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Ricordando Stefano Chiarini

Ricordando Stefano Chiarini

(6 Febbraio 2007) Enzo Apicella
E' morto Stefano Chiarini, un giornalista, un compagno,un amico dei popoli in lotta

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    Amadeo Bordiga. Una presentazione – Pietro Basso

    (23 Febbraio 2021)

    bordiga lo presentiamo

    E’ uscito nei giorni scorsi, per le Edizioni Punto Rosso, Amadeo Bordiga. Una presentazione – di cui pubblichiamo qui l’introduzione intitolata “Lezioni per l’oggi.

    Il libro può essere richiesto direttamente all’editore al prezzo di 15 Euro scrivendo a edizioni@puntorosso.it
    (va indicato il proprio indirizzo postale, il libro verrà spedito a casa, e dovrà essere pagato con bonifico bancario)

    Lezioni per l’oggi

    1. Il centenario della nascita del Pcd’I a Livorno è stato l’occasione per l’eterno ritorno in scena della retorica anti-comunista. Certo: è un anti-comunismo mesto, che ha poco filo a sua disposizione per tessere l’elogio della “civiltà del denaro”, dato che si ripresenta nel mezzo della più profonda, intricata, esplosiva crisi capitalistica di sempre. Tuttavia i Mauro, Canfora e altre scartine non si trattengono dal servirci una minestra riscaldata: grave, gravissima fu quella scissione. I più impudenti arrivano ad attribuire ad essa la vittoria del fascismo. Il che rappresenta il totale capovolgimento di una elementare verità storica registrata nelle “imprese” delle squadracce fasciste, nell’arrendevolezza del PSI pronto a porgere l’altra guancia, nei giornali di bordo di carceri e luoghi di confino, nelle sentenze del Tribunale speciale, nell’emigrazione forzata di decine di migliaia di sospetti sovversivi – questa: il partito comunista nato dalla scissione di Livorno fu il solo partito della sinistra a battersi realmente contro il fascismo ascendente. Quello, tanto per capirci, amato dai campioni del liberalismo alla Churchill e aiutato a salire al potere dall’intera classe padronale e dai popolari di Sturzo e De Gasperi (non il fascismo morente abbandonato da tutti i suoi mandanti – è chiara la differenza?).

    Non c’è da stupirsi. Per i narratori di stato il dato storico effettivo è irrilevante. Il loro compito è denigrare, se non criminalizzare, la formazione del primo, autentico partito rivoluzionario del proletariato in Italia. E non si fanno scrupoli sui mezzi da usare per lanciare un messaggio che ha il tono di un’ingiunzione a mano armata: la sola aspirazione razionale che può nutrire la classe lavoratrice è quella di moderare un po’ gli effetti più estremi del meccanismo capitalistico. Altro non può. E se osa andare oltre? Come dopo il ‘21, il contraccolpo sarà durissimo. Non solo per gli audaci. Lo sarà per tutti i proletari, e perfino per l’intera società. Perché – parla Mauro per i suoi simili – “la fascinazione febbrile di un pensiero continuamente teso a ricostruire il mondo” non può che metter capo a “una modellistica politica” tanto grandiosa quanto “ingenua, che proietterà nel futuro la tentazione tragica di realizzare la comunità perfetta”. Niente fascinazioni. Niente pensieri grandiosi. Niente modelli utopistici. Niente sogni di comunità perfette – salvo quelli, da incubo, dell’industria 4.0 e del transumanesimo robotico e sub-umano alla Schwab, il primo architetto degli incontri di Davos. Al lavoro, disciplinati! E vi passeranno i grilli per la testa. “La sinistra, o è riformista, o perde”. Solo questo è possibile. Se si tiene presente poi che, a differenza di un secolo fa, oggi riforma ha il significato di contro-riforma, questa ingiunzione ha un suono lugubre.

