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Resolution: Revolution!

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(1 Gennaio 2012) Enzo Apicella
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2001-2016
Centralizzazione del capitale e crisi finanziaria
oppure:
Crisi, da cui centralizzazione del capitale?

Osservazioni e critiche sull’omonimo lavoro di Emiliano Brancaccio, docente dell’Università del Sannio, ed altri (Centralization of capital and financial crisis: a global network analysisof corporate control)

(2 Dicembre 2020)

Prima parte

Nella letteratura non solo marxista, a partire almeno da mezzo secolo fa, non sono rare affermazioni come: “quasi 3 miliardi di persone .. quasi metà della popolazione terrestre vive con meno di 2 dollari al giorno” .. “il 20% delle persone più ricche detiene l’80% della ricchezza mondiale”; e, successivamente: “il 15% delle persone più ricche detiene l’85% della ricchezza mondiale”. E, più recentemente, a gennaio 2016, un rapporto di Oxfam diffuso in occasione del Forum economico mondiale di Davos: “Nel mondo 62 persone detengono la ricchezza di metà della popolazione più povera, mentre solo 6 anni fa erano 388 .. l’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99% .. l’1% più ricco degli italiani .. in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale” ..

Certo, ricchezza e capitale non si identificano perfettamente; capitale è quella “ricchezza” che è in grado di produrne altra: una villa o uno yacht di lusso sono ricchezza ma non capitale. Però la ricchezza è sempre legata al capitale. Quindi l’idea che il capitale vada sempre concentrandosi nelle mani di chi è già ricco, mentre la maggior parte della popolazione del mondo impoverisce (al di la delle illusioni dei ludopatici e di quanti vengono influenzati fortemente dalle illusioni che il capitalismo potentemente semina ad ogni piè sospinto) soprattutto dopo la crisi di un decennio e mezzo fa, ormai appartiene non solo agli ambienti marxisti, ma va abbastanza oltre. E ciò anche nelle ricche nazioni imperialiste, dove ormai la povertà colpisce strati sempre più ampi della popolazione. Il fenomeno sembra così evidente che sembrano strane le prime parole con cui Emiliano Brancaccio e gli altri ricercatori aprono il loro scritto:

‘ Né l'esistenza di una tendenza globale alla centralizzazione del capitale come teorizzata da Marx nè i possibili legami tra crisi economica e centralizzazione del capitale sono stati verificati da studi empirici .. ‘


Sembra paradossale ma è così .. almeno tra i marxisti la tendenza, secolare, alla centralizzazione, è sembrata sempre così evidente da non richiedere degli approfondimenti al di la di valutazioni di massima come quelle da noi scritte poco più sopra. Ben vengano quindi ricerche più approfondite e dettagliate del fenomeno della centralizzazione; ed è questa convinzione che ci ha spinto a dare questo nostro modesto contributo al buon lavoro di Brancaccio e degli altri autori accademici (Giammetti, Lopreite, Puliga). Commenteremo il loro scritto seguendo i paragrafi.

Paragrafo 1
introduzione

Fin dall’introduzione gli autori affermano che:

‘ .. la tendenza alla centralizzazione del capitale avrebbe dovuto essere considerata tra le più importanti leggi del moto di Marx del capitalismo .. meritevole di opportune indagini teoriche ed empiriche .. (Leontief, 1938) .. non è mai stata un argomento molto popolare nella letteratura accademica. A differenza della ben nota e dibattuta tesi della tendenza al calo del tasso di profitto, l'idea di una progressiva centralizzazione del controllo del capitale .. non è stata ampiamente studiata .. [la] tendenza globale del capitale a centralizzarsi in poche mani, e le relative complesse dinamiche economiche strutturali che può implicare, rimangono un mistero irrisolto .. Tra le possibili ragioni di queste lacune in letteratura non c'è solo la natura multiforme del concetto di centralizzazione marxiana ma anche la mancanza di insiemi di dati adeguati per lo studio del fenomeno a livello internazionale ‘

