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25 Aprile

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(25 Aprile 2010) Enzo Apicella

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(Ora e sempre Resistenza)

Noi partigiani, Memoriale della Resistenza italiana, a cura di Gad Lerner e Laura Gnocchi

Milano, Feltrinelli, 2020, pp. 327, € 19.00.

(14 Giugno 2020)

noi partigiani bis

I partigiani sono vecchi da sempre; erano già vecchi nel Luglio ‘60: “son morti come vecchi partigiani” recita infatti il brano Per i morti di Reggio Emilia. Un generazione, quella resistenziale, anziana per aver vissuto ed essere stata in qualche modo protagonista del passato, di un’epoca, come quella del Regno d’Italia, del Fascismo e della Seconda guerra mondiale, che non si è ripetuta. Giovane, nuovo, aldilà delle valutazioni, è tutto ciò che è venuto dopo, dal Boom economico in poi, sino ad oggi, quasi senza soluzione di continuità. È stata la generazione di cui, poi, si è sentita maggior urgenza di salvaguardare il vissuto e la memoria e che non si immaginava sarebbe stata ancora in vita nel 2020. La prima generazione, tra quelle giunte a noi, a sedere sui banchi d’imputazione della magistratura, nell’epoca del monocolore democristiano, ma già da prima, e poi della storia o, almeno, d’una visione della storia approssimativa e strumentale, frutto del mutato quadro socio-politico. Ogni operazione di spostamento dell’asse politico ed istituzionale verso soluzioni reazionarie o autoritarie ha sentito difatti l’impellente bisogno di scardinare, dapprima, il portato della Resistenza, per il suo valore simbolico, epico: il frangente che, tutto sommato, nell’Italia contemporanea ha più assomigliato ad una rivoluzione. Un fenomeno di riscrittura - detto uso politico, o pubblico, della storia - di per sé maldestro, da sempre presente, ridondante, già a Lotta partigiana in corso, ma che negli ultimi decenni, in particolare negli ultimi tre, ha trovato accoglienza nelle istituzioni. Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, l’istituzione del Giorno del ricordo, nel 2004, e ciò che ne è seguito. Un fenomeno per fronteggiare il quale si è avvertita l’esigenza di raccogliere il testimone, la testimonianza, e che ha portato ad una, ormai considerevole, produzione di lavori cartacei e audiovisivi. Una produzione di cui, ad ora, è difficile quantificare il portato e cioè le ricadute in termini di contrasto al revisionismo strumentale. Verrebbe da essere pessimisti ma fermare e documentare le esistenze partigiane è stato ed è un compito storiografico quanto civile ed umano da cui sarebbe immorale sottrarsi.

Il volume, voluminoso, in oggetto rassomiglia per propositi e realizzazione a due precedenti sortite: Io sono l’ultimo, Lettere di partigiani italiani (Einaudi, 2012), che, come questa, si è avvalsa del circuito Anpi, ed Eravamo come voi, Storie di ragazzi che scelsero di resistere (Laterza, 2015), di Marco Rovelli, qui recensita.
Noi partigiani è uscito ad aprile, in pieno lockdown Covid19 (se ne parla nelle premesse), a ridosso del 75° anniversario della Liberazione. Presenta 50 testimonianze tra le 417 raccolte dall’aprile dello scorso anno sino al gennaio di questo. Ne è sortita un’opera corale di indubbia intensità ed altamente divulgativa.
Viene grossomodo coperto territorialmente tutto il Paese. Nelle qualifiche, alla diminuzione dei combattenti partigiani, per ragioni anagrafiche, si registra un prevalenza delle staffette, così come la presenza degli Internati militari italiani, o anche, in qualche caso, di testimoni attivi del periodo. I nomi sono noti in fin dei conti solo per una piccola parte, alcuni per i loro incarichi pubblici, politici e culturali, altri perché ormai da diverso tempo si stanno impegnando a divulgare la vita, loro e altrui. Politicamente c’è tutto lo spettro delle tendenze e delle aspirazioni che hanno animato l’Antifascismo ed il partigianato. Curiosi i destini, laddove riportati, tra Gustavo Ottolenghi, che poi compie la discutibile, per essere eufemistici, scelta di andare a combattere per Israele, e Mario Fiorentini, che nella Resistenza romana collabora certo con l’Oss, futura Cia, ma che poi si impegnerà, coerentemente con il dettato resistenziale, sul fronte antimperialista sostenendo la causa vietnamita.

I curatori hanno, chiaramente, selezionato le parti da pubblicare, facendo un ottimo lavoro di cernita. In ogni racconto c’è quanto basta, quanto serve. Non c’è inutile retorica o pienezza di sé, né si recitano messe cantate.
Le riflessioni su ciò che è stato ed è sono dense di dolce malinconia che non è tristezza, disincanto che non è rassegnazione.

Silvio Antonini

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