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(19 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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(22 Gennaio 2021)

Editoriale del n. 97 di "Alternativa di Classe"

federal reserve

A parte per chi si è arricchito con la pandemia (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 96 a pag. 2), il 2020 non ha di certo lasciato alcun rimpianto per i proletari. E questo in tutto il mondo.
La crisi, mai davvero terminata dal 2008, ha subito, con gli effetti della pandemia, o, meglio, della sua gestione capitalistica, una accelerazione tale da farla considerare da parte di commentatori borghesi come una nuova originale crisi. In altre parole, l'assenza di un piano per fronteggiare le pandemie, aldilà della loro specifica origine, sempre legata allo sviluppo capitalistico, ha portato ad iniziative caratterizzate da “dilettantismo” e approssimazione, e gli stessi “lockdown” sono sempre stati mediati con gli interessi dei diversi capitali prevalenti nelle diverse aree geografiche.
La multinazionale di consulenza strategica “James O. McKinsey & Company” ha quantificato l'insieme delle misure anti-crisi messe in campo per fronteggiare la recessione dovuta alla pandemia, confrontandole con quelle utilizzate nel biennio 2008/2009 per contrastare gli effetti dello scoppio delle bolle immobiliari. Lo stanziamento globale concentrato nei primi due mesi del 2020, si è aggirato sui 10mila miliardi di dollari USA, a fronte dei 3000 miliardi di allora: più del 300%!...
Andando poi ad analizzare le singole potenze, si vede un divario ancora maggiore e: per la Germania le misure anti-crisi hanno rappresentato il 33% del PIL, a fronte del 3,5% del PIL di allora, per il Giappone il 22% a fronte del 2% di allora, per gli USA il 12,1% a fronte del 4,9% di allora. Mentre poi per la Cina, anche se è ritornata a crescere la sua economia, sono state comunque il 5% del PIL, per Francia e Regno Unito sono state, rispettivamente, il 14,6% ed il 14,5% del PIL, cioè circa 10 volte quelle di allora.
Il Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.) ha stimato che la prima “ondata” della pandemia è costata ai contribuenti nel mondo quasi 12mila miliardi di dollari USA, e cioè circa il 12% del PIL globale. Senza considerare altre implicazioni, questo ha comportato un aumento record del debito pubblico globale di un altro 100% del PIL mondiale (stima del Wall Street Journal).
Considerando poi il debito globale, cioè l'insieme aggregato del debito pubblico con tutto il debito privato del mondo, è significativo il confronto con la crisi del 2008. Rispetto a quell'anno si è registrato un primo ulteriore aumento di circa il 40%: a fine 2008 il debito globale, a seguito della crisi del debito, era di ben 170mila miliardi di dollari USA, record storico per allora, mentre nel Marzo 2020, dopo tre mesi di pandemia, era già arrivato (calcolo del Financial Time) a 253mila miliardi di dollari USA!
Rispetto al PIL prodotto, il debito globale aggregato di pubblico e privato è arrivato, a fine 2020, secondo l'Istituto di Finanza Internazionale IIF, al 365%, pari a 277mila miliardi, a fronte del precedente record del 331%, raggiunto nei primi mesi della pandemia. Restando, invece, al “solo” debito pubblico globale, gli ultimi dati del 2020, provenienti dal F.M.I., dicono che avrebbe raggiunto nell'ultimo anno il 101,5% del PIL mondiale. Praticamente, i beni e servizi prodotti dai lavoratori di tutto il mondo basterebbero a stento a pagare i debiti contratti dagli Stati che li rappresenterebbero!
Gli Stati che a fine Novembre scorso hanno registrato un debito pubblico “molto elevato” sono passati da 19 a 30, aumentando anche i rispettivi rapporti fra debito e PIL nazionale. In testa vi è sempre il Giappone, che è arrivato al 266%, seguito dalla Grecia al 205% e dall'Italia al 161%; seguono poi la Cina al 160%, il Portogallo al 137% e gli USA, con l'incremento maggiore, passati dal 108% al 131% dopo il primo piano di aiuti approvato.
