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La peste

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(23 Novembre 2010) Enzo Apicella
“La Peste”. Un libro-inchiesta denuncia le infiltrazioni camorristiche nel ciclo dei rifiuti, le convenienze della politica e gli interessi della massoneria

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CONTRO LA NUOVA PANDEMIA CAPITALISTICA

(26 Aprile 2020)

Editoriale del n. 88 di "Alternativa di Classe"

oms

Quello che in Italia sicuramente dovrebbe continuare per tutto questo mese, fino al 3 Maggio (in virtù del D.P.C.M. dello scorso 10 Aprile), è stato chiamato “lockdown”, cioè “confinamento”. La maggioranza della popolazione continuerà a “restare a casa”, per impedire, o almeno rallentare, il contagio da coronavirus. Questa misura, denominata “distanziamento sociale”, è ad oggi l'unica assodata per contrastare la diffusione della pandemia, qui come in tutto il resto del mondo.
Del nuovo virus, il COVID-19, infatti, si sa ancora poco, salvo il fatto che risulta molto contagioso e di per sé (relativamente) poco letale. E' l'incerto approccio con l'iniziale epidemia, che l'ha trasformata in pandemia, senza che l'organizzazione mondiale capitalistica sia riuscita ad attuare ovunque sufficienti misure di protezione. Le differenze dei dati di contagio e di decessi tra i vari Paesi, e tra le stesse regioni, derivano, a meno di caratteristiche del virus ancora non individuate e studiate, dalle differenze negli accertamenti svolti e nei loro conteggi, nelle dotazioni di presidi igienico-sanitari e nelle modalità di contrasto in base alle dotazioni tecnico-scientifiche dei diversi sistemi sanitari.
Sono poche le conoscenze messe in comune dall'organizzazione capitalistica degli Stati sulla tutela della salute, per la quale, invece, rimane fondamentale, come per ogni attività, il profitto. La Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fatica a fare rispettare ovunque gli stessi principi da essa individuati. Accanto al “distanziamento sociale”, OMS raccomanda, infatti, una precoce “individuazione dei casi” di contagio, non sempre attuata, ed anche la presenza di “asintomatici”, ad esempio, è stata individuata con forte ritardo. Si è verificato, poi, che nei guariti vi sono “anticorpi neutralizzanti”, ma non si sa ancora quanto duri la relativa immunità.
Nel senso della diagnosi precoce va una recente richiesta firmata qui in Italia da ben 100mila medici “di tutte le specialità, e di tutti i servizi, territoriali e ospedalieri”, tramite una “lettera aperta”, con cui chiedono un potenziamento territoriale per il riconoscimento dei primi sintomi e la possibilità di prescrivere farmaci ed esami clinici ai pazienti in “sorveglianza attiva” domiciliare, che spesso restano per 10-15 giorni in attesa. Tale “mappatura degli asintomatici”, oltre a contribuire a prevenire una “seconda ondata” di contagi, potrebbe rappresentare una alternativa qualificata all'uso della applicazione informatica “Immuni”, già deliberata (peraltro prodotta da una società vicina alla famiglia Berlusconi), per il tracciamento dei movimenti di ognuno, che dà comunque adito ad inquietanti preoccupazioni sulla privacy e la libertà di movimento.
Le esperienze dei numerosi precedenti storici di epidemie influenzali nel mondo, dalla “spagnola” del 1918-'20, con i suoi 50 milioni di morti, alla “asiatica” del '57-'58, a quella “di Hong Kong” del '68-'69, alla “suina” del 2009-'10, fino alla “aviaria”, con passaggio del virus dall'animale all'uomo, e sua relativa mutazione in agente patogeno, hanno indotto l'OMS a prevedere la redazione di Piani nazionali periodici, da capillarizzare, per affrontare le epidemie e le stesse pandemie. Quello italiano, redatto nel 2006, è stato modificato nel 2016.
