tipo di legislazione, ha rispolverato in diverse città pacchi d'inchieste tenuti a lungo nei cassetti, comminando condanne e pesantissime multe. Quella scure della “giustizia” che mai cade sul collo dei potenti, si sta abbattendo su tutte le lotte degli ultimi anni: scioperi della logistica, movimento No Tav, iniziative anti-militariste e di difesa degli immigrati, occupazioni di case, lotte dei disoccupati, proteste dei pastori, e perfino gesti meramente simbolici. Se questo non bastasse, ecco la sequenza dei fogli di via, obblighi e divieti di dimora, daspo, avvisi orali, misure di sorveglianza per colpire le lotte anche in via preventiva secondo le procedure tipiche del ventennio fascista. E molto spesso le prefetture, le questure, i tribunali fanno riferimento ad una legge del 1948, piuttosto che ai decreti-sicurezza – quindi a una legislazione ordinaria che nel secondo dopoguerra servì a reprimere la lotta di quella parte della classe operaia che aspirava a regolare i conti con l'intera classe capitalistica, e non solo con il fascismo, ed ora serve a stroncare sul nascere il ritorno in campo di una prospettiva anti-capitalista coerente, favorito da un'interminabile crisi. Materia di riflessione per quanti ancora oggi continuano a contrapporre la “democrazia progressiva nata dalla Resistenza” alla democrazia autoritaria e liberticida di oggi.
Come è stato denunciato efficacemente nell'assemblea nazionale contro la repressione indetta a Roma dal SI Cobas lo scorso 8 febbraio, il disegno repressivo organico che si è espresso nei decreti-sicurezza va di pari passo con l'intensificazione dei mezzi e delle prassi repressive sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nella società. A cominciare dai soprusi quotidiani di capi e capetti fino al diffondersi dei meccanismi di controllo elettronico sui lavoratori nei luoghi di lavoro, ai pedinamenti fuori dagli orari di lavoro con il ricorso a agenzie investigative allertate per tallonare i lavoratori che usufruiscono di permessi speciali, alla moltiplicazione delle misure punitive per avere “screditato” la propria azienda, etc. Del resto, le mega-imprese di ultima generazione, da Google ad Amazon a Ryanair, da Uber a Tesla, sono rigorosamente contro la presenza di sindacati in azienda. Per rendere ancora più chiara la cosa, in Italia Amazon ha reso pubblico che recluterà di preferenza manager con esperienza di comando militare. In ultima analisi, il fulcro della repressione di stato e padronale è – in Italia e in Europa (nel Sud del mondo è diverso) – limitare al massimo il diritto di sciopero e di organizzazione sui luoghi di lavoro, e più in generale la libertà di organizzazione dei lavoratori, senza per ora vietarli formalmente. Il T. U. sulla rappresentanza del gennaio 2014 è il prototipo di questa tendenza.
Perciò chi non vuol fare della critica ai decreti-Salvini una semplice carnevalata a fini elettorali, deve confrontarsi con questi processi. E portare la propria denuncia a tutto campo della repressione padronale governativa e statale verso la massa dei lavoratori autoctoni e immigrati, e verso la massa degli studenti, sempre più coinvolti attraverso gli stage obbligatori, l'ingresso dei militari nelle scuole e la mini-naja, in un processo di disciplinamento che li prepara per tempo a “fare il proprio dovere” in quanto futuri soldati al servizio del capitale.
Non saranno le possibili limature alle penali delle Ong operanti nel Mediterraneo, né l'eventuale concessione di qualche permesso umanitario in più, non sarà l'elemosina di 3 euro in più per i pasti ai richiedenti asilo, a modificare realmente la condizione di centinaia di migliaia di proletari e proletarie immigrati costretti alla irregolarità, alla marginalità, al super-sfruttamento, dalle leggi e dalle politiche dello stato italiano e dell'Unione europea. Potrà esserlo solo una battaglia di massa per la regolarizzazione incondizionata di tutti gli “irregolari” con un permesso di soggiorno europeo a tempo indeterminato, e per la chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa (quelli nati con la Turco-Napolitano, mai dimenticarlo!). Allo stesso modo, l'impegnativa azione di contrasto all'insieme delle misure che attaccano il diritto di sciopero e di organizzazione dei lavoratori, e il diritto a manifestare, non può essere lasciata alle singole realtà colpite: richiede un patto d'azione contro la repressione sostanziato non di buone intenzioni, ma di concrete iniziative di lotta. Una vera, forte campagna per la cancellazione dei decreti-sicurezza Salvini e Minniti e per la depenalizzazione dei reati collegati alle lotte sociali, sindacali e politiche è tutta davanti a noi, al di là della buona riuscita della iniziativa dell'8 febbraio. Sulla sua effettiva messa in atto si misurerà la coerenza di tutti tra il dire e il fare.
Ai compagni che sono scettici sull'agitazione di questi obiettivi in quanto considerati da loro troppo parziali, ricordiamo che, ci piaccia o no, siamo in una fase di difensiva, e con rapporti di forza a noi decisamente sfavorevoli. La risalita da tale condizione richiede un'accumulazione di forze che può avvenire soltanto attraverso una catena di battaglie “parziali”, le più ampie possibili, collegate tra loro da un disegno unitario: almeno fino a quando non esploda un nuovo grande ciclo di lotte che ci consenta di tornare all'offensiva – un'eventualità che non dipende certo da noi. Ed anche allora, quando potremo porci obiettivi ben più ambiziosi di quelli attuali, dovremo fare i conti con le battaglie “parziali”.
La repressione della lotta di classe all'interno, poi, è tutt'uno con il crescente impegno militare esterno dello stato italiano, rivendicato di recente dal ministro della difesa, il Pd Guerini – un impegno volto, soprattutto nell'area medio-orientale, a controllare e reprimere, d'intesa con la NATO, le sollevazioni in corso nel mondo arabo, aiutando i regimi contestati da queste sollevazioni a restare in sella, costi quel che costi. Tutto si tiene nell'offensiva padronale-governativa-statale. Tutto deve tenersi anche nella risposta militante ed internazionalista di classe.

20 febbraio

SI Cobas nazionale
Il Cuneo rosso – GCR – Pagine marxiste
Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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