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(Memoria e progetto)

In memoria di Silvio Paolicchi

(7 Aprile 2021)

Il 6 aprile 1921 nasceva Silvio Paolicchi, comunista, partigiano, protagonista del movimento trotskista in Italia, e tra i primi dirigenti della nostra corrente. Fu uno dei due membri del Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano ed essere radiato per trotskismo. Vogliamo ricordarlo con questo articolo di Franco Grisolia, scritto in occasione del decennale della sua morte, avvenuta nel 2002, e con una testimonianza narrata in prima persona – l'unica sua intervista esistente – raccontata poco prima della sua morte, in cui ripercorre i capitoli della sua bella e significativa esistenza dalla nascita fino alla fine degli anni Sessanta. A Silvio va il ricordo e la gratitudine di generazioni di militanti marxisti rivoluzionari.

paolicchi 1963

Silvio Paolicchi nel 1963

Oltre dieci anni fa ci lasciava, dopo una lunga malattia, il nostro compagno Silvio Paolicchi, già dirigente nazionale del Partito Comunista Italiano e poi del movimento trotskista.
La maggioranza dei compagni del Partito Comunista dei Lavoratori non ha avuto l’opportunità di conoscerlo e apprezzarlo, e questo vale in realtà anche per la maggioranza di chi proviene dalla vecchia Associazione Marxista Rivoluzionaria Progetto Comunista, a causa della malattia che gli impedì l’attività concreta negli ultimi anni di vita. Alcuni/e compagni e compagne lo hanno conosciuto per un articolo uscito nel quinto anniversario della sua morte su uno dei primi numeri del nostro giornale. Crediamo importante che la memoria di questo straordinario dirigente rivoluzionario sia preservata e portata a conoscenza dei nuovi iscritti e sostenitori del nostro partito.


DA PARTIGIANO COMUNISTA A DIRIGENTE DEL PCI


Silvio era nato nel 1921 a Pisa in una famiglia proletaria e in un ambiente dominato dall'influenza delle forze rivoluzionarie del movimento operaio: i comunisti, ma anche gli anarchici. Silvio si forma politicamente in questo ambiente, e qui diviene, giovanissimo, nella clandestinità, militante del Partito Comunista Italiano. Riesce, per la sua intelligenza, a diplomarsi e a frequentare l’università (cosa all’epoca molto rara per un giovane di famiglia proletaria).

Dopo lo scoppio della guerra è chiamato alle armi e diventa ufficiale di complemento. L’armistizio dell’8 settembre ’43 lo trova di guarnigione nelle Alpi piemontesi. Organizza subito la lotta partigiana nell’ambito delle Brigate Garibaldi. Nel 1944, in uno scontro coi tedeschi, rimane ferito, e sviene; viene così catturato. Silvio ricordava un episodio della fase che seguì. In ospedale in attesa di processo, disse ai militari tedeschi che lo sorvegliavano: “Piantiamola con queste buffonate, fucilatemi subito e non se ne parli più”. Al che uno di essi, un sergente, gli rispose con gentilezza: “Non dica così, abbia speranza, può salvarsi”. Silvio capì che era un antinazista, un comunista o socialista, obbligato a vestire la divisa del suo esercito imperialista, che voleva lanciargli, in quel frangente drammatico, un messaggio di solidarietà internazionalista.
L’economia di guerra tedesca ha bisogno di braccia giovani, e così Silvio è condannato alla deportazione in Germania. Lì vive, com’è ovvio, mesi durissimi fino al crollo del nazismo.