Nel Settembre '18 l'OMS aveva presentato, però, in pubblico il suo 13° programma generale di lavoro, con un “Piano strategico quinquennale 2019-'23”. Tale Piano si concentrava su dieci (10) tematiche, la prima delle quali era denominata “Inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici”, dato che risulta che 9 persone su 10 nel mondo respirano aria inquinata ogni giorno (si è tenuta la prima “Conferenza globale sull'inquinamento atmosferico” dell'OMS a Ginevra dal 29 Ottobre al 1 Novembre '18). Dopo il secondo punto, che riguarda le “Malattie non trasmissibili” (diabete, cancro e malattie cardiache), responsabili del decesso del 70% della popolazione mondiale, il terzo punto riguardava la “Pandemia influenzale globale”, alla quale si stabiliva di prepararsi da subito, pur non sapendo quando avrebbe colpito.
Dopo lo scoppio dell'epidemia di SARS in Cina nel 2003, in risposta ad alcuni problemi nella sua gestione a livello mondiale, l'OMS prevedette una revisione (poi sottoscritta da ben 196 Paesi) del Regolamento Sanitario Internazionale, uno strumento giuridico che avrebbe dovuto "garantire la massima sicurezza contro la diffusione internazionale delle malattie, con la minima interferenza possibile sul commercio e sui movimenti internazionali, attraverso il rafforzamento della sorveglianza delle malattie infettive mirante ad identificare, ridurre o eliminare le loro fonti di infezione o fonti di contaminazione, il miglioramento dell'igiene aeroportuale e la prevenzione della disseminazione di vettori". Lì si diceva, ad esempio, che “restringere il traffico aereo è controproducente”, mentre la prima misura presa dall'Italia a fine Gennaio era stata proprio il blocco dei voli da e per la Cina.
Anche il SARS-CoV-2, responsabile del COVID-19, è un virus di provenienza animale, che ha fatto “il salto di specie”, e che risulta letale per l'uomo. Tali “salti” avvengono, in primo luogo, per una modifica irreversibile degli habitat naturali, come quelle generate dalla deforestazione, che rompono i relativi equilibri di specie. Tali modifiche, a loro volta, derivano, in Cina come in Brasile, come altrove, dalla estensione delle aree necessarie per gli allevamenti intensivi, legati alla produzione agroalimentare, con una necessità indotta di sempre nuove aree dove produrre cibo per l'esportazione, e non certo per i bisogni umani, dato che, nonostante l'aumento della popolazione sulla Terra, il cibo, senza lo spreco che ne fa il capitalismo per motivi di mercato, sarebbe sufficiente per tutti.
Tutto l'impianto necessario per fronteggiare una pandemia, ai livelli finora noti, già richiede un grande impiego di risorse, sia economiche, che umane, sia sul piano della ricerca e della prevenzione, che sul piano organizzativo e della cura, mentre, come noto (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 87 a pag. 2), la sanità, perlomeno quella pubblica, rappresenta la cenerentola dei bilanci statali nei Paesi imperialisti, Italia in primis, ed ancora di più nella maggior parte dei Paesi dipendenti, dato il fatto che si tratta di spese non remunerative per il capitale, ed è tra i principali settori candidati ai tagli di bilancio, sempre da sacrificare al “debito sovrano”...
Visto quanto sopra, nessun Paese al mondo aveva seguito fino in fondo le raccomandazioni dell'OMS, ed, ancora meno, era preparato a fronteggiare l'epidemia, che non poteva non trasformarsi prima o poi, nell'era del capitalismo “globalizzato” dei mercati, in pandemia. E' così che i Paesi colpiti, tra cui l'Italia, privi o con una presenza sottodimensionata di reparti di “terapia intensiva” (come quelli necessari per la “polmonite virale”), hanno dovuto ricorrere comunque, in misura maggiore o minore, al “distanziamento sociale” per rallentare il contagio. A livello lavorativo, oltre ad adottare, dove possibile, lo “Smart working”, hanno dovuto chiudere, pur riluttanti per le ripercussioni sulla commercializzazione dei prodotti, e quindi sul capitale nazionale, le attività produttive, assolutamente impreparate ad un simile rischio.