Considerando le aree sovranazionali, il rapporto tra debito pubblico e PIL dell'insieme dei Paesi del G7 è passato dal 118% al 141%, mentre la “Eurozona” è passata sul livello medio internazionale, e cioè al 101%, dal precedente 84%, escludendo il Piano “Next Generation EU”, con fondi, del resto, da utilizzare nel 2021 (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 96 a pag. 1). Il rapporto minimo è, invece, quello dei Paesi “emergenti”, passato dal 54% al 64%. In ogni caso, ovunque si è registrata una accelerazione del ritmo di indebitamento nell'ultimo trimestre del 2020.
L'aumento del debito porta con sé, ovviamente, l'aumento del credito, a vantaggio delle banche, della finanza internazionale e del settore privato in genere. In particolare, questo aumento record del debito statale è stato collocato, per quanto riguarda i principali Paesi imperialisti (USA, Regno Unito, Paesi UE) e quelli tradizionalmente più liberisti (Australia, Nuova Zelanda), presso investitori “domestici”, soprattutto nelle banche centrali. Le banche commerciali nazionali hanno seguito l'orientamento delle banche centrali, dando luogo così ad un fenomeno definito di “nazionalizzazione” del debito pubblico.
Sia la “Federal Reserve” in USA, che la Banca Centrale Europea (B.C.E.), la prima a fronte di un aumento di bilancio a fine 2008 di mille miliardi di dollari USA, hanno visto nel 2020 aumenti di bilancio, rispettivamente, di tremila miliardi di dollari USA e di 2,2 miliardi di Euro, ora che gli aiuti in Europa li ha erogati prevalentemente la UE, e non i singoli Stati. E la tendenza, obbligata per il capitalismo “pandemico”, è verso ulteriori aumenti del debito.
Solo la ripresa cinese ha fatto sì che la recessione mondiale per il 2020 sia stata inferiore alle aspettative, e cioè del 4,4% della produzione economica globale, invece che del 5,2%, mentre il F.M.I. prevede per il 2021 un aumento del PIL globale del 5,4%, salvo nuova “ondata” pandemica. In ogni caso, a bocce ferme, con l'economia mondiale di nuovo in crescita, sempre secondo il F.M.I. nell'anno appena iniziato dovrebbero passare a “povertà estrema” dai 100 ai 110 milioni di persone!
Nello stesso tempo, al netto del debito privato, la situazione patrimoniale della popolazione mondiale adulta (5,2 miliardi di persone), data dalle attività finanziarie più le proprietà immobiliari, è stata indagata dagli esperti di Credit Suisse, che hanno pubblicato il Rapporto sulla ricchezza, il “Credit Suisse Global Wealth 2020”. Ancora una volta sono emerse le enormi differenze indotte dal funzionamento del sistema capitalistico: mostruose e rivoltanti (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 51 a pag. 2).
E', infatti, l'1% della popolazione mondiale adulta, 52 milioni di persone, tutte milionarie, a detenere il 43% di tutta la ricchezza, mentre metà della umanità (2,6 miliardi di adulti) ne possiede, tutta insieme, solo l'1%. Nell'ambito, poi, di questo 1%, sono in circa 175mila i “super-ricchi”, che possiedono ognuno più di 50 milioni di dollari USA: in pratica, un quarto di tutte le ricchezze della Terra è in mano a meno dello 0,1% dei suoi abitanti!...
Riferendosi lo studio alla fine di Giugno 2020, si sono potuti constatare anche i primi specifici effetti della pandemia sulle ricchezze. Mentre a fine 2019 i patrimoni erano aumentati di 36,3 trilioni di dollari USA, sei mesi dopo viene stimato un aumento di “soli” 1000 miliardi (+ 0,25%), e grazie ai robusti stanziamenti di credito, come abbiamo visto più sopra, da parte di governi e banche! La consistenza di questa “cura” si capisce di più citando il fatto che a fine Marzo vi era stata una flessione dei patrimoni di quasi il 50% dell'aumento dell'anno precedente...
Se si considera poi che il “piccolo” aumento della ricchezza globale di Giugno '20 è stato inferiore all'aumento del numero di adulti nel mondo nel medesimo periodo, ne consegue una diminuzione dello 0,4% della ricchezza globale media: 1391 dollari USA in meno per singolo adulto. Il Rapporto calcola, a livello mondiale, una perdita di 7,2 trilioni di dollari USA di patrimoni, rispetto a ciò che avrebbe potuto essere senza la pandemia.