Senza dubbio gli autori hanno ragione riguardo alla natura multiforme del concetto di centralizzazione in Marx. Esso infatti si trova quasi sempre insieme a quello di concentrazione, e, per di più, Marx usa questi due termini, in opposizione complementare l’uno all’altro, come movimenti contemporanei, in ben 3 accezioni:

1. Concentrazione
come accumulo del singolo capitale individuale; centralizzazione come unione di più capitali piccoli in uno più grande
2. Concentrazione come accumulo di mezzi di produzione di più aziende; centralizzazione come accumulo di capitale in generale di più aziende
3. Concentrazione come accumulo di capitale nella stessa branca produttiva (o ramo produttivo); centralizzazione come accumulo di capitali appartenenti a più branche produttive

Concordando con gli autori anche sulla necessità di colmare la lacuna degli scarsi studi sulla centralizzazione, non pensiamo però sia questa – la natura multiforme del concetto – la ragione principale per cui il fenomeno è stato poco affrontato. E non pensiamo nemmeno che sia stata la difficoltà a reperire insiemi di dati adeguati per lo studio empirico a livello internazionale: la stessa difficoltà empirica sussiste anche per lo studio dell’andamento del saggio generale (quindi: medio mondiale) di profitto. Eppure è vero, come dicono gli autori, che esso è stato più studiato sia a livello teorico che empirico.

Pensiamo che le ragioni principali siano altre, e, in parte diverse, per gli studiosi borghesi e per i marxisti.

Dai borghesi la tendenza alla diminuzione del saggio (o tasso) generale (cioè medio mondiale) di profitto è stata studiata di più (quasi sempre per negarla) perché era la più preoccupante; era quella che, se verificata, avrebbe fatto più paura al Capitale.

Dai marxisti è stata studiata di più innanzitutto perché Marx ripete più volte, mostrandolo nelle sue opere, che essa è ‘ la legge più importante di tutta l’economia ‘ .. perfino di più della ‘ legge del valore ‘ su cui essa si poggia.
Naturale quindi che, già per questo motivo, sia stata così studiata; ma noi affermiamo che un’altra ragione decisiva sia la oggettiva complessità di questa legge; e su questo torneremo dopo.

Paragrafo 2:
centralizzazione [come] proprietà e controllo del capitale sociale

All’inizio del paragrafo 2 gli autori dicono che il concetto di centralizzazione è stato ripreso da alcuni dei principali esponenti del marxismo:

‘ .. tra cui Hilferding (1910), .. Lenin, 1917, .. Baran e Sweezy (1966) e successivamente è stato ulteriormente analizzato da altri autori, tutti marxisti (Mandel, 1975; Sau, 1979; Weeks, 1979; Shaikh, 1991; Desai, 2002; Bellofiore, 2014) ‘

Alcuni studiosi (Sau, Weeks, Shaikh, Desai) sinceramente non li conosciamo. Bellofiore ci sembra sia contradditorio nelle sue analisi; come ci sembra di avere letto in passato, alcune volte, in alcuni suoi scritti, sembra accettare la teoria del valore e quella della caduta tendenziale del saggio di profitto, altre volte no; gli abbiamo anche chiesto di questa sua contraddizione, ma non ci ha dato risposta in merito.

Invece riguardo ad altri, non si capisce se citati qui come marxisti, e comunque sedicenti marxisti, possiamo ricordare che nella settima delle 21 tesi per l'adesione all'Internazionale comunista era prevista l'esplicita esclusione dall'adesione all'Internazionale di tutti i seguaci di Hilferding e delle sue teorie economiche (oltre ad altri ugualmente definiti opportunisti, come Turati, Kautsky ..); ma ci riferiamo anche a Baran e Sweezy, riguardo ai quali mettiamo davvero in guardia sulla genuinità del loro marxismo.

infatti, a nostro avviso, autodefinirsi marxisti, ma accettare, come fanno loro, solo una parte degli “assi portanti” dell’interpretazione marxista delle società Umane e in particolare del modo di produzione capitalista (assi come ad es. in economia la legge del valore, la legge della caduta tendenziale del saggio generale di profitto, il concetto di sfruttamento non solo dell’Uomo ma della stessa Natura da parte del Capitale; in politica la necessità della rivoluzione per abbattere il capitalismo; in paleo-antropologia l’esistenza per moltissimi millenni del comunismo primitivo) significa in realtà, oltre a non capirne il metodo, rigettare totalmente la visione complessiva di Marx e di Engels.

