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Gutta cavat lapidem?

Gutta cavat lapidem?

(19 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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A Palazzo Chigi va di scena la (contro)riforma della la P.A.

(9 Aprile 2021)

palazzo chigi

Il 10 marzo 2021 nella Sala Verde di Palazzo Chigi si è svolta la cerimonia che sancisce la firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale.
I firmatari sono il Presidente del Consiglio Mario Draghi, il Ministro della P.A. Renato Brunetta e i Segretari Generali di CGIL CISL UIL.
Destinatari del Patto i lavoratori dello stato, delle regioni, degli enti locali, della scuola, della sanità, e delle agenzie pubbliche.
Nel documento si parte dalla situazione emergenziale caratterizzata dalla crisi epidemica, per varare un piano di ricostruzione e rilancio che pone come centrale il lavoro pubblico.
Viene ribadita l’occasione straordinaria offerta da Next Generation EU per la modernizzazione e coesione sociale, in un quadro di sostenibilità sociale, ambientale, istituzionale e occupazionale.
L’occupazione, viene subito specificata come “buona”; buona nel senso che deve essere legata evidentemente alle esigenze dell’ ”azienda Italia” e cioè più vicina all’industria alle attività produttive e conseguentemente non centrata sulla universalità dei servizi.

Ruolo della P.A.
La P.A. da malato dello stato a motore dello sviluppo. Ma come? Attraverso la semplificazione dei processi che significa far lavorare meglio e di più gli addetti e contestualmente ridurre il personale, perche ogni investimento in capitali che prevede immissione di tecnologia o tecniche organizzative innovative è finalizzato ad un incremento della produttività della forza lavoro e non alla tutela di chi vi lavora. E’ stato sempre così!
L’incipit del Patto promette: stabilità, aumento dell’occupazione e valorizzazione professionale.
Non costa niente fare affermazioni così generiche ma è nel come attuare tutto questo che si svela quanto gli autorevoli firmatari non siano dissimili da vocianti imbonitori.
Vengono delineate e anticipate le linee generali della riforma e le ricadute a livello sindacale e quindi contrattuale.
Nel Patto non vengono anticipate cifre e impegni economici.
Questo è nella natura di una intesa politica tra soggetti sociali (sindacato) e istituzionali.
Sorprende però che l’impostazione politica della bozza di Piattaforma Unitaria di CGIL CISL UIL è sovrapponibile al Patto anche nel nome: “Rinnoviamo la P.A.”.
La bozza di questo documento confederale è stato reso noto il 4 dicembre del 2019, prima che esplodesse la pandemia.
Il terremoto epidemico se da una parte ha cambiato la vita, aspettative, prospettive politiche e rivoluzionato sin anche i comportamenti sociali, non ha indotto nessun ripensamento nel sindacalismo confederale.
La bozza non è stata rivista e la rivendicazione di 107€ medi di aumento (pur non presente nel documento) da più parti ne viene confermata la cifra; cioè la stessa avanzata nella piattaforma confederale.
Dal Presidente del Consiglio (appena fatto Santo a furor di media), dal ministro della P.A. e dai confederali si attenderebbero misura e metodo e invece ci si ritrova con la solita chiacchiera inconsistente messa per iscritto.

Si sostiene che l’epidemia ha fatto emergere dal corpo sociale forte doti di resilienza e capacità d’adattamento.
Gran parte del Patto poggia su questa valutazione: vista la prova di resilienza e adattamento messa in campo dai lavoratori perché non inaugurare un nuovo esperimento?
Perché non sondare ulteriori livelli di resistenza e sopportazione?
Il ragionamento di fondo trae spunto, ed esempio, dal ricorso al lavoro agile.
Visto che in piena epidemia era richiesto il distanziamento per necessità sanitaria, non per scelta, al perdurare della crisi sanitaria e in previsione di un suo superamento facciamo di questa necessità una virtù utile non solo ai fini sanitari ma soprattutto produttivi. Di virtuoso c’è solo il giro di parole perché il vero obiettivo è atomizzare il lavoratore, isolarlo dai suoi compagni e minarne le capacità di coalizione.

