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VOGLIONO RILANCIARE IL CAPITALE:
RILANCIAMO LE LOTTE!

(17 Giugno 2020)

Editoriale del n. 90 di "Alternativa di Classe"

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Mercoledì 3 Giugno sono cadute le barriere per gli spostamenti da una regione all'altra, e molti commentatori hanno parlato già di “Fase 3”. In realtà, dal punto di vista sanitario ed epidemiologico non è affatto superata la “Fase 2”, dal momento che non vi sono ancora né un vaccino e né una cura validati e riconosciuti, in grado di debellare l'infezione. Certamente qui in Italia non vi è più la emergenza sanitaria dei mesi scorsi, legata, com'era, alla complessiva inadeguatezza del sistema a fare fronte al Coronavirus, anche per il calo del numero di casi oggi rilevati.
Trattandosi, però, di pandemia, va considerata la curva dei contagi nel mondo: essa continua a crescere, avvicinandosi ora agli 8 milioni di persone, e, per giunta, con un massimo assoluto giornaliero rilevato il 13 Giugno, mentre la situazione europea, in diminuzione, risulta un'eccezione rispetto a tutti gli altri continenti, che stanno registrando una crescita più o meno rapida. E' questo il principale dato che non può di certo rassicurare nessuno. Nemmeno dei “sovranisti” onesti, dato che il virus non si ferma ai confini.
A ciò si aggiunga il fatto che il numero di test sulla popolazione non cresce, come invece dovrebbe, per realizzare uno screening sanitario significativo ed efficace, e che la spinta delle imprese a “rimettere al centro” la produzione e il PIL si riflette sugli orientamenti dei media, dai quali le notizie sui lavoratori in genere, compresi gli stessi “eroi” della sanità, verso i quali permane soltanto la retorica, tendono ora a scomparire.
Dopo le energiche lamentele su di una “insufficienza” del Decreto Rilancio del 19 Maggio (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 89 a pag. 4) per l'industria nazionale, ed i successivi richiami al Governo, da parte del neo-presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, per ripristinare con urgenza tale centralità, ormai non si parla che di “Fase 3”, privilegiando le esigenze “dell'economia”. Il termine per approvare la legge di conversione del Decreto, con i possibili emendamenti, è il 18 Luglio, e l'attivismo di Bonomi ben presto aveva fatto registrare colloqui diretti con il Commissario per gli Affari europei, Roberto Gentiloni, e con il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.
Tutto ciò ha sortito la indizione da parte del Presidente del Consiglio, G. Conte, degli “Stati Generali dell'Economia”, una altisonante iniziativa, che dovrebbe durare dieci giorni, con l'intento dichiarato di “raccogliere le idee delle parti sociali”, ed anche delle associazioni di categoria e delle “singole menti brillanti”, su di un Piano di “rinascita nazionale”. Sono stati avviati la mattina di Sabato 13 a Villa Pamphili a Roma, con la significativa presenza, in videoconferenza, dei vertici delle istituzioni UE, a partire dalla Presidente della Commissione europea, U. Van der Leyen, ma anche di FMI, OCSE e BCE, nella persona della Presidente, C. Lagarde.
Le istituzioni UE già da tempo hanno deciso diverse forme di sostegno ai Paesi più colpiti dal COVID-19 (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 89 a pag. 3), tra cui l'Italia, per un totale di più di mille miliardi di Euro, compresa l'attuale versione del Fondo salva-Stati dell'ormai famoso (più di nome che di fatto) MES, insieme alla sospensione del Patto di Stabilità, vista l'eccezionale emergenza. Poco interessante ci pare qui soffermarci sulla polemica, sollevata da M. Salvini e G. Meloni, sul MES, la cui prima versione istitutiva era stata approvata a suo tempo proprio dal Governo Berlusconi IV (di cui Lega e FdI facevano parte!...), e che fu poi sottoscritto dal Governo Monti nel 2012 in un'altra versione.
