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Primarie: una prima valutazione del risultato

(19 Ottobre 2005)

Il risultato delle primarie del centrosinistra non si presta certo a interpretazioni controverse, almeno per l’evidenza dei numeri. Possono aiutarci molto, tuttavia, a capire l’attuale situazione politica e la prospettiva nella quale ci muoveremo.

L’affluenza al di sopra di ogni previsione si può spiegare solo con un moto di partecipazione che è andato ben al di là della base organizzata del centrosinistra. Un moto che indubbiamente è stato provocato anche dalla sensazione che Berlusconi si appresti (come in effetti accade) a condurre una campagna elettorale senza esclusione di colpi, pronto a calpestare gli avversari come gli amici e a usare tutti i mezzi a sua disposizione, leciti e illeciti.

Certo questo moto non è stato spontaneo, né tantomeno autorganizzato. Al contrario, si è espresso in un canale saldamente organizzato dai Ds innanzitutto, che hanno massicciamente presidiato la macchina organizzativa (oltre che politica) delle primarie. A conferma di ciò troviamo i dati dell’affluenza sintetizzati in un’analisi del Corriere della sera. Sebbene si basi su dati parziali (2.782.0000 votanti, contro oltre 4 milioni del dato finale), esprime chiaramente la tendenza. Se su scala nazionale, i partecipanti alle primarie corrispondono in quella analisi parziale, al 17,1% circa dell’elettorato totale dell’Unione, la percentuale sale al 20,7% in Toscana, al 23,1% in Umbria, al 29,5% nelle Marche per toccare il record in Emilia Romagna, che col 32,4% porta a votare 541mila partecipanti, ossia quasi un quinto del totale nazionale (Ricordiamo che questa analisi si basa su dati parziali disponibili la notte di domenica. Tuttavia, se cambiano le cifre totali, la tendenza delle precentuali è chiarissima).

Il ruolo delle regioni rosse pesa quindi sul risultato favorendo Prodi. Ma più in generale si esprime nella spinta alla partecipazione della base elettorale del centrosinistra una insofferenza acuta, una voglia di arrivare al più presto allo scontro con il governo e di vedere Berlusconi andarsene a casa.

Il risultato di Bertinotti (e del Prc) si inserisce in questo contesto. I 631mila voti raccolti costituiscono un dato superiore alle attese che tuttavia si riflette solo in parte nella percentuale.

Negli scorsi anni milioni di persone si sono mobilitati nel paese contro il governo Berlusconi e la sua politica. Lo hanno fatto nelle gigantesche manifestazioni contro la guerra, negli scioperi generali in difesa dello Statuto dei lavoratori; i molti casi questo risveglio si è anche espresso in lotte molto aspre e radicali come gli scioperi di Melfi o degli autoferrotranvieri.

Tuttavia questa disponibilità alla lotta non ha trovato alcun corrispettivo fra i capi del centrosinistra, i quali si sono sempre rifiutati di portare la mobilitazione fino alle sue logiche conclusioni, ossia fino a lottare per la cacciata del governo.

La prospettiva delle elezioni oggi diventa centrale non solo perché si avvicina la scadenza della legislatura, ma perché esse paiono il mezzo più semplice e praticabile per cacciare la destra dal governo, non essendovi riuscite le mobilitazioni di piazza. Quando si valuta lo stato d’animo delle masse, di milioni di lavoratori, il pericolo peggiore è quello del dottrinarismo. Il movimento di massa non procede in base alla teoria, ma in base alla propria esperienza pratica e di vita. “Non ne possiamo più di Berlusconi, e in attesa di votare ci prendiamo questo anticipo andando in massa alle primarie”: questo è il sentimento che ha guidato il “popolo di sinistra” alle urne di domenica.

Un altro punto importante è il ruolo centrale che hanno assunto i Ds. Il partito di Fassino è chiaramente in piena ripresa organizzativa e di consensi, come è evidente a chiunque sia andato ai seggi. Questo ci conferma una volta di più come le organizzazioni di massa della sinistra, i partiti ai quali i lavoratori fanno storicamente riferimento, godono di enormi riserve di fiducia e di autorità fra le masse. La classe lavoratrice è disposta a perdonare molti tradimenti e molte delusioni alle proprie organizzazioni e ai loro dirigenti. Lo abbiamo anche visto di recente in Germania, dove nonostante otto anni di governo, la Spd è riuscita almeno in parte a rimontare quella che pareva una sconfitta annunciata.