Naturalmente altri concetti possono e devono, essere studiati e perfezionati seguendo lo sviluppo, fino ai nostri giorni, del modo di produzione; e questo sia per gli aspetti teorici che per quelli empirici, come è stato fatto ad es. per i primi aspetti, recentemente, dal comunista statunitense Loren Goldner nello studio dell’origine del capitale fittizio (Goldner ha mostrato che, durante il processo di accumulazione, su periodi medio-lunghi, si genera capitale fittizio anche senza speculazione finanziaria: un concetto a prima vista sorprendente .. a primo acchito ha sorpreso anche noi, ma poi ci siamo resi conto che era in perfetto accordo con la legge della diminuzione tendenziale del saggio generale di profitto); oppure come è stato fatto per vari aspetti dell’odierna finanza dal comunista torinese Raffaele Sciortino, o per lo studio della centralizzazione come nel lavoro che qui commentiamo.

Gli autori proseguono:

‘ .. pochissimi gli studi teorici ed empirici che guardano da vicino al legame tra centralizzazione e crisi economica e alle sue sfaccettature .. Inoltre, la centralizzazione è concepita da Marx come la premessa per una forma di transizione da un modo di produzione a un altro ‘


Vogliamo qui sottolineare che nel marxismo di Marx, la condizione assolutamente necessaria per la transizione dal capitalismo a un modo superiore di produzione, il comunismo, non è la centralizzazione, la quale non è certo più importante di un livello sufficiente dello sviluppo delle forze produttive; la condizione assolutamente necessaria è invece la rivoluzione mondiale. Perché gli Autori qui non lo mettono in rilievo? Lo dimenticano? Cedono ad una, comprensibile, “concessione accademica”? Oppure ciò rispecchia una loro visione gradualista e/o pacifica della transizione? In quest’ultimo caso vogliamo ricordare che Marx ha sempre affermato che è stata sempre la violenza la reale levatrice delle trasformazioni storiche epocali. E che bisognerà necessariamente passare dalle armi della critica – accademica o meno – alla critica delle armi per effettuare la transizione.

Lo affermiamo anche noi, per la semplice ragione che (e Marx nelle sue opere lo sottolinea molte volte) nessun modo di produzione sorpassato (cioè non più corrispondente al livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive sociali) è stato mai superato, nella storia, in modo pacifico. Noi affermiamo che, studiando le opere di Marx ma anche di Engels, si può desumere che questo è avvenuto per due ragioni: quando il vecchio comunismo primitivo dei cacciatori e dei raccoglitori è stato sostituito dalle nuove società schiavistico-servili (le prima società divise in classi) sono state, in genere, queste nuove società ad usare metodi violenti con le vecchie. Invece, nella sostituzione delle società schiavistico-servili, come ad es. quella feudale in Europa, col capitalismo sorgente, nemmeno la vecchia società era disposta ad abbandonare il potere politico spontaneamente, anche dopo aver abbondantemente perso il potere economico. Figurarsi oggi, visto che il capitalismo – cioè la vecchia società (ormai abbondantemente sorpassata dato il livello di sviluppo delle forze produttive odierno) – possiede altissimi mezzi di produzione e, dialetticamente, anche altissimi mezzi di distruzione, se essa sarà disposta a farsi da parte spontaneamente, accettando il fallimento della sua “missione storica” come propagandata dagli economisti classici suoi apologeti, di “dare benessere a tutti”.