Forti di tanta capacità d’indirizzo si pretende di superare le fragilità, non negate, della P.A., e iniziare a smaltire il lavoro accumulato. Potete fare di più: al lavoro, al lavoro!
Queste le direttive della riforma:
a) Investimento in connettività. Direttiva tanto innovativa che se ne parla da almeno vent’anni.
b) Aggiornamento delle competenze che prevede la selezione dei migliori. Chi selezionava i peggiori di ieri? Sempre loro!
c) Nuova stagione delle relazioni sindacali. Anche questa, con segnate accezioni, lo si era sentito dire.
Il rinnovo dei contratti, viene detto, è un investimento politico e sociale che va tra l’altro a favorire il rilancio dei consumi. Con questa impostazione vengono snaturati senso e finalità dei contratti e cioè di un necessario confronto-scontro d’interessi.
Se proprio un aumento omeopatico verrà concesso, questo deve servire a tenere alti i consumi.
Mica si vuole attentare al profitto commerciale!
Viene affermato che il rilancio della P.A. parte dall’investimento in risorse umane. Con questo annuncio ci si aspetterebbero assunzioni in massa di nuovi dipendenti. Non è così.
L’investimento è circoscritto a chi “con giusto merito lavora quotidianamente”.
Qui c’è il ritorno del Brunetta delle origini che premia i buoni (ma non devono essere tanti, solo una èlite, più cooptata che selezionata ) e castiga i soliti “fannulloni” che per un breve lasso di tempo erano diventati eroi.
Non manca un ossimoro !!! Il Patto ha come pilastro e obiettivo delle nuove relazioni sindacali l’efficacia conclusiva della stagione contrattuale 2019-2021. Ergo, alla scadenza del contratto, l’efficacia non può che essere conclusiva e residuale.
Per il 2019-2020 e parte del 2021 nessuna efficacia può essere dispiegata se non il solito ricorso all’una tantum che è la soluzione di sempre per abbattere aumenti di stipendio annunciati ma che in corso d’opera diventano fittizi.
Le nuove assunzioni.
Altra ovvietà: la modernizzazione deve fondarsi sull’ingresso di nuove generazioni. Certamente gli ultra sessantenni non hanno chiesto il posticipo dell’età pensionabile, semplicemente l’hanno subito. Di conseguenza bisogna investire sul ricambio degli operatori. In questo passaggio la creatività abbandona la logica più elementare.
“Un ulteriore investimento verrà realizzato definendo un piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzioni del personale sulla base di una puntuale ricognizione e revisione dei profili professionali necessari ad accompagnare la transizione"

Siamo di fronte ad una visione delle cose capovolte. In un mondo normale solitamente si parte dalla ricognizione dei bisogni (servizi da dispensare), se ne definiscono le grandezze e si vara un programma per realizzare gli obbiettivi. Parallelamente si fa l’inventario delle risorse (uomini e mezzi) e delle competenze necessarie alla realizzazione del progetto.
Nel Patto invece si parte dai profili professionali, profili vecchi e nuovi, e poi a cantiere aperto si scoprirà quali e quanti sono i bisogni da soddisfare.
C’è da scommettere che le possibilità di avere una sovrabbondanza da una parte e una carenza dall’altra siano da attendere con regolarità statistica. A cui porre riparo con la resilienza e la capacità d’adattamento?
Se queste “virtù” verranno meno, poco male, c’è sempre il ricorso al privato che vive e si giustifica con le inefficienze, create ad arte, della P.A.
Le Competenze
Contestualmente verrà attuata la revisione dei titoli e delle competenze del personale in servizio. Questo, dopo un lungo corso lavorativo, molto vicino all’uscita pensionistica, dovrà sottoporsi al tagliando per una nuova corsa, per un nuovo rodaggio.
Dopo 35-40 e passa anni di servizio svolto sul campo arriva un valutatore (tecnologizzato?) che probabilmente non ha esperienza diretta del lavoro da svolgere a dare i voti? Siamo all’invasione degli ultra corpi!
La flessibilità
Ministro e OOSS condividono il principio della flessibilità che investe il campo dell’organizzazione del lavoro, i lavoratori e le tecnologie da implementare. Si vuole più rapidità e adattività nei processi. Più taylorismo e dettagliate tempistiche da rispettare. La parola chiave è produttività.
Problema. Nel lavoro d’assistenza sanitaria, ad esempio, come si definisce il benchmark (parametro di riferimento) dei bisogni assistenziali? Questi mutano da individuo ed individuo e la loro complessità si accresce a dismisura a fronte di pandemie e calamità naturali.
Qui l’elasticità da dispiegare consisterebbe proprio nell’avere delle riserve di personale da far scendere in campo per gestire urgenze ed acuzie. La vera qualità, la vera professionalità, è garantire un rapporto tra personale sanitario e pazienti tendenzialmente vicino a 1. Se questo è utopia, la realtà quotidiana è un incubo!

