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(19 Aprile 2021)
La pandemia ha portato allo scoperto la pericolosa fragilità di una sistema plasmato dal modo di produzione capitalistico. Nel giro di poche settimane, sono miseramente crollate le mitologie di sviluppo & progresso, sempre dietro all’angolo. E solo da pochi godute. Il virus è la variabile impazzita suscitata dalla devastazione ambientale nelle aree di maggior industrializzazione: Wuhan come la Padania. Ne ho parlato quasi un fa [Chuang, Social Contagion, luglio 2020], sottolineando l’assoluta incapacità dei vari governi ad affrontare il virus, anzi, ricorrendo a rimedi peggiori del male, in testa gli Usa, a ruota il Brasile...
Non solo, il Covid giunge in una fase che da almeno quarant’anni vede il modo di produzione capitalistico arrancare. Furbo espediente per risollevare le sorti del capitale (caduta del saggio di profitto) fu la galoppane finanziarizzazione, a scapito dell’economia reale, l’industria, che, anzi, venne subordinata alla finanza. Corollario, in Occidente, furono deindustrializzazione e delocalizzazione, in aree che assicuravano forza-lavoro e materiali a buon mercato, la Cina in primis. E prodotti a buon mercato, ma scadenti, hanno invaso l’Occidente, contribuendo a tener bassi i salari.
Le deleterie conseguenze si videro con il crash del 2008. Ma non ci fu alcuna inversione di tendenza. Anzi, lor signori perseverarono più allegri di prima. Sciamarono promotori finanziari e agenti immobiliari.
Venendo all’oggi, è significativo che, all’inizio della pandemia, 2020, in Italia non c’erano industrie in grado di produrre le mascherine!
Il declino economico, ovvero la crisi sistemica del modo di produzione capitalistico, ha sollecitato le spinte centrifughe: la disgregazione delle relazioni commerciali, e quindi politiche, tra gli Stati.
La pandemia ha accelerato questa tendenza, un bell’esempio è la Turchia di Erdogan che cerca di acquisire spazio economico con un colpo al cerchio (Usa/Nato) e un colpo alla botte (Russia). Accentuando l’instabilità di un’area che investe Medio Oriente, Libia e Ucraina.
Lo scenario complessivo l’ho già tratteggiato [vedi: Ieri, oggi. E domani, luglio 2020]: instabilità dilagante: conflitti locali in crescita, soprattutto in Africa, con conseguenti esodi migratori verso l’Europa. In America Latina verso gli Usa, nonostante il virus imperversi. A latere, endemici conflitti in Medio Oriente, Afghanistan e, da ultimo, in Birmania. Guardando più a Est, anche la Cina non naviga in acque tranquille: tensioni in Xinjiang (uiguri), in Tibet e con Taiwan, nonché con il Giappone. E sotto traccia, covano conflitti sociali, accesi dall’iper sfruttamento degli operai.
Un'economia farlocca
Entrando nel cortile di casa, l’Italia presenta una situazione emblematica. Resta pur sempre la seconda potenza industriale d’Europa, dopo la Germania, ma con un tessuto industriale completamente diverso che riflette il background artigiano del Bel Paese: una miriade di piccole e medie aziende, molte con una produzione pregevole, ma pur sempre di nicchia, rivolta soprattutto al lusso (moda, arredamento, design...). Caratteristica che è stata esaltata, mentre sparivano fondamentali settori industriali: chimica e farmaceutica.
Di pari passo, da oltre un decennio, ha avuto largo spazio un turismo beota, con un’insulsa spettacolarizzazione dell’arte. Risultato, un proliferare di strutture: alberghi, b&b, nonché ristoranti e bar, tutti progettati con lo stampino.
L’epicentro fu la Milano post Expo (2015).