Gli Autori però precisano che:

nel presente studio non approfondiremo il tema del passaggio del modo di produzione e ci concentreremo unicamente sulla centralizzazione intesa come concentrazione della proprietà e controllo del capitale, con particolare riferimento al capitale sociale ‘


Abbandonando quindi – per ora – il tema della transizione e tornando sull’argomento del lavoro di Brancaccio ed al., proseguiamo con quanto scrivono più oltre nel secondo paragrafo gli autori:

‘ Secondo Marx, sebbene la concorrenza nel modo di produzione capitalistico metta in moto una forza centrifuga che porta a una "frammentazione del capitale sociale totale in molti capitali individuali, o alla repulsione delle sue frazioni l'una dall'altra", è anche possibile rilevare una tendenza centripeta contrapposta all'attrazione tra i singoli “capitali già formati” ‘

La teoria marxista ci suggerisce che il capitale globale, se il ciclo economico è espansivo, può tollerare anche una parziale azione centrifuga dei vari capitali, che prima o poi, inevitabilmente, saranno concentrati o centralizzati. Ma in un ciclo economico asfittico, come quello attuale, la necessità dei grandi capitali di concentrare e centralizzare i capitali minori diventa vitale; infatti, per contrastare l’abbassamento del tasso generale – cioè medio mondiale – di profitto, i capitali più forti devono “mangiare” quelli più deboli .. in questo modo, anche se il saggio medio si abbassa comunque, quello “individuale” dei capitali più forti sfugge alla tendenza. E che questa azione centripeta sia più forte nelle crisi, sembra che si veda bene anche negli anni di studio su cui si concentra questo lavoro empirico, ma ne parleremo nei paragrafi successivi.

Concordiamo con quanto gli autori scrivono subito dopo, in questo paragrafo:

‘ Pertanto, la centralizzazione [e la concentrazione] del capitale è una lotta che si conclude con la rovina di molti piccoli capitalisti il cui capitale passa in parte nelle mani dei conquistatori, in parte svanisce. .. Secondo Marx, quindi, la centralizzazione implica "un cambiamento nella distribuzione del capitale già disponibile e già funzionante". .. Il processo di centralizzazione, così definito, non riguarda semplicemente la mera concentrazione della proprietà in poche mani ma si manifesta più in generale con la concentrazione del controllo del capitale, che può andare oltre i limiti del rapporto di proprietà. .. Marx non si riferisce semplicemente agli scambi che determinano la concentrazione in poche mani delle quote di proprietà, ma si riferisce anche alla possibilità che i gruppi capitalisti dominanti governino una massa di capitale maggiore di quella che formalmente è propria. ‘

Molto importante è affrontare la centralizzazione in modo concettualmente corretto, e gli autori lo fanno. Infatti, a proposito di controllo del capitale, concordiamo con gli autori sul fatto che il marxismo non ha mai guardato semplicemente ai rapporti di proprietà giuridici, bensì ha chi ha il reale controllo del capitale, a chi può realmente prendere le decisioni di come e quando utilizzarlo, di quanto reinvestirne e dove, etcc .. altrimenti, riguardo alla caricatura del marxismo che è stato lo stalinismo, dovremmo dire che la Russia di Stalin fosse uno “Stato socialista”, visto che la proprietà giuridica era dello Stato. Però il controllo di cosa produrre, come e quanto reinvestire, era sostanzialmente compito dei burocrati, uno strato sociale ben definito, completamente diverso e separato dalla classe operaia russa; strato che progressivamente è diventato sempre più potente, e la cui elite si è progressivamente trasformata nei detentori, oggi, anche della gran parte della proprietà giuridica del capitale russo.