Al ritorno in Italia trova il PCI impegnato nel governo di unità nazionale. Più di quarant’anni dopo, Silvio ci raccontò dei suoi dubbi e della sua riflessione su posizioni alternative (legge la stampa bordighista, allora la principale corrente rivoluzionaria, essendo il trotskismo debolissimo). Ma, per il momento, ciò non si traduce in posizioni organiche, e Silvio resta nel PCI, diventandone subito dirigente. È segretario della federazione di Pisa, poi anche membro del Comitato Centrale. In tutti quegli anni Silvio, pur nell'ambito del partito stalinizzato, mantiene sempre un atteggiamento di indipendenza e coerenza rivoluzionaria, nel quadro di una profonda ostilità allo stalinismo. Alla fine degli anni ’50 Silvio si trasferisce a Roma per assumere incarichi di direzione nell’ambito del dipartimento organizzazione nazionale del PCI. Nei primi anni '60 diventa poi presidente nazionale della Lega delle Cooperative, incarico prestigioso in una struttura allora diversa da quello che è diventata oggi, e più legata al movimento operaio.


IL PASSAGGIO AL TROTSKISMO


Ciononostante Silvio è il contrario dell’alto burocrate che il ruolo che ricopre sembrerebbe determinare. La coerenza politica di comunista è il suo punto di riferimento, e per questo è pronto a mettere in gioco ogni incarico e posizione personale. È infatti in questo momento che il lungo periodo di riflessione critica di marxista rivoluzionario antistalinista giunge alla sua conclusione logica, con l’adesione al trotskismo.

Silvio ci raccontava che a questa scelta avevano contribuito anche i suoi numerosi viaggi nell’Europa orientale e in URSS, in cui il confronto con la realtà del dominio burocratico lo portava a convincersi della correttezza dell’analisi di Trotsky. Così nel 1964 aderisce alla sezione italiana del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale, che aveva allora il nome di Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR), e di cui diventa immediatamente uno dei dirigenti. È l’epoca del cosiddetto “entrismo sui generis”, con cui, sulla base di una politica assai lontana dal troskismo conseguente, i militanti del Segretariato Unificato intervenivano – ovviamente senza dichiarare apertamente la loro affiliazione – nei partiti comunisti, per cercare di influenzare i loro settori di sinistra.
Silvio partecipa così alla battaglia dell’area ingraiana per l'XI congresso del PCI del gennaio 1966, che, come prevedibile, Ingrao finisce per tradire. Silvio combatte la battaglia con una coerenza e radicalità particolare. Nel contempo, come presidente della Lega delle Cooperative, mantiene una ferma linea di opposizione alla politica borghese di tipo keynesiano del primo centrosinistra.

Le sue posizioni sono oramai insopportabili per la burocrazia riformista, e i legami con l’organizzazione trotskista evidenti. Così, alla fine del '66, Silvio viene sostituito alla Lega e poi viene radiato dal partito. Comincia un nuovo capitolo della sua vita, trasferendosi a Milano, dove ha trovato lavoro presso l'editore Mondadori.
Poco dopo, le contraddizioni della politica opportunista dei GCR esplodono, portando a un disastro per il trotskismo in Italia. Nonostante moltissimi compagni entristi siano stati esclusi dal PCI dopo l'XI congresso e si cominci a sviluppare una radicalizzazione indipendente, la linea proposta da Livio Maitan continua ad essere la stessa: attendere, muovendosi cautamente, che un qualche settore o dirigente dell'apparato si ponga alla testa di una battaglia in cui inserirsi. In questo quadro la grande maggioranza dei dirigenti e dei militanti finiscono per "buttare via il bambino con l'acqua sporca": propongono lo scioglimento dei GCR e, influenzati anche degli avvenimenti di quegli anni, danno vita a vari gruppi maoisti, più o meno critici verso lo stalinismo, riducendo al lumicino il marxismo rivoluzionario italiano proprio all'apertura della fase di grande ascesa del 1968-1976.