    2. In una simile orgia di anti-comunismo democratico era inevitabile che l’imponente figura di Amadeo Bordiga, che fu centrale nella frattura tra riformisti e rivoluzionari di un secolo fa, dovesse essere rimpicciolita, occultata, rimossa. O, nella misura in cui non se ne può negare l’ingombrante presenza, che divenisse il bersaglio di tutto ciò che fu “sbagliato”. In forma differente, con intenzioni e finalità in parte diverse, lo stesso procedimento lo si ritrova in quanti in un modo o nell’altro rivendicano Livorno ‘21 per proporne l’abbandono, e non possono sfuggire alla vecchia abitudine di apportare grossolani ritocchi alle foto-ricordo. Per costoro il partito di Livorno risulterebbe fondato da Gramsci, o perfino da Togliatti, benché al Goldoni Gramsci restasse in silenzio e Togliatti fosse in secondo o terzo piano. La damnatio memoriae di Bordiga rimane in piedi1 a quasi un secolo dalla sua espulsione dal partito, decretata nel marzo 1930, e appresa dal comunista napoletano dai giornali. Ma ha gli anni contati. Perché la riscoperta del marxismo e la ripresa dei conflitti sociali in atto da un bel po’ negli Stati Uniti (dove tutto accade prima che in Europa) e altrove, non potranno non arrivare anche qui. E allora non si potrà evitare di imbattersi in questo “masso vivo”, in questo marxista sui generis. Che è stato la concrezione fisica e mentale, l’energica voce di un moto sociale che ha fatto irrompere sulla scena italiana e internazionale la forza cosciente e organizzata di masse di proletari combattivi protagonisti dell’insorgenza anti-bellica del giugno 1914 (la “settimana rossa”) e del fiammeggiante biennio di lotte operaie 1919-1920.

    3. Questo scritto è una presentazione molto sintetica di Amadeo Bordiga. Del militante, organizzatore e propagandista politico di primissimo rango, quale fu nella prima fase della sua battaglia comunista (1912-1926); e del “restauratore” di alcuni aspetti della teoria marxista in contrapposizione al capitalismo e allo stalinismo trionfanti, quale fu in una seconda fase del suo impegno (1945-1966). Si tratta di due periodi storici pressoché agli antipodi. In quanto il primo vide esplodere, per entro la “grande guerra”, il più ardito assalto al cielo mai compiuto dal proletariato, mentre il secondo ha celebrato il pieno rilancio del capitalismo, dopo un trentennio di catastrofi, attraverso l’inaudita espansione mondiale dei rapporti sociali mercantili e monetari, e dei connaturati valori culturali.

    In entrambi i casi Amadeo Bordiga è il nome individuale di uno sforzo collettivo che ha avuto più passaggi tra loro concatenati: circolo Carlo Marx di Napoli, Federazione giovanile socialista, frazione intransigente rivoluzionaria, frazione comunista astensionista, Pcd’I – sezione italiana della Terza Internazionale, Partito comunista internazionalista, infine Programma comunista. Anche se in tutti questi casi sarebbe ingenuo, e non corrispondente al vero, immaginare una perfetta corrispondenza tra il portavoce, come oggi usa dire, e il coro.

    4. Come si vedrà, questa non è un’apologia bordighista di Bordiga. Perché il bilancio di questa grande esperienza è, necessariamente, in chiaroscuro. Del resto, per due volte, nel 1926 e nel 1966, lo stesso Bordiga ha riconosciuto, con amarezza, la sconfitta degli sforzi collettivi di cui è stato parte. In ambo i casi la sconfitta è stata la risultante di forze oggettive di molto preponderanti: la stabilizzazione capitalistica e l’isolamento, l’accartocciarsi, la scomparsa della rivoluzione in Russia in un caso; un capitalismo affluente capace di ghettizzare i rivoluzionari (con tutto ciò che i ghetti comportano di angusto) nell’altro. Tuttavia, a meno di voler assumere una linea di determinismo assoluto, meccanico, estranea al materialismo storico, ci si deve chiedere se la portata e le conseguenze delle due (inevitabili) sconfitte non siano state per caso amplificate da debolezze o unilateralità di impostazione. La discussione di tale questione è elusa dai pochi che credono di difendere Bordiga dai suoi detrattori costruendone il mito del militante che non ha mai sbagliato2, ma non s’accorgono di cadere così in una di quelle celebrazioni superomistiche da lui sbeffeggiate con sarcasmo. Al presente e al futuro del movimento proletario serve, invece, un bilancio storico privo di soggettivismo e di miti.