Secondo i ricercatori, comunque, la pandemia avrebbe influito poco sulla distribuzione dei patrimoni in generale; la differenza è rimasta notevole fra i Paesi ricchi ed i Paesi poveri, e soprattutto all'interno di essi. Gli Stati nei quali i milionari sarebbero più diminuiti di numero sono proprio quelli in cui la ricchezza è diminuita di più: Regno Unito, Brasile, Australia e Canada. Ciò andrebbe a confermare, oltre che la tendenza ad una concentrazione comunque della ricchezza nelle mani di pochi, anche il fatto che solo per alcuni specifici settori economici (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 95 a pag. 2) gli effetti della pandemia siano stati “salutari”...
In tutte le aree del mondo la pandemia ha prodotto poi riduzioni del PIL. In particolare, in America Latina il fenomeno è stato il maggiore, accompagnato da svalutazioni monetarie, che lo hanno acuito, mentre in USA non vi è stata la crescita attesa. Per l'India, la più direttamente colpita dalla pandemia dopo gli USA, a fine anno si è registrata la prima recessione in 73 anni di indipendenza, anche se si prevede un imminente recupero, mentre solo la Cina ha fatto registrare un incremento positivo del PIL di circa il 2%, con aspettative di ulteriore miglioramento.
Nella situazione internazionale, anche in prospettiva, comunque regna l'incertezza, dato che ad oggi non sono prevedibili in concreto gli sviluppi della pandemia dal punto di vista delle sue modalità e durata, pur con la presenza dei vaccini. Sono possibili solo previsioni per scenari diversi: le stesse previsioni per quest'anno di S&P Global, la famigerata società USA di servizi finanziari, di una crescita globale del 5% sono legate ad un andamento pandemico in direzione di una “normalizzazione”.
Il Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali dell'ONU (UNDESA) ha rilevato che le mega-tendenze in atto, quali la innovazione tecnologica, con la diffusa digitalizzazione, nonché i fenomeni di urbanizzazione e del cambiamento climatico, sono, salvo diverso auspicio, nuovi potenti fattori di aumento delle diseguaglianze, a prescindere dalla pandemia.
In ogni caso, infatti, il “patrimonio dell'umanità”, protetto dall'ONU in quanto apparterrebbe ad ogni uomo, è rappresentato da siti di “particolare pregio”, e lo è soltanto sul piano “culturale”, mentre il patrimonio reale, che è in termini di proprietà delle risorse economiche, appartiene per metà a poche migliaia di ricchi, mentre ad almeno metà dell'umanità, miliardi di persone, sono riservate al massimo delle polveri di briciole, se sono disposte a “vendere” la propria forza-lavoro quando e quanto serve a tali ricchi, con l'alternativa della morte per fame, sete e/o stenti.
La accelerazione della crisi del capitalismo decadente, dovuta agli effetti della pandemia, è arrivata oggi ad aprire gli occhi a qualche “super-ricco”, divenuto disponibile a lasciarsi tassare il patrimonio (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VIII n. 96 a pag. 3), pur di “salvare il sistema”, ma la dinamica dei fatti potrebbe essere meno controllabile finanche ricorrendo a difficili ristrutturazioni del debito internazionale, e la prospettiva di uno scontro bellico di vaste proporzioni non si può certo escludere.
Per i proletari, quelli cui è riservata la possibilità di affittare la propria capacità lavorativa in cambio di un salario, si tratta di realizzare l'identità dei propri interessi di classe in tutto il mondo, e di capire che la lotta di classe è anche l'unica possibilità di un futuro per l'umanità, che la porti fuori dalla preistoria. Farla finita, perciò, con il sistema di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, della rapina delle risorse naturali e della loro modifica irreversibile. A partire dall'indipendenza di classe. Perché il patrimonio nel mondo sia uno solo e davvero collettivo!

Alternativa di Classe

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