I disastri nella gestione del covid-19

L’epidemia è arrivata, ha falciato vittime il cui numero poteva essere più contenuto, non è passata e non si sa quando si potrà voltare pagina. Ma si ha una certezza. Non ha insegnato nulla. Il numero di infermieri, medici ed OSS dall’esplosione della pandemia in Italia è diminuito. Alla domanda di salute vertiginosamente aumentata si è sopperito solo affidando ai privati la gestione di quote di competenze sanitarie; in Liguria, la sovrastruttura ALISA ha affidato ai privati l’assistenza domiciliare covid-19. Altrimenti, quando proprio non si poteva fare altro, assunzioni a tempo determinato, interinali ecc. ecc. E’ evidente che incrementare la spesa pubblica si configura come un attacco alla sanità privata. Non c’è nessuna volontà politica di rompere un equilibrio tutto spostato a favore del capitale privato, anzi, vista la cattiva prova esibita dalla sanità pubblica, quella privata ne esce rafforzata e può allargare il suo fatturato coi vaccini, i presidi, ecc. Ogni inefficienza della prima è occasione di mercato per la seconda. Tutto il gran parlare di investimenti per potenziare la sanità in realtà va letto come nuove risorse su cui le mafie del capitale, legali e non, si avventeranno. Tutto il gran parlare sulla sanità pubblica, vista la crescente aziendalizzazione di cui è preda, è facile prevedere che partorirà ulteriori tagli alla spesa sanitaria e dei servizi alle persone in generale.

La contrattazione integrativa.

La contrattazione di secondo livello si configura come strumento avanzato per la valorizzazione delle prestazioni individuali e settoriali. Il sindacato viene chiamato a contrattare, o meglio a cogestire, campi specifici di valutazione, spesso di singole persone che svalorizza la ragione stessa per cui è nato il sindacato: la contrattazione di interessi collettivi e di classe.
Si vuole far coincidere la stipula dei contratti con:
a) la riforma dei profili professionali,
b) con la messa a regime dello strumento del lavoro agile (doveva essere una soluzione straordinaria per la pandemia), c) la formazione continua,
d) percorsi formativi dati in appalto ad agenzie accreditate e alle stesse sigle sindacali.

Nulla di nuovo se non l’accumularsi di temi (contrattuali?) sempre più distanti dalla contrattazione di bisogni collettivi. Sono tappe d’avvicinamento ad un profilo contrattuale che tende alla individualizzazione del rapporto di lavoro.

Viene sottolineato che per realizzare la riforma non è necessaria la stesura di nuove leggi. La via contrattuale (ovvero di parti sociali che già in partenza hanno concordato percorso e obbiettivi) è considerato uno strumento più agile e flessibile come il just in time delle produzioni: produzione just in time di norme da adattare ai servizi pubblici, in questo caso. L’adattabilità, l’instabilità, la precarietà, l’insicurezza è l’orizzonte che il redivivo Brunetta 2.0 vuole riservare ai lavoratori della P.A. La velocità delle assunzioni (mai si era vista tanta fretta) assegna più potere alle Direzioni, maggiore discrezionalità, più potere di nomina.
Questo può significare un preferibile ricorso a contratti precari che bypassino i lenti e dispendiosi concorsi pubblici regolati da leggi. Ecco perché viene espressamente detto “non servono nuove leggi”. Questa acquiescenza dei confederali alle linee di politica generali dello Stato fa di essi parte della macchina statale.
In questo contesto di controriforma, la formazione continua diventa un diritto/dovere soggettivo, che, in caso di controversie, sposta il quadro di riferimento dal sindacato all’area giudiziaria e legislativa.
Su molte materie, le OOSS, nel Patto, vengono bypassate e il lavoratore è posto oggettivamente in una posizione di minorità rispetto alle direzioni. Questo ruolo subalterno ed ancillare al padronato pubblico è accettato di buon grado da CGIL CISL UIL. Questi sono disposti a vendersi anche l’anima pur di avere un ruolo nella concertazione oggi prontamente recuperata ma solo in parte rispetto ai fasti del passato.
Un sindacato in sedicesimo disposto ad avallare ogni scelta della controparte, a condizione di figurare, fosse pure come comparsa, nel cast.
La professionalità.
Il veleno di un malinteso valore della professionalità accentua la concorrenza tra i lavoratori, la rincorsa al premio mediato dalla valutazione di un staff dirigenziale sempre più terminale delle direzioni.
Direzioni con un profilo sempre più manageriale che mal si concilia con l’attività di servizio, soprattutto in campo sanitario, che dovrebbe vedere la prevalenza di valori etici su quelli puramente produttivi orientati al primato del bilancio.
Sempre in campo sanitario, l’ossessione della performance individuale va a colpire direttamente il lavoro d’équipe che è basilare per la qualità del servizio, anzi la qualità è direttamente una conseguenza della combinazione di più interventi coordinati.
Dopo tanta dissertazione filosofica che prende gran parte della stesura del Patto, vediamo su cosa già concordano le parti (indistinguibili e intercambiabili nei ruoli).
Possiamo osservare la puntuale concordanza con quanto prevedeva la piattaforma contrattuale della Sanità su quanto concordato. Possiamo riprendere pari pari quanto analizzato e criticato a suo tempo.