    Lo scritto che segue accenna in più passaggi a questi punti deboli. Ma, dal momento che è l’introduzione alla prima Antologia di scritti scelti di Bordiga in lingua inglese3 e presenta a un pubblico internazionale un militante sconosciuto ai più, o conosciuto quasi esclusivamente per la critica tagliente che ne ha fatto Lenin ne L’estremismo, malattia infantile del comunismo, giocoforza i rilievi critici scivolano in secondo piano. Non ho modificato il testo per i lettori di lingua italiana perché, in generale, non sembrano più informati in materia di quelli di lingua anglosassone. Sicché ne resta immodificato pure il senso di fondo, che è l’invito a un confronto diretto e libero da pregiudizi negativi con l’“estremista” Bordiga e con le esperienze collettive che l’hanno espresso, e che ha espresse. Un invito rivolto non tanto agli storici del movimento operaio (alcuni dei quali già hanno saputo ristabilire, almeno in parte, spicchi di verità occultati dalle volgarità del togliattismo), quanto ai giovani che si stanno aprendo alle dinamiche dello scontro di classe perché cominciano ad avvertire a pelle che lasciar procedere il capitalismo sul suo tracciato obbligato, equivale ad entrare da vittime predestinate nella catastrofe globale.

    5. Questo invito a rivisitare il passato non ha un carattere né un intento storiografico. Spazzar via le omissioni e le contraffazioni di cui la Sinistra “italiana” è stata vittima, conta. Maggior valore ha, però, interrogarsi intorno a ciò che è vivo delle battaglie di Amadeo Bordiga che hanno portato a Livorno ‘21. Qualcosa? Molto più di qualcosa. Per quanto difettoso sia stato in lui e nel giovane Pcd’I il maneggio dell’arma tattica; per quanto eccessiva (e con tratti idealistici) sia stata la sua pretesa di schematizzare in anticipo tutte le possibili varianti della concreta dinamica dello scontro di classe; per quanto discutibile la (quasi) sovrapposizione tra tattica, strategia e principi; per quanto poco dialettica la sua visione della democrazia e limitata la sua concezione dell’azione politica4 – è evidente che non sono questioni di dettaglio; la sua battaglia contro le illusioni seminate dal riformismo, il suo anti-militarismo rigorosamente disfattista verso la “patria” borghese, la sua denuncia del cretinismo parlamentare, l’immediata sua comprensione del significato internazionale dell’Ottobre sovietico, il suo internazionalismo, sono, a tanta distanza di tempo, altrettante lezioni da apprendere e assimilare. Anche se il riformismo d’oggi è solo la pallidissima replica di quello di Turati; anche se l’amor patrio è un “valore” alquanto avvizzito come forza motivante – ma attenzione!, sempre velenoso; anche se è avvenuto un progressivo distacco tra masse lavoratrici e istituzioni parlamentari; anche se è ormai divenuta chiara anche ai più sprovveduti la stretta interconnessione tra le vicende socio-politiche dei diversi paesi e continenti.

    Altrettanto dicasi di alcuni aspetti della specifica originale restaurazione del pensiero marxista attuata da Bordiga e dal suo gruppo di più stretti compagni negli anni ‘50-’60. Non ha senso respingere il termine: originale. Perché quell’opera è avvenuta nel confronto critico con l’esperienza storica colossale nuova della “costruzione del socialismo” in Russia; un’esperienza di importanza mondiale – se si pensa a quanti paesi l’hanno in un modo o nell’altro presa a loro modello, e a quanto cara essa è stata a milioni e milioni di proletari combattivi. Lo sviluppo della tematica del programma comunista e della società comunista, attuato da Bordiga in opposizione al “socialismo” staliniano e alla dottrina stalinista, è, a mio avviso, avvicinabile alla formidabile messa a punto della teoria marxista dello stato, e dell’estinzione dello stato, compiuta da Lenin nel vivo di un’esperienza, purtroppo non riuscita, di trasformazione rivoluzionaria integrale del potere in senso sovietico.

    C’è una seconda ragione che giustifica il termine originale aborrito dai bordighisti. La ripresa delle categorie della critica dell’economia politica compiuta nel secondo dopoguerra da Bordiga depurandole dall’inquinamento dell’era staliniana, è avvenuto a confronto con la realtà del tardo capitalismo che ha realizzato ad un nuovo livello di profondità e onnilateralità il dominio reale del capitale sull’insieme dei rapporti sociali. Nonostante il suo paradossale battere sull’“invarianza”, Bordiga ha saputo estrarre e mettere in luce la dimensione anti-produttivistica ed ecologica del marxismo5, rimasta di necessità in ombra nell’esperienza russa chiamata, volente o nolente, a sviluppare le forze produttive capitalistiche anche con metodi capitalistici. Una dimensione che ne esalta l’antagonismo col capitalismo stramaturo che, nella sua folle ricerca di sempre nuove fonti di produzione del plusvalore, si caratterizza più che mai per una “feroce fame di catastrofe e di rovina”.