Attualmente la discussione con la UE verte, in particolare, sul “Recovery Fund”, uno “Strumento di Recupero e Resilienza”. Si tratta di obbligazioni europee di lungo periodo per 560 miliardi, distribuite secondo piani di rilancio nazionali «anche nell’ottica della transizione verde e digitale e per la resilienza delle economie nazionali, assicurandone il collegamento con le priorità dell’UE». All'Italia sarebbero destinati in tutto 172,7 miliardi di Euro, più degli altri Paesi, in parte a fondo perduto, in parte a prestito agevolato, a partire dalla fine del 2022, ed il 19 Giugno dovrebbe partire il relativo confronto al Consiglio Europeo.
Rispetto a questo fondo, in sostanza, la UE individuerà, nei piani nazionali approvati in coerenza con la impostazione europea, precisi obiettivi da rispettare nel tempo, pena la decadenza dal pagamento della rata successiva. Gestione e responsabilità rimarranno al livello nazionale. Il “Recovery fund”, insieme al MES, è il principale finanziamento europeo per gli Stati, cui vanno aggiunti i finanziamenti direttamente previsti per le aziende, di cui i principali sono il SURE, una cassa integrazione europea, ed il Fondo di garanzia per le imprese. Poi vi sono altri finanziamenti mirati su singoli aspetti, come la sanità, la “green economy”, la digitalizzazione, l'agroalimentare e l'innovazione delle aziende “start up”.
La discussione, anche accesa, tra le forze borghesi sul tipo di finanziamento e sui relativi vincoli per lo Stato italiano risulta poco importante dal punto di vista di classe. La sostanza della questione la ha enunciata proprio il Governatore della Banca d'Italia, I. Visco, quando ha detto, nel suo intervento, che “I fondi europei non potranno mai essere gratuiti...”. Ed è così anche quest'anno, in cui, per la prima volta, il totale delle cifre incassate dall'Italia risulterà maggiore del totale di quanto versato alla UE. Le questioni fondamentali, dal punto di vista di classe, riguardano quale parte toccherà ai proletari e a chi toccherà pagare i costi di questa crisi.
L'attenzione mediatica, in questi giorni è, comunque, polarizzata sugli Stati Generali di Villa Pamphili, che dovrebbero terminare Domenica 21, e quindi dopo il Consiglio Europeo di Venerdì 19. L'iniziativa romana, partita da G. Conte, è stata disertata polemicamente dal centro-destra nostrano, trovando dissensi anche nel Governo: tutte critiche, però, dalla scarsa consistenza. Oltre ai già citati riferimenti europei ed internazionali, alla Confindustria ed ai sindacati ufficiali, “l'ascolto” riguarderà anche le rappresentanze di piccole e medie imprese, dell'artigianato, del “terzo settore”, e via di questo passo, mentre un ruolo importante lo dovrebbe giocare il documento della “Task force” di V. Colao, denominato “Iniziative per il rilancio” per il triennio 2020-2022.
Il documento dell'ex manager di Vodafone enuncia tre “assi di rafforzamento” del Paese, e cioè digitalizzazione ed innovazione, una conversione “verde” dell'economia ed infine “parità di genere ed inclusione”. Tra gli “interventi urgenti” individuati specificamente, danno un assaggio del tenore delle proposte contenute nel Piano, la depenalizzazione per i datori di lavoro in materia di contagio da COVID-19, la stabilizzazione dello “Smart Working”, la riduzione delle sanzioni amministrative e penali per le aziende, il “dialogo preventivo” delle aziende con l'amministrazione finanziaria, sanatorie per il lavoro irregolare e riduzione della contribuzione aziendale per il cuneo fiscale. Tutti interventi, tanto per cambiare, che avvantaggiano le imprese, questa volta anche allargando loro i limiti dei comportamenti legali.
Il documento della “Task force” contiene più di cento iniziative enunciate, e raccomanda le “riforme” di Giustizia, Fiscalità e Welfare, nell'ottica di uno “snellimento” della Pubblica Amministrazione, che dovrebbe diventare “alleata di cittadini e imprese”, rafforzando la competitività di queste ultime. Certamente da un manager non ci si potevano aspettare proposte di miglioramento per i proletari, anche se viene enunciata pure la diminuzione delle “diseguaglianze di genere, sociali e territoriali”!... Ed uno strumento in questo senso potrebbe essere, infatti, il citato “welfare di prossimità”, magari attuato dal “terzo settore”, per il quale si caldeggia il “sostegno all'accesso” di strumenti finanziari, riducendo così l'intervento del sistema pubblico.