I contagi e i decessi sono aumentati e si sono diffusi in tutto il globo, e dove non si sono ancora registrati si tratta di sporadiche eccezioni. Tra sistemi sanitari in forte sofferenza, dove spesso la buona volontà degli operatori ha, talvolta e in parte, supplito alle deficienze ed alle carenze delle strutture. In Paesi, come l'Equador, che peraltro sta vendendo un terzo della propria foresta amazzonica alle compagnie petrolifere cinesi, ed in cui la sanità pubblica è praticamente inesistente, i morti vengono raccolti dall'esercito in sacchi di plastica e gettati tra i rifiuti, se non direttamente bruciati in strada, mentre negli stessi Stati Uniti, secolare “faro” della “civiltà occidentale”, come in Brasile, cadaveri di poveri, senza accesso alle cure, sono stati buttati in fosse comuni.
Certamente le scarse conoscenze sulla specificità di questo coronavirus hanno colto di sorpresa l'intero pianeta, ma i livelli di collaborazione, che occorrerebbero sul piano internazionale, nella realtà non raggiungono neppure la cooperazione fra Stati, promossa dall'OMS. Gli USA, ad esempio, già da Ottobre '19 avevano dichiarato di ridurre unilateralmente del 53% il loro contributo di finanziamento alla ricerca coordinata dell'OMS, anche se D. Trump, pur nella sottovalutazione degli effetti del virus, è stato il primo ad interessarsi alla commercializzazione del prossimo vaccino!
Sulla opportunità di una adeguato sistema di cura e/o della messa a punto di un efficace vaccino, il dibattito sul piano scientifico è aperto, e già in molte parti del mondo sono stati avviati studi su entrambe le ipotesi, ma la concorrenza fra i colossi farmaceutici mondiali è fortissima, e non è detto affatto che la scelta avverrà sulla base del mero interesse degli ammalati, piuttosto che sugli interessi economici delle multinazionali del farmaco.
Dal punto di vista sanitario, occorrerebbe mettere a frutto le misure necessarie prese finora, indipendentemente dall'andamento delle varie “curve epidemiche”, dalla attendibilità molto parziale, e che, peraltro, a livello dell'intero pianeta, sono ancora in fase di aumento esponenziale. Le dotazioni supplementari, in termini di risorse umane e strumentali, andrebbero innanzi tutto completate e stabilizzate, oltre che per le più che probabili “seconde ondate” di diffusione di questo virus, ben lontano dall'essere debellato, anche per il fatto che lo stesso OMS ha rivelato che di virus potenzialmente patogeni per l'uomo, in grado di ripetere il pericoloso percorso del SARS-CoV-2, ve ne sarebbero almeno novecento (900).
Sulle scelte dei comportamenti dei singoli Stati rispetto ai principi cardine di contrasto alle pandemie, promossi dall'OMS, in questi primi mesi di COVID-19 vi sono state differenze enormi, legate allo scontro di interessi economici, in primis quello del continuare la produzione, per il primato del PIL nazionale e dei profitti privati, cui i governanti di ogni tipo e colore risultano comunque molto sensibili, indipendentemente dalla questione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, sempre più centrale, invece, per la classe operaia.
Gli USA, dopo l'iniziale sostanziale negazionismo di D. Trump, all'inizio di questo mese hanno battuto il record di morti in un giorno per coronavirus, detenuto fino ad allora dall'Italia, e volano verso il milione di contagiati, con il primato mondiale di casi accertati. Anche lì si è dovuto procedere al “lockdown”, sulla scorta delle prime risposte di lotta dei lavoratori, con le fabbriche divenute centri di contagio. Dopo averne annunciato “il picco” per i giorni intorno alla Pasqua, nonostante la riscontrata ulteriore crescita di contagi e decessi, D. Trump, oltre tutto con dieci milioni di disoccupati in due settimane, è ben presto passato a caldeggiare la riapertura delle fabbriche ed il ritorno alla produzione.
