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Ventiquattro ore senza di noi

Ventiquattro ore senza di noi

(1 Marzo 2010) Enzo Apicella
Sciopero generale dei lavoratori migranti

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Non solo la sanatoria. La posizione di Rifondazione sulla regolarizzazione

(10 Maggio 2020)

Ordine del giorno approvato all’unanimità dalla Direzione Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, 6 maggio 2020

no one is illegal

Sulla proposta di regolarizzazione delle donne e degli uomini migranti il governo dà i numeri. Mesi fa dal Viminale trapelava l’ipotesi di una “sanatoria” limitata a coloro che lavorano nell’agricoltura, spesso ancora, nonostante leggi contro lo sfruttamento mai applicate, costretti a subire il caporalato e il lavoro nero. Poi tale richiesta, considerate le frontiere chiuse con gli altri paesi comunitari, da cui giungeva manodopera stagionale, è divenuta più pressante coinvolgendo chi è presente senza documenti e che proviene soprattutto dall’Africa sub sahariana ma soltanto nel settore agricolo. Di colpo, una dichiarazione della ministra Bellanova ha fatto intravedere la speranza di una regolarizzazione più ampia, riguardante almeno 600 mila persone, toccando anche altre nicchie economiche come quella del lavoro di cura affidato alle donne e questo ha portato a reazioni negative di una parte della compagine governativa. Nel frattempo sono state avanzate diverse proposte da parte di sindacati, di base e confederali, movimenti antirazzisti, associazioni di diverso tipo, per affrontare il tema con un comune approccio estensivo del provvedimento. Come Partito della Rifondazione Comunista abbiamo aderito alle proposte che riteniamo più significative, seguendo il lavoro dell’assemblea “Sanatoria Subito”, che si è riunita più volte via web, il percorso dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, ASGI e le iniziative di lotta messe in atto soprattutto nei comparti della agricoltura e della logistica. Quello che dobbiamo far prevalere è un punto di vista politico, che riguarda soprattutto un segmento di classe a cui sono negate gran parte delle poche garanzie rimaste ai lavoratori e alle lavoratrici autoctoni. Occorrono però alcuni elementi di chiarezza che spesso mancano nel discorso pubblico:

1) Delle circa 700 mila persone presenti in Italia senza documenti, pochissime/i sono quelle/i la cui “irregolarità” è legata al mancato riconoscimento del diritto d’asilo o di altra forma di protezione. Molte e molti sono presenti da anni, se non da decenni e spesso hanno perso il diritto a restare nel paese a causa della disoccupazione. Questo è il meccanismo imposto dalla legge Bossi Fini che non permette quasi mai di regolarizzare la propria presenza avendo in mano un contratto. Dobbiamo spiegare, spesso anche ai militanti del nostro partito che entrare in Italia regolarmente e cercare lavoro è impossibile. L’ultima sanatoria risale al 2009, poi con gli effetti della crisi, sono stati in tanti e tante a essere licenziati e a non poter trovare un’altra assunzione. Una forza lavoro a cui è rimasta come unica opportunità il lavoro nero, l’invisibilità nelle case o nei campi, uno sfruttamento intensivo che ha rasentato spesso lo schiavismo.

2) Se, come sembra emergere da quanto finora trapelato, i provvedimenti di messa in regola avranno carattere temporaneo e dipenderanno dal datore di lavoro riteniamo entrambi i requisiti inaccettabili. La permanenza, soprattutto in una fase di emergenza sanitaria ben lontana dall’essere conclusa, deve essere svincolata da un contratto di lavoro, deve al limite definire un periodo ampio di regolarizzazione per attesa occupazione e soprattutto deve immediatamente garantire l’iscrizione anagrafica e al SSN. Ad inoltrare la richiesta di regolarizzazione debbono essere poi i richiedenti. Questo per evitare che datori di lavoro o intermediari, come in passato è già accaduto più volte, facciano pagare a chi lavora le spese di regolarizzazione o che impongano avvalendosi di un potere pressoché assoluto, condizioni di lavoro e di salario non compatibili con i contratti nazionali.

3) Qualsiasi forma di sanatoria/regolarizzazione dovesse venire attuata, pur rappresentando un passo in avanti verso una apertura a condizioni di parità nel mondo del lavoro, è da sola un provvedimento tampone. Rifondazione Comunista considera tali provvedimenti come passo necessario ma non sufficiente per ripensare ad un nuovo testo unico sull’immigrazione, ad una riforma della legge sulla cittadinanza che preveda anche il diritto di voto, ad una condizione di regolarizzazione a regime di chi vive in questo paese basata non solo su un rapporto lavorativo ma anche sulla presenza di legami affettivi, parentali o sociali, di una stabilità costruita, all’abrogazione della miriade di “decreti sicurezza” che hanno determinato gerarchie e diseguaglianze insormontabili, incompatibili con il dettato costituzionale.

Nell’adoperarsi per giungere ad una regolarizzazione senza condizione di chi è presente o arriva nel Paese, Rifondazione Comunista si impegna ad agire affinché, in maniera sempre più netta, emerga l’importanza di valorizzare l’impegno di tanti uomini e donne giunti da ogni parte del pianeta che, rischiando tutto, fanno quello che spetterebbe ad ogni comunista. Praticare il conflitto di classe.


odg proposto dalla Segreteria nazionale

rifondazione.it

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