(vedi nostro articolo “Bozza CGIL CISL UIL per il rinnovo del contratto della Sanità Pubblica 2019-2021 (E la chiamano piattaforma…)”

Salvaguardia dell’elemento perequativo.

Questa voce non è più parte distinta della retribuzione ma parte integrante della retribuzione di base.
Sotto la voce elemento perequativo, pensato a beneficio dei livelli retributivi più bassi, dall’1/4/2018 si riconosce per 9 mesi in busta paga un incremento salariale mensile di 4 € per Ds6 10 € per i D4, 30 € per il livello A. Sono cifre di cui già disponiamo e che si vuole estendere per 13 mensilità. Recupero salariale effettivo è per Ds5 e Ds6 36€ all’anno, per D4 40€, per A 140 €.

Nuovo sistema di classificazione professionale.

Viene messo l’accento sulle competenze, i percorsi formativi, le responsabilità e l’autonomia professionale. Intanto i carichi di lavoro aumentano e la vera competenza del fare pesa sulle spalle di operatori ridotti di numero e appesantiti dall’età a seguito di ricambi generazionali fatti con il contagocce. E il più delle volte le nuove leve entrano in servizio con contratti a tempo determinato e/o interinali.
Quando, se non ora, far scorrere le graduatorie degli idonei?
Quando, se non ora, stabilizzare il precariato che si continua ad alimentare in quantità industriali?

Come corollario al progetto di rivisitazione dell’ordinamento professionale si fa riferimento alla necessità della valorizzazione di specifiche professionalità (non dirigenziali).

Nella bozza contrattuale presentata da CGIL CISL UIL prima dell’esplosione del covid-19 veniva detto:

“In particolare il nuovo contratto dovrà incominciare un percorso di progressiva armonizzazione degli strumenti di valorizzazione professionale fra i contratti dei dipendenti del comparto e della dirigenza, oggi operanti nel sistema sanitario pubblico, sia per quanto riguarda la struttura della retribuzione che per tutti gli altri istituti a partire dal sistema degli incarichi e al fine di garantire percorsi di carriera che diano risposte a tutte le professioni”

Su questo “dovrà incominciare un percorso”, sempre fermo ai nastri di partenza, viene veicolata l’illusione di una promozione economica e sociale legata al riconoscimento di lauree, master e titoli vari.
Pur nell’ambiguità di linguaggio, stanno dicendo che i designati, gli incaricati, i pretoriani delle linee aziendali sono un affare delle Direzioni … sentiti (forse) i sindacati maggiormente rappresentativi che certamente daranno battaglia, ma solo per piazzare i propri vice boss.

Per chi non riesce a liberarsi della sindrome da piccolo medico questo “dovrà incominciare un percorso” viene amplificato e vissuto come la soluzione. Viene alimentato il distacco dagli altri lavoratori poco titolati ed è facile l’auto inganno di rappresentarsi come altro da lavoratori salariati. L’illusione del vincere facile li rende oggetto della demagogia.

Ma non bastano i flash mob e il rivendicare “rispetto per gli infermieri”, andati in onda in molte piazze.
Rispetto, applausi e prossimamente monumenti non mancheranno, ma condizioni di lavoro e livelli retributivi migliori si conquistano con la lotta e l’unità di tutti gli operatori sanitari e socio-sanitari, sia pubblici che privati.

Il passaggio nella dirigenza in forza dei titoli è una pia illusione e se il miracolo si compirà sarà a favore di una esigua minoranza di figure da associarsi come caporali nella gestione manageriale di aziende sempre meno sanitarie e sempre più infiltrate da potentati privati interessati solo a realizzare profitti.

In un sistema dove tamponi, mascherine e perfino l’ossigeno, e quindi la vita e la morte della popolazione, sono regolati dal mercato, anche il costo della forza lavoro dei “professionisti” della sanità risponde a questo criterio.

In un sistema dove tutto è regolato dal mercato, la promozione della professione (tutte le attività, dalla più semplice alla più complessa, hanno contenuti di professionalità) o è per tutti o per nessuno ed è strettamente legata alla difesa di una sanità pubblica ma che deve essere anche universale, altrimenti non è né pubblica né universale.