In vista delle elezioni, previste in USA per il prossimo Novembre, il Presidente, messo a tacere un suo collaboratore critico, l'immunologo Fauci, prima ha scaricato le responsabilità del “lockdown” sui governatori dei singoli Stati, poi è passato a sostenere apertamente “provvidenziali” manifestazioni per la “riapertura”, ed infine la ha fissata proprio per il 1° Maggio. Nello stesso tempo, ha cominciato a tutti i livelli ad accusare il Paese rivale di sempre, la Cina, di tutte le responsabilità sulla pandemia, ben oltre il vero ritardo nell'informazione, riesumando le illazioni sul “biolaboratorio” di Wuhan (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 87 a pag. 1), fino, addirittura, a non farsi scrupoli di parlare di negligenza e pressapochismo dello stesso OMS, che avrebbe “coperto” la Cina, arrivando ad “ insabbiare informazioni e dati sulla diffusione dell’epidemia”.
Alle posizioni prese dall'imperialismo americano, che continua a riscontrare previsioni catastrofiche per la propria economia, si stanno accodando, ognuna a suo modo, anche Gran Bretagna e Francia, mentre la strategia dell'imperialismo cinese, di fronte ad una flessione della propria economia calcolata finora al 6%, appare essere quella di una sorta di “via della seta” sanitaria, che consiste nello stringere legami su un piano non solamente commerciale. Lo scontro interimperialista non si ferma nemmeno di fronte a quella che viene individuata, anche sul piano economico, come la peggiore crisi dopo la Seconda Guerra Mondiale.
E mentre la prima previsione globale di metà marzo scorso della Organizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.) prevedeva, stante la “crisi da coronavirus”, un incremento di disoccupati nel mondo a fine 2020 di 25 milioni di persone, a inizio aprile, in piena recessione conclamata dal F.M.I., gli occupati a rischio di licenziamento o di drastica riduzione di orario (e, quindi, di salario) sono stati stimati dalla stessa O.I.L. in ben 1,25 miliardi di persone, a parte i nefasti riflessi sull'economia informale, sulla quale vivono altri due miliardi di individui. Con quanto ne potrebbe derivare in termini di produzione, commercio e profitti.
E' per questo che lo scontro tra i pescecani imperialisti sarà, a dir poco, feroce, mentre lo stesso permanere nel mondo dei rapporti sociali capitalistici non potrà non richiedere, in ultima analisi, un coinvolgimento delle classi subalterne. Le difficoltà di una strategia comune sul piano internazionale da parte del capitale, che non sia lo scontro permanente, sia sul piano politico, che, ancor di più, su quello direttamente economico, ed anche militare, non appaiono tanto poche. Eppure è evidente che la lotta al COVID-19, per essere davvero efficace sul piano sanitario, richiederebbe livelli di cooperazione ancora maggiori, che il sistema capitalistico non è certo in grado di garantire.
Se davvero fosse esaurita la “prima fase” della pandemia, l'apertura di una “fase 2” richiederebbe sul piano sanitario, secondo l'impostazione dell'O.M.S., la capacità di isolare e circoscrivere i nuovi focolai, che certamente si produrranno. E' per questo che la corsa verso una “fase 2” a tutti i costi, che si sta manifestando in tutti i Paesi imperialisti, non appare troppo lungimirante neanche rimanendo in un'ottica capitalistica. Ma per lorsignori, lo sappiamo, il “medio termine” su cui ragionare è già troppo lontano, anche quando si corre verso il baratro...
Questa pandemia, che, finché incontrollabile, può colpire tutti, in modo indiscriminato, e non dà punti di riferimento precisi nemmeno ai potenti del mondo, a parte un dorato isolamento personale, che peraltro non può continuare indefinitamente, sta invece facendo emergere ovunque l'identità degli interessi proletari, primo fra tutti l'interesse alla salute, da perseguire senza fare sconti a nessuno. Occorre, infatti, vigilare per non far passare come necessità di prevenzione e cura provvedimenti che limitino l'agibilità sociale e politica dei proletari, né accettare l'aumento delle forme di controllo sociale, non ultima la massiccia digitalizzazione a senso unico in arrivo, sviluppando e praticando, in modo intransigente, obiettivi comuni di lotta sul piano internazionale. E' urgente, prima che anche il COVID-19 divenga un loro ulteriore e potente strumento.

Alternativa di Classe

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