Conseguenza, fu la speculazione immobiliare, accompagnata dalla richiesta di finanziamenti da parte degli apprendisti imprenditori turistici. Il Covid ha fatto scoppiare la bolla e gli imprenditori turistici si son trovati col culo per terra, nell’impossibilità di far fronte ai debiti. Le banche hanno visto aumentare i crediti deteriorati (sofferenze). E l’usuraio è in agguato.
In un’eventuale era post Covid, non si replicheranno certo i fasti turistici. Assistiamo a un diffuso impoverimento della stragrande maggioranza degli occidentali, cui fa da contraltare una crescente polarizzazione della ricchezza (indice di Gini): con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Nel Sud del mondo, il turismo si chiama emigrazione.
In poche parole, il Covid potrebbe rappresentare l’occasione per farla finita col modo di produzione capitalistico giunto al capolinea.
Ma bisogna fare i conti con l’oste, per di più ubriaco: padroni, padroncini e servi furbetti, ovvero politicanti e pennivendoli.
Transizione ecologica (green)?
Se il buon giorno si vede dal mattino, c’è poco da stare allegri.
Il governo italiano annuncia reti 5 G (ovvero quinta generazione di telefonia mobile), con il proliferare di ripetitori e forti pericoli per la salute, nonostante le reiterate assicurazioni contrarie [vedi precisazioni in: https://www.lavocedeltrentino.it/2020/03/11/5g-ecco-i-danni-causati-ora-chi-ha-coraggio-e-coscienza-per-dire-si/].
Altra perla «ambientalista» sono le Grandi Opere, l’alta velocità (Tav) in primis, e subito sono iniziati i lavori per l’autoporto di San Didero in Val Susa, con le sacrosante proteste di questi giorni.
Nelle città, la speculazione immobiliare rilancia il «verticalismo» (grattacieli). Con contorno di progetti d’arredo urbano, per la gloria (portafoglio) dei soliti archistar, della risma di uno Stefano Boeri. Quello del bosco verticale! E intanto fioccano gli sfratti.
Per i trasporti, ma non solo, si punta su motori elettrici, nascondendolo lo sfruttamento e i danni letali per la salute che l’estrazione dei materiali (cobalto, neodimio, litio, ecc.), con cui i motori elettrici sono fabbricati, comportano, spesso per minatori-bambini [Riccardo Barlaam, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/maledetta-ricchezza-la-rivoluzione-elettrica-globale-e-la-nuova-corsa-ai-minerali-del-congo-20808].
Ma il tutto è dipinto di verde (è la green economy).
Meno verde è la semplificazione amministrativa che concede a imprenditori italiani ed esteri licenza di sfruttamento, per poi, spremuti gli operai, prendere il malloppo e chiudere baracca e burattini. La tedesca Henkel di Lomazzo (Como) è solo l’ultima dismissione in ordine di tempo, di una lunga serie.
E allora? Non ci resta che piangere...
Prima di piangere, consideriamo il montante malcontento sociale che lor signori alimentano con le loro politiche dissennate. E se in Italia, per ora, il ceto medio traffichino (albergatori, ristoratori ecc.) domina la piazza, ai margini, nelle periferie, il proletariato giovanile, senza risorse, fa sentire la sua voce. Come è avvenuto nei giorni scorsi a Milano (piazza Selinunte). Mentre nella logistica e anche in altri settori industriali (per es. Electrolux di Forlì, vedi: https://www.facebook.com/skatenati.electrolux/) le lotte proseguono, unendo in un unico fronte proletari italiani ed extracomunitari.
E, nell’immediato, sarebbe cosa buona e giusta che comitati proletari prendessero in mano la gestione delle vaccinazioni, scacciando le varie mafie istituzionali pro Big Pharma. Ma questo, per ora, è solo un auspicio.
Dulcis in fundo, il Covid, almeno, ha spazzato via i vari rivoluzionari in servizio permanente effettivo. Capaci solo di biascicare edificanti giaculatorie. Prive di ogni rapporto con la realtà.
Milano, 18 aprile 2021.
Dino Erba
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