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La crisi nel fabrianese

(8 Maggio 2021)

Costruire un fronte unitario di lotta contro la drammatica ecatombe occupazionale in atto

presidio elica

La situazione lavorativa nel fabrianese e nel nostro distretto rischia di portare sotto la soglia di povertà centinaia di famiglie e lavoratori sui quali gli industriali hanno deciso di riversare tutto il peso della crisi economica e sociale più grande e grave dell’ultimo secolo.

Le ultime, catastrofiche notizie, confermano l'irreversibile declino di tutto il sistema politico industriale con oltre 4000 disoccupati, associati ai tanti cassaintegrati futuri senza lavoro. È sotto gli occhi di tutti la gravità delle dinamiche che sono figlie di precise volontà politiche e sindacali che per anni hanno negato ogni possibile rischio di distruzione economica e sociale che il modello di sviluppo attuato nel nostro territorio, a sfondo capitalistico, poteva portare e causare.

La crisi devastante, si è abbattuta anche contro i lavoratori della multinazionale Elica, a causa delle responsabilità del proprio management che, quotata in borsa l'azienda, ha elaborato un assurdo progetto pseudo-industriale con 409 licenziamenti su 560 unità occupazionali, associato alla sciagurata volontà di delocalizzare in Polonia numerose linee produttive che di fatto, sanciranno la totale eliminazione di un intero settore e comparto.

Lo scenario, da autentico terremoto economico-sociale, non si ferma purtroppo solo a questa azienda ma a quasi tutte le grandi imprese del monosettore esistente nel nostro tessuto sociale. Da qui a breve, infatti, esploderà nuovamente la crisi delle Cartiere Miliani, dove a causa del selvaggio processo di privatizzazione, dopo aver perso il 50% dei livelli occupazionali, ci sarà la dismissione assurda della preziosa tipologia produttiva della "carta valori" (euro, banconote estere, passaporti ecc.) a tutto vantaggio dell'ex proprietario delle Miliani, l'IPZSe della stessa Banca d'Italia, artefici, di fatto, della privatizzazione e del silenzio, in favore dei devastanti progetti della Bain capital, fondo finanziario americano.

Ci sono inoltre gli oltre 500 lavoratori e lavoratrici della ex Antonio Merloni, passati sotto la gestione Porcarelli, che da questa settimana sono stati messi in mobilità. Si chiude definitivamente una pessima storia, fatta di vent’anni di bugie, di finti e futili piani industriali finanziati con soldi pubblici che sono finiti dentro le tasche dei “piccoli” industriali che hanno alimentato e gonfiato i loro profitti a discapito dei salari e dei diritti della classe lavoratrice.

La stessa situazione generale della Whirlpool che rischia ancora di diventare ancora più esplosiva dopo la chiusura dello stabilimento di Napoli, che non lascia dormire sogni tranquilli gli occupati nello stabilimento del fabrianese, già fortemente penalizzato in passato con tagli pesanti alla forza lavoro nel nome della sostenibilità aziendale.

In questo quadro emerge un elemento su cui vale la pena soffermarsi: la complicità e la cogestione che c’è stata e che tutt’ora primeggia tra politica-imprenditori-sindacato. L’aspetto politico è emblematico: il nostro territorio è lo specchio dell’alleanza che negli anni ha generato e scaturito schieramenti di centro sinistra e pseudo sinistra che si sono compromessi con le ragioni della borghesia industriale locale. Per anni il centro-sinistra (capeggiato prima dai DS poi dall’attuale PD locale e regionale) è stato, e lo è ancora, lo strumento principale nelle mani di certi imprenditori con il quale hanno gettato le basi per attuare e costruire tutti quei processi politici ed economici che hanno destrutturato e portato allo sfinimento tutto il nostro tessuto sociale a favore di pochi e a danno delle classi più disagiate. Ad esso si è accodata per anni, parte di una certa sinistra radicale la quale ha voluto insistentemente dialogare e partecipare con operazioni "entriste" e che alla lunga si sono rivelate inutili e per molti aspetti dannose (politiche simili a quelle delle destre!).

