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Un piromane si aggira per l'Europa

Un piromane si aggira per l'Europa

(7 Maggio 2010) Enzo Apicella
L'agenzia di rating Moody's, la stessa che consigliava di investire in Lehman Brothers, soffia sul fuoco della crisi europea e invita a disinvestire in Grecia, Portogallo e Italia

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(19 Novembre 2020)

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Dopo la tornata elettorale del 3 novembre negli Stati Uniti erano almeno in tre a festeggiare. Il candidato democratico Joe Biden, che ha visto crescere il numero dei grandi elettori a lui attribuiti, fino al superamento della soglia necessaria alla proclamazione a presidente; il presidente uscente Donald Trump, che con un comportamento molto inusuale e indicativo della profondità della divisione politica nel Paese, ha definito le elezioni truccate e si è detto vincitore; Uber e altre aziende della gig economy (l’economia del lavoro a chiamata, dei “lavoretti”).
Infatti, in California si è votato anche in un referendum per stabilire se i conducenti di aziende della gig economy, messe sotto pressione dall’iniziativa legislativa dello Stato, dovessero essere definiti lavoratori dipendenti o meno. Uber, Lyft e altre grosse aziende del settore hanno investito una cifra record nella battaglia referendaria, condotta in maniera estremamente aggressiva, arrivando a minacciare di abbandonare lo Stato in caso di esito a loro sfavorevole e a fare pressioni sugli addetti alle loro dipendenze perché veicolassero la propaganda a favore della posizione contraria al riconoscimento del loro status di lavoratori dipendenti. Risultato della chiamata alle urne dell’intera popolazione, borghesi di ogni taglia compresi, per pronunciarsi sulla condizione dei lavoratori: con quasi il 60% hanno vinto i sì e i conducenti di questo settore continueranno a non avere le tutele di base previste per l’impiego come dipendenti (straordinari, ferie e giorni di malattia pagati, salario minimo, possibilità di sindacalizzazione, norme a tutela della sicurezza sul lavoro, accesso al sistema sanitario sulla base dell’assunzione come dipendente). Uber e le altre aziende hanno festeggiato, anche in borsa, e il precedente oggi si proietta in altri ambiti lavorativi e altri Stati.
Non pensiamo certo che l’esito del ballot californiano, per quanto rivelatore e tutt’altro che insignificante nel quadro dell’evoluzione dei rapporti di forza tra classi, possa essere storicamente posto sullo stesso piano con la corsa per la Casa Bianca. Ma qualcosa ci dice anche su questa competizione. È nella California liberal, roccaforte del partito democratico, che una componente particolarmente fragile e vulnerabile della classe lavoratrice ha ricevuto quest’ennesimo schiaffo da parte dei colossi di un settore in gran parte fondato sull’estrema ricattabilità della forza-lavoro. Ciò significa che si può votare per un miliardario figlio di un palazzinaro, che suole presentarsi come paladino del popolo (e che ha regalato ad Amazon e ad altri grandi gruppi capitalistici una riforma fiscale tagliata su misura) o per “zio Joe”, usato sicuro della grande borghesia Usa, ma senza che questo comporti significativi cambiamenti nella continuità dello stritolamento delle tutele e delle condizioni dei lavoratori. Ciò significa che l’esito delle presidenziali, indubbiamente non privo di conseguenze per i rapporti interborghesi, non implica alcuna seria discriminante dal punto di vista dei rapporti tra classi sociali, alcuna possibile alternativa al dominio capitalistico, ai suoi ritmi e alle sue esigenze, che non vengono certo posti ai voti nel Paese laboratorio del capitalismo novecentesco e simbolo della democrazia.
E non è solo questione americana. Il capitalismo italiano ha importato allegramente dagli Stati Uniti rituali consumistici dall’inquietante virulenza puerile. Basti pensare all’incontrastabile dilagare dell’Halloween anglosassone o alle recenti fortune del Black Friday. Ma sarebbe troppo facile e sbagliato addossare alla sola, nefasta, influenza yankee sviluppi che hanno portato anche in Italia alle promozioni, stile Black Friday, del lavoro degli esseri umani, degli esseri umani al lavoro (il capitalismo reale irride quotidianamente la retorica dei padri della Repubblica, fornendo l’interpretazione autentica del dettato costituzionale che pretendeva di sacralizzare il lavoro come diritto supremo e fondamento della nazione). La comunicazione pubblicitaria che riproduciamo è arrivata recentemente via fax, insieme a molte altre, alla sede di un’azienda lombarda. Che l’essere umano possa diventare nel capitalismo «personale» in «promozione» a «tariffe scontatissime» non sorprende certo noi marxisti. Non è una forzatura definire schiavitù salariata la condizione della nostra classe. Ma oggi questa schiavitù è sbandierata sfacciatamente, può essere celebrata con questi vergognosi toni da piazzista, senza che molti, anche tra gli stessi lavoratori, colgano minimamente la portata del regresso di civiltà in atto, perché la classe operaia, il proletariato, sono da decenni in preda ad una devastante debolezza, su cui i suoi nemici di classe si accaniscono senza tregua, ad un oblio della propria coscienza che impedisce la formazione di qualsivoglia argine a quella degenerazione sociale che le impunite orge capitalistiche portano con sé. E tutto questo è avvenuto con il berlusconismo e l’anti-berlusconismo, con la Prima, la Seconda e la quasi Terza Repubblica, con sovranisti ed europeisti, con liberali e populisti. Nell’agone politico delle frazioni borghesi, in mano alle varie anime del capitale, ci si può scannare per specifici interessi della classe comune di appartenenza, senza che il tallone sul collo dei lavoratori allenti minimamente la sua pressione, anzi. Solo da altre dinamiche politiche, da altre sorgenti di vita politica, può giungere quella ripresa della forza proletaria che, sola, può far saltare il gioco al massacro della dignità umana che il capitalismo necessariamente conduce.

Prospettiva Marxista

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