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Sollevare la storia con una leva (in legno)

"La lunga età del legno I paradossi della materia debole e le rotte delle civiltà" di Carlo Ruta, Edizioni di storia e studi sociali, 2020.

(2 Ottobre 2020)

Da girodivite.it

lunga età del legno

“Datemi una leva e vi solleverò il mondo” pare abbia detto Archimede, geometra matematico fisico e ingegnere di Siracusa intendendo con mondo la Terra e probabilmente intendendo la leva come un’asta di legno. Del legno come materiale da costruzione e d’uso fa perno il libro di Carlo Ruta, "La lunga età del legno". Presentato nella suggestiva cornice del Parco archeologico di Leontinoi (a Carlentini), dal direttore del parco, Lorenzo Guzzardi - il 26 settembre 2020, tra i pini e pioppi del viale e la vicinanza degli scavi archeologici della Porta Sud “siracusana” dell’antica città calcidese di Leontinoi. Il libro reca quale sottotitolo significativo: “i paradossi della materia ‘debole’ e le rotte delle civiltà”. Giustamente lo storico Ruta rileva come è cosa tradizionale distinguere le varie fasi delle “civiltà” partendo da un’età della pietra, del bronzo, del ferro - magari arrivando poi all’acciaio e alla plastica contemporanee -, ma poi ci si dimentica di un elemento che ha avuto un’importanza fondativa e decisiva - il legno appunto. Senza il quale non si ha il fuoco, non si ha la ruota, non si ha la navigazione.

Ruta riesce a intrecciare dati storici e archeologici, riflessioni di vasta portata (filosofia su base storica) e osservazioni psicologiche in uno stile denso e ispirato. Il libro di Ruta potrebbe essere l’interessante premessa a quanti oggi si accostano al mondo vegetale con gli occhi dei ricercatori del mondo vegetale (i libri di Stefano Mancuso sono in questo momento imprescindibili), ma anche a chi indaga di archeologia e di storia - con occhio di riguardo per la storia delle comunicazioni tra i popoli e la navigazione - il legno è stato alla base della formazione dei primi regni, che si sono sviluppati attorno ai fiumi e ai laghi; poi degli imperi che hanno fatto il salto, affrontando il mare aperto con il passaggio a tecniche di navigazione più evolute.
“La vicenda umana si è snodata in buona misura come storia fluida, di contatti e di interazioni con il mondo liquido: in primo luogo con i laghi e i fiumi. Essa si presenta allora, per tanti aspetti, come una storia di assimilazione e di ‘domesticazione’ delle acque, che se ha posto in campo una varietà di materiali organici, come canne di papiro, fogliame, paglia, bambù, pelli, tessuti e ossa di animali, ha finito con il convergere e con lo stabilizzarsi solo con l’uso del legno” (pp. 128-129).
Certamente, su questa “storia” il dato storico è spesso ipotetico - ma Ruta non è uno studioso che fa congetture o lancia ipotesi, ciò che scrive ha solide basi e riscontri archeologici e storici -: il legno è un materiale organico che deperisce, possiamo leggere alcune cose solo “in negativo” (ad es. dalle buche lasciate dai pali di legno delle costruzioni neolitiche e oltre). Era la plastica usata dappertutto - solo che in natura esistevano già insetti e batteri pronti a riciclare tale materiale. Tra le osservazioni psicologiche interessanti, quella che riguarda il fiume e il lago quale mezzo di orientamento per gli uomini, fuori dal groviglio della foresta - l’idea della linea e del cerchio (per la matematica) e del “ritorno” (per il mito e per la letteratura).
Nella concretezza del fare, nella sopravvivenza e nel lavoro quotidiano, le popolazioni antiche avevano un sapere molto più vasto e profondo di quanto possiamo noi stessi supporre. Si pensi alla capacità di orientamento dei popoli oceanici, che hanno popolato con semplici piroghe isole sperdutissime senza disporre di bussola, fari né di altri strumenti di navigazione “scientifica” occidentale; la capacità di “sentire il mare” che hanno i pescatori di una certa esperienza. Avvicinandoci all’età “storica” si pensi a quanto poco sappiamo in realtà delle conoscenze di molti dei popoli che noi per eurocentrismo studiamo: non solo i Fenici (le loro navi fatte con il cedro libico arrivate oltre le Colonne d’Ercole e, sotto comando egizio, i primi a circumnavigare l’Africa) e i Greci (il sospetto di Lucio Russo che alcuni greci siano potuti arrivare alle Antille), o i Vichinghi (primi in età “moderna” ad arrivare nel Nord America, sembra una convinzione ormai diffusa). Ma persino dei romani, la cui ingegneria avanzata (prima della cancellazione che ne fece il cristianesimo e la decadenza delle invasioni) permise a Giulio Cesare di costruire in 10 giorni un ponte di 500 metri sul Reno - tutto in legno. O alle strade romane solcate dai carri (di derivazione celtica e gallica).

Con i cambiamenti climatici e la caduta imperiale, la foresta torna in Europa. E da questa foresta piano piano, attraverso i nuovi aratri e il lavoro monacale - e gli spiccioli di scienza che gli europei ricominciarono a masticare grazie alle traduzioni dall’arabo - si ricominciò a uscire: con un’idea nuova di libertà (un po' manigoldesca, come quella degli arcieri di Sherwood) e tornando a solcare il mare. E riutilizzare le foreste per le opere di carpenteria: si pensi a Venezia che metteva a dimora secolare gli alberi delle foreste friuliane, da adoperare per le proprie galee. Fino alla liuteria seicentesca di Stradivari (per usare il legno e farne un violino, l’uso di diversi tipi di legni, provenienti da alberi fatti nascere un secolo prima: dietro un singolo violino, o di una nave, ci sono tre o quattro generazioni di forestali).

L’operazione che compie Ruta con il suo libro allora diventa proprio quella di usare il legno come una leva, per ri-sollevare la storia per provare a vedere cosa nasconde il tappeto, e acquisirne un nuovo spessore, una nuova dimensione.

Le civiltà senza legno non riescono neppure a decollare. Noi ci ricordiamo del legno solo quando abbiamo uno stuzzicandenti in mano oppure quando andiamo all’Ikea - e neppure lo riconosciamo. Imparare a ri-conoscere il legno - la sua virtù nelle costruzioni antisismiche, ad es., il senso tattile che solo il legno dà quando la nostra mano fatta di carne (acqua e carbonio) riconosce la superficie di legno (fatta di acqua e carbonio), il senso sacro che dà la foresta - non è solo un modo per ritrovare noi stessi nella natura (qualsiasi cosa intendiamo con questo termine) ma probabilmente è un modo per ritrovare noi in noi stessi - l’umanità, le radici umane della nostra civiltà.

Sergio Failla

Fonte

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