Politiche che hanno devastato i diritti dei lavoratori, azzerato l’Art. 18 e instaurato il precariato e la flessibilità come modello di sviluppo e crescita economica e sociale. La questione sindacale è la faccia della stessa medaglia: la sudditanza e la linea di pace attuata dai sindacati confederali ci ha consegnato questa situazione. Quello che è ancora più preoccupante è che questa strada continui ad essere preferita a processi di costruzione di opposizione e di lotta, unici strumenti da opporre all’attacco costante dei padroni e del capitale.

L’ostinata concertazione ha prodotto questo stato di cose. CGIL, CISL e UIL negli anni hanno preferito alla lotta nelle fabbriche, i tavoli con i padroni per cercare di limitare i danni e per non perdere la propria funzione burocratica a tutela dei propri apparati di riferimento e settore. Ora la situazione politica e sociale del nostro territorio impone un necessario cambio di passo e di prospettiva. Esiste un problema generalizzato di una gravità difficile purtroppo da recuperare. Esiste una situazione che segna il fallimento di tutte le posizioni riformiste che hanno contraddistinto la maggior parte delle sinistre politiche e sindacali che si sono dimostrate inadeguate e inopportune alle dinamiche che si stavano costruendo intorno ad esse.

I fatti hanno inesorabilmente ribaltato e azzerato analisi politiche che si sono rivelate completamente sbagliate. Ora vi è una necessità irrinunciabile: NO alla concertazione, SÌ alla lotta di classe. Sì, di classe, perché il nostro tempo ci sta inequivocabilmente dimostrando che in questa società esistono differenti classi sociali che da una parte si arricchiscono e amplificano i propri patrimoni, dall’altro invece, settori più proletari e salariati stanno sprofondando nel baratro della povertà più assoluta.

Ora è importante reagire, ora è necessario rispondere in maniera unitaria alle continue provocazioni e alla macelleria sociale in atto e controllata dai padroni. Ora più che mai è necessario costruire quel fronte unitario di lotta come unico strumento per cercare di cambiare gli attuali equilibri. Un fronte unitario di tutte le vertenze del territorio in un grande momento di lotta unitario e generalizzato, capace di unire tutti i lavoratori e le lavoratrici del nostro territorio, e tutti quei delegati sindacali più combattivi disposti a non concedere nulla alla borghesia padronale che sul nostro territorio detiene il potere assoluto solo per distruggerlo. Attivisti capaci di prendere una posizione netta e contraria nei confronti delle proprie strutture che ancora si ostinano a percorrere strade inutili per la causa delle masse lavoratrici.

Proponiamo a tutti quei soggetti politici e sindacali di riunirsi intorno ad una piattaforma che generi sul territorio opposizione sociale capace di alzare il livello dello scontro, che spinga chi rischia di perdere il posto di lavoro a ribellarsi a questo stato assurdo, ma reale, delle cose. Una piattaforma che rivendichi le posizioni di base del movimento operaio, che abbia la forza di non ripiegare su se stesso nelle situazioni di maggiore difficoltà ma che invece faccia crescere la coscienza e la consapevolezza ai lavoratori e alle lavoratrici della propria forza se canalizzata nel modo più utile a sostegno delle proprie ragioni.

Quella coscienza necessaria per affrontare questa situazione così difficile e complicata che porti i lavoratori a non accettare il proprio destino e che li spinga a rivendicare l’utilità di uno sciopero generale esteso a tutti i comparti del territorio, duraturo nel tempo, che dia la consapevolezza della necessità di occupare le fabbriche e bloccare la viabilità delle merci, unici strumenti per contrastare e procurare un danno reale e concreto alle scelte padronali. Questa, per quanto ci riguarda, non è utopia ma è l’unica linea capace di dare sopravvivenza alla classe operaia del nostro territorio.

Partito Comunista dei Lavoratori - Cerreto d’Esi-Fabriano

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