    Quando parlo di originalità, non intendo: invenzione. Ha scritto Rosa Luxemburg in Ristagno e progresso del marxismo (1903)6 che davanti a nuove questioni pratiche i “socialdemocratici” (così si chiamavano al tempo i rivoluzionari) potevano attingere “di nuovo nella riserva concettuale marxiana, per elaborare e valorizzare nuovi singoli frammenti della sua dottrina”. Quella riserva concettuale è un’enorme miniera esplorata solo in parte, e ancora da scavare – non la proprietà privata di una grande testa, bensì l’esito oggettivo della tormentata nascita dal ventre del capitalismo di un nuovo protagonista storico, che fin dai suoi primi vagiti con Babeuf e i suoi prodi ha manifestato la sua irriducibilità al ruolo di eterno schiavo salariato. Forze produttive contro rapporti sociali di produzione e di riproduzione; rapporti sociali di produzione e riproduzione contro forze produttive. Per dirla con Marx del Capitolo VI inedito:

    «la produzione in contrapposizione ai produttori, e senza riguardo per essi; il vero produttore come semplice mezzo per produrre; la ricchezza materiale come fine in sé; infine, e di conseguenza, lo sviluppo di questa ricchezza materiale in antitesi e a spese dell’uomo».

    Di questo originario insuperabile antagonismo Bordiga ha colto ieri con vista da lince le nuove linee evolutive che hanno portato al capitalismo di oggi: quando ha messo in luce l’ipertrofia finanziaria e speculativa, la mostruosa ipertrofia militarista e statalista del capitale, la sua ipertrofia debitoria e consumistica, la sua distruttività anti-ecologica, la sua capacità di spingere l’omologazione dei comportamenti individuali a livelli di rimbambimento di massa, il feticismo del capitale per una scienza e una tecnica sempre meno da feticizzare, l’inesauribile sua necessità di oppressione neo-coloniale e razziale. Non fatevi ingannare dai suoi provocatori motti: Bordiga non è stato un “rivoluzionario dagli occhi di antiquario”. Ha costantemente guardato all’indietro nella miniera non del tutto esplorata e piena di sorprese per capire il suo tempo e intravvedere, per quel che si può materialisticamente, il futuro del capitalismo, e soprattutto quello del comunismo.

    6. A differenza che nella prima fase della sua militanza in cui è stato essenzialmente un organizzatore e capo politico, Bordiga ha svolto negli anni ‘50-‘60 un lavoro assai più teorico che politico, attorniato da un gruppo di compagni che è stato, in sostanza, un gruppo di ricerca ed editoriale. Che non a caso si è auto-denominato Programma comunista, perché nella restaurazione del pensiero marxista di contro al “socialismo” staliniano, l’enfasi è caduta fortemente sul programma e sull’obiettivo finale della lotta proletaria al capitalismo. Ma per le circostanze in cui è avvenuto, di separazione totale dal proletariato in carne ed ossa, di totale assenza di un organismo comunista rivoluzionario internazionale, questo lavoro di alta fattura appare al tempo stesso inficiato in radice da dottrinarismo quando pretende di essere “guida per l’azione”. Laddove ha invece estremizzato, rivendicandole per pregi, le debolezze dell’impianto dei primi anni ‘20, in specie la sua debolezza fondamentale che sta nella concezione del processo rivoluzionario, del rapporto tra dinamica della crisi capitalistica e dello scontro tra le classi, movimento della massa degli sfruttati e azione di partito. Come ho detto altrove7, Bordiga opera nel secondo dopoguerra una catena di forzature che lo porta a rappresentare il partito quasi come il soggetto unico e decisivo del processo rivoluzionario fino a sostenere che “definisce la classe, lotta per la classe, governa per la classe e prepara la fine dei governi e delle classi”. Il che costituisce una sorta di canonizzazione metafisica del partito a scapito del ruolo attivo della massa della classe, degli sfruttati in generale, e dell’adeguata considerazione delle pre-condizioni oggettive che consentono ai proletari di “organizzarsi in partito” – ciò che per tanti versi è un palese riflesso (eternizzato) della specifica condizione di isolamento da una classe al momento “integrata”. E su questo Bordiga si demarca, in negativo, sia dai consiliaristi e da Rosa Luxemburg, sia da Lenin. E non a caso, e invano, cederà alla ricerca, o alla convalida, di formule organizzative (il centralismo organico, l’assoluta anonimità, il totale rifiuto di regole e statuti, etc.) capaci di preservare l’integrità del partito, entrando in contraddizione con la propria stessa convinzione che essa non può dipendere, per l’essenziale, da formule organizzative ma è dovuta a fattori di assai maggiore ampiezza e peso.