La riclassificazione è un bla bla avvolto nella nebbia ma pudicamente si dice che “A tal fine andranno individuate risorse economiche specifiche da dedicare a questo punto”: ma non si pensa neanche lontanamente di strappare al padronato le risorse con la lotta.
Fanno finta di concordare “con ARAN e con il Comitato di Settore”,… “all’interno della commissione paritetica sulla revisione dei sistemi di classificazione professionale (art. 12 CCNL 2016-2018) al fine di elaborare un documento da consegnare ai soggetti negoziali per la definizione del CCNL 2019 -2021.” Auguri.

Cosi terminavano le nostre previsioni a commento delle illusioni mal riposte. Oggi con la firma del Patto si sciolgono come neve al sole le illusioni di un avanzamento professionale: più che promozione delle professioni, si attua una retrocessione della gran parte dei lavoratori e continua il depotenziamento dell’intero sistema sanitario pubblico.

La nuova stagione contrattuale.

Nel quadro della nuova stagione delle relazioni sindacali l’obiettivo non dichiarato è l’ulteriore demolizione del CCNL. Viene dato maggiore peso alle istituzioni professionali a partire ad esempio dalle OPI (ordini professioni infermieristiche). L’accentuazione dei temi professionali comporta una minore tutela degli interessi generali. Si apre così un’altra corsia su cui accelerare il processo di individualizzazione del rapporto di lavoro delle categorie.

Nel mentre monta la critica (finta, strumentale e inconseguente) alle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori di Amazon, dove gli accenti nazionali e populisti si sprecano, nel contempo si reprimono e criminalizzano le lotte nel resto della logistica.
Si attacca giustamente a parole la linea anti sindacale di Amazon, che persegue relazioni che bypassano le OOSS, una condotta che tocca nel vivo la natura stessa del sindacato concertativo, che può fare a meno delle lotte ma non di un tavolo intorno a cui sedersi.
A tavolo acquisito o concesso, vedremo quanto ardore conflittuale verrà conservato!
Questi stessi sindacati però ne accettano la filosofia di fondo antisindacale (di Amazon e di altre aziende. anche italianissime ) consegnando i singoli lavoratori disarmati al padrone pubblico che si pone sempre più come un imprenditore privato.

Welfare

Sviluppo del welfare contrattuale, che di fatto va a svalorizzare il welfare universale, restringendo l’area di protezione ai soli lavoratori occupati. Si allarga la forbice per la fruizione dei servizi tra lavoratori con un lavoro stabile e la marea crescente di lavoratori instabili, sottoccupati, non occupati. I servizi universali saranno a misura di portafoglio cioè non più universali.

Previdenza complementare.

Nel contempo si promuove la previdenza complementare cioè quella esposta alle turbolenze della finanza che vede le OOSS e le associazioni padronali compartecipi nella gestione dei fondi pensione.
Dopo aver contribuito ad azzoppare la previdenza pubblica, le OOSS concertative si trasformano in venditori-imbonitori delle protesi (pensioni integrative).
Come dei volgari mariuoli, vogliono imporre attraverso lo strumento del silenzio/assenso la confisca del TFR agli assunti post 2019. La rapina della banda confederale si spiega con lo scarso successo dei fondi Sirio e Perseo proposti da questi. L’adesione è stata del solo 5,2% dei lavoratori.
Di qui il passaggio alle maniere forti e truffaldine. Anche questo viene affrontato nel Patto, ma non si è resa necessaria nessuna forzatura del Governo né del Ministro Brunetta. Tutto era previsto dalla legge 205 del 2017, legge ovviamente benedetta dalle segreterie confederali di allora.
Il 26 marzo i confederali e le ruote di scorta di quel che resta del sindacalismo di base sono stati convocati dall’ARAN per il passaggio attuativo della legge. I nuovi assunti hanno sei mesi di tempo per esprimere il dissenso.
Noi abbiamo sei mesi di tempo per condurre una campagna di denuncia per avvertire che in circolazione ci sono dei ladroni vestiti da sindacalisti che vogliono mettere le mani sul TFR.

La premialità

Viene ribadito, ma non c’era la necessita, il principio della premialità che permea ogni aspetto della vita lavorativa e non dei lavoratori pubblici.
A chiarirne ulteriormente la deriva è la costatazione che di pubblico e di giurisprudenza pubblica è rimasto poco o niente. La logica mercantile è dominante ed incontrastata. A questo punto è più che legittimo mutuare dal sistema privato l’implementazione delle agevolazioni fiscali.
I treni pubblici e privati sono arrivati nella medesima stazione.

si cobas

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