IN DIFESA DEL MARXISMO RIVOLUZIONARIO


Silvio è di un'altra tempra. La sua comprensione della validità del trotskismo e del suo programma è profonda. Combatte per il marxismo rivoluzionario sul piano nazionale e a Milano. Qui, dopo l'uscita prima del gruppo dei giovani intorno a Brandirali (che daranno vita all'Unione dei Marxisti Leninisti - Servire il Popolo), poi di quello "operaio" con Massimo Gorla e Luigi Vinci (che costituiscono Avanguardia Operaia), Silvio si ritrova, alla fine del '68, addirittura solo. Riprende un lavoro da certosino, fatto di vendita del giornale, intervento nelle assemblee e nei dibattiti, discussioni individuali. Diventa così un punto di riferimento, con la sua intelligenza e il suo carisma, per nuovi, giovani compagni, costruendo, controcorrente, in un momento in cui l'estrema sinistra è dominata dal maoismo e dallo spontaneismo, una limitata ma solida presenza del marxismo rivoluzionario a Milano.

Coerente con le posizioni programmatiche e politiche che gli erano proprie, Silvio non si adegua a quello che non condivide e lotta anche nel movimento trotskista per una coerenza di posizioni rivoluzionarie e leniniste, contro ciò che è inconseguenza o abbandono di tali posizioni. Delegato al congresso mondiale del Segretariato Unificato del 1969, si inserisce nelle discussioni che travagliano a partire de quell'anno il SU. Si pronuncia contro la sostituzione aperta del metodo leninista con la strategia della "guerra di guerriglia" per l'America Latina (che in Argentina portò alla disastrosa esperienza dell'ERP) e contro il nuovo adattamento, politico e strategico, alla nuova sinistra centrista e spontaneista.

Lo sviluppo della battaglia critica lo porta alla rottura, alla metà degli anni '70, con i GCR. Partecipa cosi alla breve esperienza della Lega Comunista, gruppo il cui principale dirigente è Roberto Massari. Poi, al suo scioglimento, nel 1979, porta un nucleo di giovani operai e studenti milanesi ad unificarsi con il gruppo in cui militava chi scrive, dando vita alla Lega Operaia Rivoluzionaria (LOR), piccola organizzazione di alcune decine di militanti, centrati prevalentemente su Milano e Genova. Silvio fu, ancora una volta con chi scrive e con Marco Ferrando, uno dei tre membri della sua prima segreteria.
La LOR è organizzazione piccola ma non settaria. È così che in funzione di una migliore battaglia politica in Italia, e rispetto anche alla complessità in quel momento del raggruppamento internazionale (mai mancato, nel nostro impegno), decidiamo di confluire – mantenendo le nostre posizioni critiche – alla fine del 1984 all'interno della sezione del SU, ormai denominata Lega Comunista Rivoluzionaria (LCR).

Silvio inizia in quegli anni ad assumere un ruolo meno di primo piano. La vecchiaia infatti non gli è amica: problemi di salute, anche prima dell'ultima grave malattia, e la perdita del primo figlio, poco più che trentenne. Ma Silvio continua tuttavia ad essere, in forme diverse da prima, un militante. È nel quadro delle sue posizioni che vede le opportunità offerte per una battaglia marxista della nascita del Partito della Rifondazione Comunista, impegnandosi perché anche i militanti trotskisti prendano parte alla sua costruzione; lottando con noi contro quel settore della ex LCR (nel frattempo confluita in Democrazia Proletaria e mantenutasi come Associazione), che esprime riserve su tale scelta. È attivo nel PRC, sempre conseguentemente con le sue posizioni e quindi come sostenitore della minoranza congressuale ed aderente all'Associazione Marxista Rivoluzionaria Progetto Comunista, che ha sostenuto fino alla fine. Solo una grave e lunga malattia lo allontana, negli ultimi anni, dalla militanza attiva.

Restio ad ogni retorica e personalismo, Silvio non volle che alla sua morte seguisse alcuna cerimonia pubblica.
Resta nella memoria e nel cuore di chi scrive con la sua coerenza rivoluzionaria, la sua intelligenza, la sua cultura, il suo carisma, la sua giovialità toscana, così come crediamo resti in quelli di tutti i compagni e di tutte le compagne che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene.

Franco Grisolia - Partito Comunista dei Lavoratori

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