Da comunisti e da rivoluzionari dobbiamo essere consapevoli di questa realtà: la lotta per l’egemonia, la sfida per sottrarre alle forze riformiste la loro presa sul movimento operaio, significa conquistare molti di quei milioni che domenica sono andati a votare Prodi seguendo in primo luogo le indicazioni dei dirigenti Ds. Non è un compito che si può assolvere con le chiacchiere o con i bei gesti, ma che richiede un paziente lavoro di costruzione, di radicamento, un confronto aspro ma anche fraterno con quei lavoratori e una sfida politica ai loro dirigenti e alla loro politica.

Questa spinta verso le elezioni riflette forse in qualche modo un “arretramento” o addirittura una “sconfitta” per il movimento operaio, per il movimento di massa? Ragionare così sarebbe appunto il classico errore di formalismo e dottrinarismo. Il movimento di massa procede per tentativi successivi, per prove ed errori. Oggi Prodi e Fassino trionfano, ma dopo la domenica viene il lunedì; dopo le elezioni verrà la prova del governo, e sarà una prova assai dura. I milioni di persone che si sono mobilitate per le primarie voteranno il centrosinistra per vedere le cose cambiare. Le profonde contraddizioni di classe che lacerano l’Unione oggi sono nascoste da uno stato di euforia “unitaria” nella quale tutti (tranne Mastella) sono più buoni, più belli e più felici. Ma più presto che tardi l’euforia si dissiperà e i nodi arriveranno al pettine: come si esce dalla crisi economica del paese? Chi pagherà i costi di questa crisi, i lavoratori o i padroni? Cosa si farà delle missioni militari italiane all’estero, dall’Afghanistan all’Iraq? Che posizione avrà il governo dell’Unione sul precariato, sull’immigrazione, sulla casa, sulla scuola, sulle pensioni, sulle privatizzazioni, insomma su tutti i problemi brucianti che attanagliano la vita di milioni di famiglie e che stanno condannando Berlusconi alla disfatta?

Il nostro compito è pertanto chiarissimo: dobbiamo continuare a criticare in modo chiaro (ma non settario) la politica di Fassino, spiegarne i limiti e proporre la nostra alternativa, preparando le migliori condizioni per intervenire in un’arena più ampia quando queste contraddizioni esploderanno. Al tempo stesso notiamo come vi sono mobilitazioni in campo che hanno una potenzialità di sviluppo importante. C’è fermento fra gli studenti di fronte alle ultime evoluzioni del processo di controriforma della scuola; c’è uno sciopero generale convocato contro la finanziaria; queste lotte ci possono dare una ulteriore opportunità di radicamento e di confronto con tanti giovani e lavoratori che oggi magari non vedono contraddizione fra la loro mobilitazione e il sostegno a Prodi e all’Unione, ma che saranno aperti alle nostre argomentazioni e che domani indubbiamente evolveranno su posizioni più radicali.

Quanto detto sopra si applica in larga misura anche al dibattito interno a Rifondazione. Il flusso favorevole all’Unione favorisce temporaneamente la posizione del segretario. Il partito beneficerà della crescita dell’Unione e questo potrebbe anche riflettersi positivamente nei prossimi risultati elettorali. Ma anche qui, come nel caso dell’Unione nel suo complesso, decisivo non è il voto in questa o quella elezione: decisiva è la praticabilità della linea politica, decisiva è la prova dei fatti. Se il Prc si troverà al governo sarà sottoposto a tensioni laceranti. Oggi Bertinotti ha raccolto oltre 631mila voti che, in cifre assolute, non è certo un risultato disprezzabile. Ma domani i capi del centrosinistra saranno pronti a usare il risultato di queste primarie come una clava per disciplinare il partito costringendoci ad accettare politiche assai lontane o addirittura opposte a quelle che abbiamo sempre difeso.

A questo proposito vogliamo ricordare che la nostra critica alle primarie e alla partecipazione del partito è stata sempre, innanzitutto, una critica politica e non semplicemente di metodo: ossia una critica all’idea che il Prc si debba disciplinare a Prodi (il quale più volte ha detto che “il programma lo farà il vincitore”) anche in presenza di un conflitto di fondo su questioni fondamentali.

Si preparano quindi momenti assai delicati e difficili per Rifondazione comunista. Il nostro compito non è né quello di abbandonarci a un settarismo senza prospettive, che vede solo un lato della situazione (e cioè la vittoria apparentemente schiacciante di Prodi), né tantomento dismettere la nostra critica politica al corso assunto dal partito. Dobbiamo invece attraversare questa esperienza fianco a fianco con i militanti del partito, senza cadere in illusioni oggi diffuse ma senza permettere che si alzino steccati attorno a noi, isolando la nostra voce critica.

Dice il filosofo che “tutto ciò che è razionale è reale”, e le nostre ottime ragioni diventeranno (e anzi stanno già diventando) sempre più una forza reale nel Prc e nel movimento operaio.

17 ottobre 2005

Claudio Bellotti
http://www.marxismo.net

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