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    L'EPIDEMIA E LA NORMALE BARBARIE
    DEL CAPITALISMO

    (23 Ottobre 2020)

    prospettiva marxista

    Abbiamo più volte insistito sulla necessità di rifiutare e contrastare tutte quelle formule (la crisi “da coronavirus”, l’emergenza occupazionale “creata” dal Covid-19 etc.) che attribuiscono erroneamente e superficialmente all’evento pandemico la sostanziale responsabilità di una condizione di crescente difficoltà economica che ampi strati delle classi subalterne stanno oggi vivendo.
    In questa nostra insistenza non c’è alcuna concessione alla pedanteria. Ci muove una viva, pressante, esigenza politica. La costruzione ideologica di una condizione socialmente critica da addebitare ad un fenomeno esterno ai rapporti di classe, ai coerenti sviluppi, alle contraddizioni sistemiche del modo di produzione capitalistico, ad una sorta di irruzione dell’imprevisto e dell’imponderabile nella “normale” esistenza della società del capitale, svolge una forte funzione politica. Favorisce quel clima di compattamento interclassista intorno ad una comune, conciliata e condivisa sfera sociale che si vorrebbe posta sotto attacco dal nemico esterno. Contribuisce a indebolire la consapevolezza delle responsabilità sociali e di classe nella formazione di quelle condizioni di vulnerabilità occupazionale e salariale, di intensificazione dello sfruttamento proletario, che sono state raggiunte e consolidate dall’azione borghese ben prima dell’emergenza pandemica e che semmai quest’ultima ha ulteriormente accentuato e posto con più forza in luce. Se è una presunta casa comune, entro cui sfumare le differenze di classe e il conflitto di classe, ad essere minacciata dal virus, agente capace di accomunare tutti gli abitanti di questo spazio generale in una nuova lotta unificante, allora la strada è spianata per nuovi “sacrifici”, giustificati dall’eccezionalità della situazione. Sacrifici ovviamente che mantengono e manterranno la loro profonda matrice di classe e che si scaricano e si scaricheranno puntualmente sulle spalle dei proletari, ma che possono ben più agevolmente essere spacciati e fatti accettare all’interno della formulazione ideologica della crisi “da coronavirus”.
    Constatazioni queste dettate e forzate solo dalla pervicace attitudine di critica rivoluzionaria al capitalismo propria del marxismo? Non sembra, visto che a riconoscere – ovviamente sulla base di presupposti politici e di analisi (anche in merito alla specifica questione della crisi «generata» dalla pandemia) distanti da noi, alla luce di prospettive politiche e di classe differenti e opposte alle nostre – come l’aggravamento delle condizioni di povertà di fasce rilevanti della popolazione italiana durante l’emergenza coronavirus abbia origini e radici anteriori all’esplodere dell’epidemia è il rapporto Caritas 2020 «Gli anticorpi della solidarietà», che vasta eco ha riscosso sulla stampa borghese. I dati forniti riportano una crescita dei cosiddetti nuovi poveri e la formazione di «nuove povertà», nel quadro più ampio di una fase di grave contrazione della produzione e dell’occupazione in Italia e in Europa, di incremento della povertà «estrema» (sopravvivere con meno di due dollari al giorno) e delle diseguaglianze a livello mondiale. Sulla base delle statistiche e dalle testimonianze raccolte nel rapporto, almeno due sono gli elementi che si impongono drasticamente: rispetto alla «recessione del 2008» il punto di partenza in termini di povertà assoluta è peggiorato, l’epidemia si è abbattuta su una società italiana pre-Covid con livelli di povertà assoluta ancora molto alti rispetto agli anni precedenti il 2008 e stesso andamento in crescita hanno conosciuto le diseguaglianze; nell’occhio del ciclone dell’impoverimento, inoltre, si trovano i lavoratori precari e le loro famiglie. Da quest’ultimo punto di vista, il rapporto Caritas è un amaro florilegio di testimonianze e valutazioni. «Anche