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Iraq occupato

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(30 Marzo 2008) Enzo Apicella

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Iraq: due farse, lo stesso regista

Dall’imbroglio del referendum a quello del “processo” a Saddam

(21 Ottobre 2005)

La tragedia irachena è talmente grande da costringere i suoi responsabili a mandare in scena una farsa dopo l’altra.

Scena numero 1: il 15 ottobre si svolge il referendum sulla cosiddetta “costituzione”, in realtà una carta voluta e scritta dagli occupanti, redatta sotto dettatura diretta dell’ambasciatore USA a Bagdad e volta a disintegrare l’unità nazionale irachena, con la creazione di tre mini-stati da affidare ad alcuni clan amici.
Insomma, visto che il controllo dell’Iraq si è rivelato impossibile per i Rambo di Washington, si disintegri questo paese, si alimenti qualche appetito locale per nascondere nel caos generale il proprio impantanamento.
Questa strategia americana mira – come naturale – a dividere le forze della Resistenza e quelle che comunque si oppongono all’occupazione. Ed è questo il punto decisivo per le sorti della lotta di liberazione del popolo iracheno.
Cosa ci dice dunque il referendum di sabato scorso?
Al momento non ci sono cifre ufficiali, ma il tono dei commenti è tale che ben si comprende il sostanziale fallimento del disegno americano.
Si parla di una partecipazione attorno al 60%. E già qui l’imbroglio è doppio: da una parte questa cifra è ottenuta con dati parziali di alcune province come minimo inattendibili (in alcune zone si pretenderebbe di accreditare un 95% di partecipazione al voto!); dall’altra la percentuale è calcolata sugli elettori che si sono registrati (circa 15 milioni), non sul totale degli aventi diritto (circa 19 milioni) come sarebbe naturale.
I risultati restano ancora avvolti nel mistero a cinque giorni di distanza, eppure in questo caso si tratterebbe soltanto di contare dei semplici SI e dei semplici NO. Le organizzazioni sunnite che hanno scelto di andare a votare per far prevalere il NO con più del 66% dei voti in almeno tre province (posizione peraltro sbagliata, considerate le condizioni assolutamente illegali in cui il referendum si è svolto), hanno annunciato il superamento di questa soglia in ben quattro province (Anbar, Salaheddin, Ninive e Dyala). Se questo dato venisse confermato la costituzione verrebbe automaticamente respinta.
Ovvio che non potrà essere così. I voti vengono “contati”, “aggiustati” ed annunciati dagli americani ed il governo collaborazionista ha già diffuso anticipazioni sulla “vittoria” del SI. Non potrebbe essere altrimenti in regime di occupazione militare.
Tuttavia questa volta le trombe della “vittoria della democrazia” non hanno potuto squillare, ed il fatto che anche le cifre ufficiali ed addomesticate non siano state ancora annunciate la dice lunga sull’esito reale del referendum.
Le forze della Resistenza che, coerentemente, si sono pronunciate per il boicottaggio di questo referendum illegittimo possono dunque considerarsi soddisfatte.
Gli americani hanno voluto una nuova farsa, dopo quella delle elezioni del 30 gennaio, ma non gli servirà a molto. La stabilizzazione è fallita e non sarà una carta rifiutata di fatto dalla grande maggioranza degli iracheni a cambiare il corso degli avvenimenti.

Scena numero 2: Ieri, 19 ottobre, è iniziato il processo a Saddam Hussein.
Un’altra farsa messa in piedi dagli occupanti, anche questa non senza difficoltà. Questo processo sta al diritto, come il referendum del 15 ottobre sta alla democrazia, ed è ovviamente illegittimo dato che è il frutto di un'occupazione altrettanto illegittima.
Si tratta di un processo nel quale Saddam non potrà difendersi, mentre i suoi avvocati, che non hanno potuto leggere i fascicoli dell’inchiesta, non potranno nemmeno rivolgere domande ai testimoni dell’accusa. Il nome di 4 giudici su 5 è avvolto nell’anonimato, si conosce solo – viva la trasparenza! – quello del presidente, il curdo Rizgar Mohammed Amin. Quello che invece sappiamo per certo è che questo Tribunale Speciale è stato nominato direttamente dagli americani.
Ma se gli USA se ne sono infischiati di ogni parvenza di legalità, la stessa cosa non si può dire per la preparazione mediatica dell’evento. Per evitare una brutta figura, i cinque “giudici” sono stati condotti a Londra per “provare” la messinscena andata in onda ieri, mentre la tv irachena ha ben pensato di trasmettere il processo con 20 minuti di differita per tagliare le prevedibili figuracce.
Ma nonostante le prove londinesi il primo atto della farsa è andato male ai registi americani. L’illegalità del processo è apparsa chiara da ogni punto di vista, ed il rinvio della seconda udienza al 28 novembre dimostra quanto sia difficile portare avanti una farsa di queste dimensioni per coprire la tragedia dei crimini che gli occupanti compiono ogni giorno in ogni angolo dell’Iraq.

IRAQ LIBERO – Bollettino del 20 ottobre 2005

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