    Ecco perché ho parlato di un marxista sui generis. Non c’è dubbio, infatti, che nella seconda fase della sua militanza Bordiga storca il bastone da un lato nel senso del massimo determinismo (fino al punto da pretendere di poter prevedere con certezza l’arrivo della crisi generale, storica, del capitalismo al 1975), dall’altro nel senso di un’esaltazione quasi unilaterale del fattore soggettivo (partito-teoria/programma). Se il marxismo è, in estrema sintesi, la teoria, e quindi la strategia, per il superamento rivoluzionario del modo di produzione capitalistico, e dunque una guida per l’azione nel senso più ampio del termine; se il modo di produzione capitalistico è una realtà in perenne movimento e trasformazione, pur seguendo la ferrea, invariante legge della ricerca della auto-valorizzazione del capitale; se questo perenne movimento è sempre più globalizzato in un quadro di sviluppo combinato e disuguale; e se è vero che per auto-difendersi dal suo declino, il capitale sta saccheggiando e cercando di plasmare in profondità tutte le dimensioni della vita sociale, individuale e della natura non umana; allora è scontato che ogni marxista, ogni particolare aggregato di marxisti, sia sui generis – nel senso di parziale, incompleto, unilaterale, insufficiente se preso a sé. E ciascuno lo sia in un modo specifico. Non possa non esserlo. Non solo perché determinato dallo specifico contesto storico-sociale, e perfino personale, che l’ha espresso (ciò vale anche per le “aquile”). Ma anzitutto perché “dominare” la lotta contro un sistema sociale che ha assunto questa smisurata dimensione e profondità, abbracciare l’intero della critica teorica e pratica rivoluzionaria volta a mandare in archivio il capitalismo globale, possedere in pieno la totalità del programma delle trasformazioni rivoluzionarie da compiere, è compito che potrà essere adeguatamente assolto solo da un collettivo mondiale di rivoluzionari di tutte le razze, le nazionalità, i generi, quale neppure l’immaginazione più ardita può oggi prefigurare, nel senso di quella “rivoluzione anonima e tremenda” preconizzata da Bordiga.

    Ecco perché una ripresa dell’internazionalismo rivoluzionario che voglia fare tesoro, oggi, anche di ciò che è vivo nelle battaglie date da Bordiga, non può certo prendere le mosse dal bordighismo, e cioè dall’esaltazione e dalla fissazione delle debolezze d’impianto di cui abbiamo parlato qui fino a forme di vero e proprio nullismo politico teorizzato. I rivoluzionari non possono essere dei replicanti, e tanto meno replicanti di esperienze di intrinseca fragilità. Nel momento in cui la storia, invece di chiudersi e “finire”, si riapre con scenari da apocalisse, non c’è bisogno soltanto di conoscere l’obiettivo finale e il programma integrale del comunismo, ma anche di comprendere – e sarà una grandissima sfida – la via da percorrere8.