in Italia, lo sappiamo, e l’intero volume lo testimonia, a pagare il prezzo più alto della pandemia sono proprio le persone più fragili e vulnerabili. Richiamando, ad esempio, la dimensione occupazionale, l’impatto della pandemia e dei conseguenti contraccolpi economici produce effetti diversi nei lavoratori precari, intermittenti o lavoratori a chiamata rispetto a chi ha un impiego con un contratto a tempo indeterminato». «I fattori e gli indicatori esaminati a partire dalla statistica pubblica inducono a pensare che nei prossimi mesi il rischio di povertà sarà in notevole aumento e che andrà a coinvolgere in modo particolare le categorie già in forte difficoltà: disoccupati, lavoratori a tempo determinato e lavoratori precari, lavoratori part-time, giovani, persone con bassi livelli di istruzione, le donne, persone con carriere frammentate e famiglie del Mezzogiorno. La pandemia da Covid-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze, più ampie di quelle esistenti al momento della crisi del 2008-2009 (Istat, 2020), e il pericolo che sembra profilarsi oggi è proprio quello di una nuova e ancor più grave divaricazione della forbice». Le testimonianze dei vari centri territoriali della rete Caritas vanno nella medesima direzione. Da Trieste si annota: «Improvvisamente sono apparse fasce sociali di povertà mai conosciute che possiamo chiamare i “nuovissimi poveri”. Categorie lavorative salde fino a pochi mesi fa, oggi si ritrovano a far parte del grande numero dei disoccupati, di coloro ai quali non sono stati rinnovati i contratti di lavoro, di coloro che con l’avvio della stagione estiva attendevano un impiego temporaneo». La Delegazione regionale Caritas della Toscana: «In un quadro di generale sofferenza per tutto il mondo del lavoro, va evidenziato come molte diocesi segnalino una crescita delle nuove povertà proprio in quelle aree del mercato del lavoro meno tutelate se non sprovviste del tutto di tutele». E si potrebbe proseguire con altre citazioni.
    Il rapporto mette in guardia, inoltre, contro una ripresa del fenomeno della «normalizzazione» della povertà, affacciatosi nella realtà italiana con il 2008. Il fatto cioè che le condizioni di povertà non solo vadano aumentando ma si estendano anche a nuove categorie rispetto al «modello italiano di povertà» (disoccupati, anziani, famiglie numerose e presenti nel Mezzogiorno). La povertà assoluta (mancata disponibilità di servizi e beni che consentano, nella realtà italiana, di raggiungere uno standard di vita minimamente accettabile) dal 2008 ha sempre più riguardato gli occupati (+268%), i giovani adulti fino a 34 anni (+319%), i diplomati e i laureati (+388%).
    Anche i dati raccolti dalla Caritas non lasciano, quindi, dubbi: l’emergenza Covid-19 (essenzialmente una crisi sanitaria che porta tutte le stigmate, anche sotto questo profilo, delle logiche e delle contraddizioni del capitalismo) ha brutalmente divaricato ferite e lacerazioni che la borghesia e i suoi agenti politici avevano già inflitto al tessuto sociale, ha accentuato fragilità già presenti.
    Non solo. La «normalizzazione» della povertà diventa possibile solo perché prima si è normalizzata la precarietà.
    L’unica forza che può contrastare questo immondo circolo vizioso non è la solidarietà interclassista, ma la lotta di classe. L’unica speranza, per la classe lavoratrice, di risalire la china è nella «normalizzazione» della lotta contro il proprio sfruttamento e i propri sfruttatori. L’unico argine al “normale” orrore della società capitalistica è rendere “normale” in essa la resistenza e la coscienza di classe degli sfruttati. La scandalosa inadeguatezza che il capitalismo sta mostrando, sotto ogni latitudine, di fronte alla pandemia non fa che confermare come per il genere umano la salvezza dalla barbarie risieda solo nella lotta per una società liberata dal capitale.

    Prospettiva Marxista

    Fonte

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