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I doveri dell’Europa e le priorità per sconfiggere il coronavirus in Italia

(12 Marzo 2020)

La situazione in Italia diviene sempre più drammatica. In questo momento, mattina del 12 marzo, sono oltre dodicimila i contagiati ufficiali di coronavirus, e oltre 800 i morti. Si può essere quindi ragionevolmente certi che tra domani e dopodomani questi ultimi supereranno i mille, cioè, in pochi giorni, la terza parte di quelli che ha contato la Cina da novembre ad oggi, ossia, in oltre quattro mesi. Il che significa, se il calcolo matematico è qualcosa in più di un semplice punto di vista, che verosimilmente si sta andando ben oltre quel 3 per cento di esiti infausti che, si è detto, nel caso peggiore, dovrebbe inchiodare statisticamente il virus. Da lettore di storia, partirei allora da una constatazione: che è l’Asia a dare lezioni di civiltà all’Europa e non viceversa. Non è in effetti la prima volta, e lo vedremo dopo.
Sappiamo come hanno reagito alcuni ambienti italiani all’infuriare del coronavirus in Cina. Abbiamo letto tutti delle dichiarazioni di Zaia e di altri, degli insulti, dei pestaggi, delle cacce all’«untore orientale». Sembra un tempo remoto ma, è bene sottolinearlo, è storia di appena 10-15 giorni fa. E abbiamo visto come hanno reagito i cinesi quando hanno compreso l’aria che tirava nel Paese: compostamente e senza animosità hanno abbassato le serrande, hanno apposto cartelli di chiusura temporanea, per ferie o per altro, e sono spariti dalla circolazione, rintanandosi in casa, o sono ritornati nelle loro terre d’origine, in attesa di tempi migliori. Adesso, il primo focolaio globale è l’Italia, e la Cina, invece di agire di conseguenza, risponde con un gesto di grande signorilità, di civiltà a prescindere. Un gesto unico, a ben vedere.
Oggi è stato annunciato ufficialmente che questo Paese sta facendo arrivare in Italia mille macchinari per la ventilazione respiratoria, un team di esperti super specializzati, formatisi sul campo, quantità ingenti di mascherine, tamponi e tute. È appunto quello che, più di ogni altra cosa, occorre oggi all’Italia. È, contestualmente, quel che più occorre all’Europa, mentre quest’ultima, che si autorappresenta come genitrice dei «valori ultimi», sta limitandosi, come si apprende giorno dopo giorno, a chiudere le frontiere al nostro Paese, in maniera tanto ermetica quanto inutile, dimostrando di non possedere un’idea sufficientemente lucida di quel che sta avanzando.
In realtà, non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Le epoche passate di simili lezioni, dell’Asia all’Europa, ne hanno offerto tante, basta sfogliarne le pagine: dalle aperture dei khanati di Cina alle missioni cristiane, in particolare francescane, dopo il tempo dei grandi conflitti del XIII secolo, all’esperienza esemplare del Mathma Gandhi, negli scenari dell’India coloniale, nella prima metà del secolo scorso. Ma la situazione di oggi testimonia purtroppo che l’Europa, e il cosiddetto «Occidente» in senso lato, stanno mancando di quella lungimiranza storica e civile di cui pure si sentono maestri.
La Cina sta insegnando una cosa fondamentale, che tuttavia non si percepisce appieno nel dibattito politico-istituzionale in Europa. Sta insegnando in particolare che, come ben sanno i vigili del fuoco, per spegnere l’incendio occorre dirigere il getto d’acqua alle basi, nei punti generativi della combustione. Nel caso cinese il punto generativo e di maggiore irradiazione del virus è stato localizzato nella provincia di Hubei, che conta oltre 60 milioni di abitanti (più o meno come l’Italia), e in particolare nel capoluogo Wuhan, megalopoli di oltre 11 milioni di abitanti. L’azione di spegnimento più decisa e imponente è stata indirizzata perciò, correttamente, in quest’area. Gli esiti li conosciamo. Il fuoco dell’incendio coronavirus è stato tagliato e il paese intero ne sta uscendo vincente. Ebbene, non ci vogliono genialità particolari per comprendere che oggi l’Italia è la Hubei dell’Europa e il Nord Italia ne è la Wuhan. Ma se l’intera Cina, area ben più estesa e popolosa dell’intera Europa, ha saputo dirigere sapientemente i propri «idranti» nella provincia di Hubei, e in particolare negli agglomerati immensi di Wuhan, impiegando tutte le forze, fino allo stremo, come dimostra la costruzione di diversi ospedali in pochi giorni, l’Europa si sta muovendo, come dire, "politicamente": un po’ come il senato romano che discuteva mentre la città di Sagunto veniva espugnata dai Cartaginesi.
Sia detto con chiarezza: non bastano gli stanziamenti, tutto va commisurato ai tempi disponibili, che in questo frangente non sono di mesi o anni, bensì di giorni. Occorrono allora atti, risorse umane, tecnologie e strumenti sanitari, come nei terremoti: occorrono team di esperti specializzati, migliaia di respiratori, milioni di mascherine, soprattutto per le categorie sociali più a rischio, se necessari, prefabbricati, per allargare il numero di posti letto disponibili. E occorrono subito.
I 25 miliardi di certo sono importanti e serviranno nei prossimi mesi e nei prossimi anni per riparare i danni immensi prodotti dall’infezione, ma in questi giorni la priorità assoluta rimane quella di spezzare le fiamme in Italia. Occorrono mezzi, tecnologie, donne e uomini. Occorrono in sostanza l’Europa e i consessi internazionali. Necessita l’aiuto delle Nazioni civili (civili per davvero!), e non il loro sbarramento. Non si tratta, è il caso di ribadirlo, di una emergenza solo italiana. L’Italia è l’epicentro di una emergenza europea e, a conti fatti, globale. Si dimostri allora di essere coerenti e lungimiranti.

Carlo Ruta (storico e saggista)

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