    7. La crisi epocale in cui ci ha precipitati, ed è precipitato, il capitale globale invera in modo spettacolare la previsione marxiana circa la capacità del capitale di superare le proprie crisi solo “mediante la preparazione di crisi più generali e violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse”. Non si tratta, però, di una mera spirale quantitativa. Questa crisi – le crisi capitalistiche non sono mai l’una la copia dell’altra – è la prima delle crisi generali del capitalismo esplosa (non dico: incubata) sul terreno dei rapporti di riproduzione sociale. La sua incubazione precede l’arrivo del covid-19, ma è desolante la ristrettezza di vedute di quanti lo riducono al ruolo di mero innesco esterno. Siamo di fronte alla combinazione incognita di crisi produttiva, crisi sanitaria, crisi ecologica, crisi dell’ordine internazionale. E gli affannosi tentativi di impedire la detonazione della crisi finanziaria e, con essa, di una colossale crisi sociale sono indicativi del fatto che siamo entrati in una terra ignota che prelude a un nuovo ciclo di “crisi, guerre, rivoluzioni”. Sono tra i non molti che hanno visto nelle sollevazioni arabe del 2011-2012 il primo, potente segnale premonitore di questo nuovo ciclo, che non poteva che venire da un’area semi-periferica, un anello debole9. Il secondo rush ha visto combinarsi, nel 2018-’19 le proteste sociali semi-periferiche – tutt’altro che secondario, in esse, l’apporto delle donne – in due continenti: Africa/Medio Oriente e America Latina. Il terzo atto è avvenuto, invece, lo scorso anno nel più centrale dei paesi del centro: gli Stati Uniti, il monopolista declinante, che ha visto accendersi al suo interno un ampio moto sociale in cui per la prima volta si sono spalleggiati a vicenda nella lotta giovani proletari neri, bianchi, latini, asiatici – l’intero mondo del proletariato internazionale concentrato in un solo paese, e che paese! Quel proletariato multi-colore, multi-razziale, multinazionale che anche in Italia, da un decennio, sta suonando la sveglia a tutti con gli scioperi dei facchini e dei driver della logistica organizzati con il SI Cobas e altri sindacati di base. Il puer robustus sed malitiosus che si credeva si fosse addormentato per sempre, inizia a sgranchirsi le membra. Sembra abbia fiutato il grande pericolo. Se è così, scrollandosi di dosso il suo torpore, dovrà farsi carico delle necessità e delle aspettative dell’intera specie e del suo habitat naturale. Come gli ha suggerito, più di mezzo secolo fa, Amadeo Bordiga.

    Note

    1La sola eccezione è il libro collettaneo Livorno Ventuno, Pagine marxiste-Pungolo rosso, Milano, 2021, che è da ricondurre alle posizioni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria.

    2Nel criticare questa attitudine dei bordighisti di Programma comunista ha avuto sicuramente ragione O. Damen, che ha parlato di “una frenesia di soggettivismo idealista, molto lontano da ogni seria metodologia marxista” – cfr. Bordiga au-delà du “mythe”. Validité et limites d’une expérience révolutionnaire, Éditions Prometeo, 2011, p. 8.

    3Edita nel 2020 da Brill, nella collana Historical Materialism, in collaborazione con la Fondazione A. Bordiga, con il titolo The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga (1912-1965), e un’eccellente traduzione dei testi da parte di Giacomo Donis e Patrick Camiller. Nei prossimi mesi l’Antologia sarà ristampata in edizione economica dall’editore militante statunitense Haymarket.

    4Tra le critiche più acuminate in campo marxista c’è quella espressa di recente da A. Mantovani, Gli “Arditi del Popolo”. Il Partito comunista d’Italia e la questione della lotta armata (1921-1922), Pagine marxiste, 2019. A suo avviso “l’attitudine da Bordiga ispirata verso gli Arditi del Popolo riassume un po’ tutti i limiti (l’isolazionismo, la concezione elitaria del partito, l’avversione per la duttilità tattica, la sottovalutazione del fascismo, l’anti-democratismo di principio, l’indifferentismo) della sua peculiare concezione apolitica” (p. 115 – c. m.).

    5Questo aspetto fondamentale della “restaurazione” della dottrina marxista e del programma comunista da parte di Bordiga è stato sottolineato con forza da Loren Goldner.

    6Cfr. R. Luxemburg, Scritti scelti (a cura di L. Amodio), Einaudi, 1975, pp. 223 ss.

    7Cfr. Intervista a David Broder, comparsa prima su Jacobin Italia – https://jacobinitalia.it/bordiga-il-leader-dimenticato/ e successivamente su Il pungolo rossohttps://pungolorosso.wordpress.com/2021/01/21/bordiga-il-fondatore-dimenticato-david-broder-intervista-pietro-basso-jacobin-italia/

    8Ho ripreso qui, quasi alla lettera, alcune annotazioni critiche fatte da Piero Favetta alla prima bozza di questa prefazione.

    9Cfr. L’intifada araba e il capitalismo globale, n. 1 de il cuneo rosso, luglio 2012.

    Da Il pungolo rosso

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