Concordiamo ovviamente anche gli aspetti successivi degli effetti della centralizzazione che gli autori mettono in luce citando Marx:

‘ "Il mondo sarebbe ancora senza ferrovie se dovesse aspettare che l'accumulazione abbia ottenuto pochi capitali individuali [che non siano] abbastanza lontani da essere adeguati alla costruzione di una ferrovia. . La centralizzazione, tuttavia, ha ottenuto questo in un batter d'occhio, per mezzo di società per azioni ”(Marx, 1867 | 1976, Vol. I, p. 780). ..
Così, la frammentazione della proprietà con le società di stock funge da leva per la centralizzazione in quanto consente “l'espropriazione [da parte] di pochi” mediante la concentrazione del controllo del capitale e in questo modo, secondo Marx, promuove anche il processo di accumulazione. ‘

Passiamo ora al nesso tra centralizzazione e crisi; gli autori scrivono:

‘ Per quanto riguarda il possibile nesso tra centralizzazione del capitale e crisi economica, Marx sottolinea ripetutamente questa relazione. .. Ad esempio, quando interpreta la crisi in termini di caduta dei saggi di profitto, Marx sostiene che quest'ultimo fenomeno è allo stesso tempo una minaccia allo sviluppo del processo di produzione capitalista e una leva della centralizzazione del capitale (Marx, 1867 | 1981, Vol.III, p. 349). ‘

Quindi, riguardo al rapporto causa-effetto, sempre dialettico, gli stessi autori del lavoro che stiamo commentando, citando Marx, sembrano riconoscere, qui, che è “in primo luogo” l’abbassamento del saggio che genera tendenza alla centralizzazione, e non l’inverso. Infatti la centralizzazione è una controtendenza alla discesa del saggio .. e, come diceva anche Grossmann, le controtendenze dapprima contrastano la discesa del saggio, e per questo vengono adottate; ma poi, sul medio-lungo periodo, tendono ad accelerarla.

E quindi è lo studio del saggio, essendo il suo andamento il “fenomeno principale”, che è stato più studiato .. per cui, perché meravigliarsi di questo e dire, come fanno gli autori:

‘ Tuttavia, la letteratura marxiana dedicata allo studio delle dinamiche capitalistiche si è spesso concentrata sull'analisi del saggio di profitto, trascurando quasi sempre il processo di centralizzazione del capitale (si veda, tra gli altri, Shaikh, 1992; Mandel, 1980) ‘ ?

La ‘ tendenza al calo del tasso generale di profitto ‘, in passato, è stata studiata molto anche dai borghesi perché era quella che oggettivamente dava più fastidio al Capitale, perché rifletteva gli incubi dei borghesi ad ogni crisi, perché rifletteva le loro nascoste preoccupazioni sul fallimento del loro sedicente “eterno” sistema economico; ma è stata studiata molto anche dai marxisti, non solo perché Marx l’ha definita più volte nelle sue opere come ‘la legge più importante di tutta l’economia’, ma soprattutto perché anche per gli studiosi marxisti è sempre stata la legge marxiana più ostica, più difficile da capire e da approfondire; perchè è oggettivamente molto complessa. Per lo stesso Marx fu difficile passare dalla geniale intuizione ad una esposizione precisa e sistematica del fenomeno complesso che va sotto questo nome (ma di cui in realtà la tendenza alla diminuzione del saggio è solo una “componente”). Infatti, a nostro modesto avviso, e per quel che sappiamo, pochi studiosi dell’economia marxista, come ad es. Mandel, Mattick .., sono riusciti davvero a comprenderla; ed uno solo, Henryk Grossman, è davvero riuscito sia a comprenderla che ad approfondirla oltre Marx; sono molti di più i “marxisti” che. pur credendoci, pur studiandola attentamente, non l’hanno compresa davvero (tra cui più di un cattedratico); e, purtroppo, vi sono anche i “marxisti” come Sweezy e Baran, che molta influenza hanno avuto sui movimenti del secolo scorso, che, non comprendendone i meccanismi, l’hanno messa, a torto, in discussione; e in questo torto hanno purtroppo trascinato anche molti seguaci.

G. De Bellis e M. Fragnito

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