Oltre al “Piano Colao”, peraltro incredibilmente criticato da destra perché troppo poco filo-aziende, potrebbe essere presentata anche una bozza direttamente governativa, che pare contenga proposte sul rilancio delle infrastrutture e della “Alta velocità”, per una digitalizzazione diffusa, per la riconversione “green” dell'economia, sulla evasione fiscale e sul fisco in genere. Del resto, gli obiettivi enunciati dal premier, molto in assonanza con quelli dichiarati dalla BCE, sarebbero proprio infrastrutture digitali per l'istruzione e la formazione, energie rinnovabili e modernizzazione della pubblica amministrazione.
Mentre i media leggono gli avvenimenti tutti in chiave di diatribe tra maggioranza e opposizione, nonché all'interno della stessa maggioranza, il “comitato di affari” della borghesia punta a rassicurare i partner europei, per ottenere più finanziamenti, e prima di quanto previsto. Tutto a vantaggio del capitale nazionale, minimizzando agli occhi dei big europei il dissenso legato all'assenza del centro-destra, in realtà tutta, e solamente, funzionale ad un nuovo recupero di consenso elettorale.
In realtà, il primo giorno davanti a Villa Pamphili c'è stata anche una contestazione di segno diverso da quella del centro-destra, che ha visto, fra l'altro, la partecipazione di attivisti del PRC, della Rete dei Comunisti, di Potere al Popolo, del Fronte della Gioventù Comunista e del PCL, oltre che del sindacato USB. Le posizioni espresse dalla maggior parte dei presenti hanno, però, colto solo parzialmente il carattere classista della contrapposizione, quando, ad esempio, lo striscione di PaP, uno dei gruppi promotori, recitava “Contro gli Stati Generali dei prenditori costruiamo l'alternativa popolare”, come se vi fossero “imprenditori buoni” con i quali allearsi, diversi da quelli “cattivi”, definiti “prenditori”.
La sinistra “extragovernativa”, ma sensibile al richiamo della presenza parlamentare comunque, anche nel contesto in cui viviamo, è rinchiusa in un'ottica nazionale, e troppo spesso vede potenziali alleati nella piccola borghesia in quanto tale, cioè in artigiani, professionisti e bottegai, quando non addirittura piccoli imprenditori, mentre si tratta di settori sociali tendenzialmente reazionari, spesso fulcro della base di massa di consenso al capitale. Solo l'approfondirsi della crisi potrebbe farli precipitare in una condizione proletaria, ma con la perdita della propria impresa, artigiana o commerciale che sia, quella che centro-sinistra e centro-destra, ma non certo una sinistra di classe, vogliono invece garantire loro!
Dalle impostazioni ideologiche anche di certa sinistra proviene l'ottica di presunte future coalizioni di governo nazionale, più o meno “favorevoli ai lavoratori”, se non semplicemente unite con presunte “forze sane”, a tutela del “vero” interesse nazionale, magari contro l'Europa, vista come nemica, solo perché, in realtà, concorrente. La situazione internazionale di crisi, insieme alle condizioni europee dello sviluppo della pandemia, impongono, invece, con urgenza la scelta di una visione alternativa, classista ed internazionalista. Una visione della condizione della classe sfruttata che esca dagli angusti limiti nazionali, che peraltro si rivelano sempre più una gabbia, non può che mostrare nelle concretezze l'identità degli interessi operai, come di tutti i proletari, a partire, ad esempio, dalla difesa della salute sul posto di lavoro e fuori.
Il piano che l'Italia, pur nell'ambito europeo, sta costruendo, e che a breve sarà varato, è del tutto responsabilità del capitale nazionale, ed è in primo luogo contro di esso, tutto quanto, e senza sconti, che si dovrà dirigere l'opposizione di classe, rifiutando ogni divisione di etnia, età, sesso o religione all'interno del proletariato. Gli Stati europei, ognuno servo del proprio capitale nazionale, faranno pagare salato ai proletari che lavorano nel proprio Paese i finanziamenti ricevuti, indipendentemente da quanti ne riusciranno a strappare per i propri bilanci. Si tratta di saldare le lotte sul piano europeo, e non di farsi strumento degli interessi della borghesia del proprio Paese. A partire,

Alternativa di Classe

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