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(5 Dicembre 2010) Enzo Apicella
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Puglia e Basilicata contro il G20

Per una mobilitazione popolare contro l’imperialismo, per l’autodeterminazione dei popoli e la libera circolazione delle persone. Per la costruzione di un nuovo immaginario anticapitalista.

(10 Giugno 2021)

12 giugno contro g20

Il prossimo 29 giugno, a Matera ed indirettamente anche a Bari e Brindisi, avrà luogo uno dei tavoli tematici del G20: si incontreranno i ministri degli esteri e della cooperazione allo sviluppo. Ancora una volta a distanza di 4 anni abbiamo il dovere e la necessità di dire la nostra su questo triste teatrino che periodicamente e nelle sue varie forme ribadisce il concetto secondo il quale pochi decidono delle sorti di miliardi di esseri umani.
[Dal documento politico della Basilicata] “Il G20 è il foro internazionale che riunisce i capi di stato e di governo di venti Paesi, che messi insieme costituiscono oltre la metà della popolazione, dei commerci, dell’economia mondiali (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione Europea). Il G20 quest’anno è presieduto dal governo italiano e prevede un vertice dei capi di stato e di governo a Roma il 30 e 31 ottobre e vertici ministeriali su vari temi ed in diverse città italiane (sul Turismo il 4 maggio a Roma, su Lavoro e Istruzione il 22 e 23 giugno a Catania, su Esteri e Sviluppo il 29 giugno a Matera, sull’Assistenza umanitaria il 30 giugno a Brindisi, sulla Finanza il 9 e 10 luglio a Venezia, su Ambiente, su Clima ed Energia il 22 e 23 luglio a Napoli, sulla Cultura il 29 e 30 luglio a Roma , sulla Salute il 5 e 6 settembre a Roma , sull’Agricoltura a Firenze il 19 e 20 settembre, sul Commercio a Sorrento il 12 ottobre). Al G20 i potenti della Terra promettono di dare priorità nella loro agenda di discussione a Persone, Pianeta, Prosperità. Proprio mentre le politiche dominanti di cui essi stessi sono responsabili causano o favoriscono la crescente disuguaglianza tra le Persone ed il degrado ambientale del Pianeta. La maggioranza della popolazione mondiale non dispone di vaccini contro la pandemia in atto perchè la loro produzione e distribuzione è monopolizzata dalle multinazionali del farmaco e dai Paesi ricchi. L’emergenza climatica si aggrava perchè in nome della crescita economica non si arresta il consumo di risorse irriproducibili quali il petrolio o le foreste. Aumenta il numero di persone che soffrono la fame non perché il cibo manchi ma perché il sistema agroindustriale tratta il cibo come fosse solo una merce ed ostacola la sovranità alimentare dei popoli. Aumenta il numero di persone che non hanno accesso all’ acqua mentre l’acqua potabile viene sprecata, privatizzata, quotata in borsa. Aumenta il numero dei migranti costretti a fuggire dalle guerre mentre accelera la corsa al riarmo. Aumenta la disoccupazione e il lavoro, dipendente o autonomo, per un sempre maggior numero di persone diventa precario e non garantisce condizioni di sicurezza, diritti, redditi accettabili. D’altra parte si taglia la spesa pubblica destinata a garantire servizi pubblici fondamentali (scuola, sanità, …), a combattere le povertà, a garantire il diritto ad un reddito di cittadinanza universale ed incondizionato.”
L’area tematica di questo vertice ha una rilevanza politica e strategica che non possiamo assolutamente sottovalutare. La politica estera ha avuto un ruolo determinante per i paesi più o meno democratici che compongono lo scacchiere del G7 e del G20 nell’ultimo ventennio. In un panorama di alleanze storiche ed altre ridefinite, lo scacchiere internazionale è stato attraversato da alcuni dei conflitti più cruenti del XXI secolo e ci ha mostrato uno dei lati più oscuri e macabri delle politiche liberiste.
Non è infatti un caso che quando si pensa alla politica estera il pensiero vada quasi sempre alle guerre che in questi anni hanno dilaniato il Medio Oriente messo a ferro e fuoco da politiche di destabilizzazione interne agli stati che possiamo riassumere sotto il concetto di guerra imperialista. Alla base di questi conflitti, spesso camuffati in scontro etnico e religioso, sempre e solo affari che vanno dall’approvvigionamento energetico alle partnership commerciali e nel comparto militare che le principali “democrazie” occidentali coltivano con i più spietati regimi sanguinari di questa epoca. Il tutto si traduce, poi, in politiche migratorie disumane che, spesso, fungono da strumento di ricatto nelle “trattative” tra le democrazie liberiste e i regimi.
Quanto abbiamo provato ad introdurre in queste righe, con il suo bilancio di vite umane sacrificate all’altare dei profitti di pochi, è sistematicamente stabilito e deciso dai tavoli tematici come quello che si terrà il 29 giugno a Matera. L’opposizione più naturale ad un vertice dei ministri degli esteri può essere solo una lettura in chiave internazionalista dei vari scenari.

Conflitti regionali ed approvvigionamento energetico
Lo scenario bellico mediorientale degli ultimi 20 anni ha avuto quasi esclusivamente un solo copione: il rovescio o il mantenimento di regimi sanguinari a seconda della necessità e del mercato delle fonti energetiche fossili. Ciò che è accaduto in Iraq, Libia e Siria a partire dal 2004 ha un fattore comune, la ricchezza di quei territori di gas naturale e petrolio. In particolare la guerra civile siriana ha mostrato anche ai meno attenti la vera natura del liberismo. Fazioni jihadiste sono state fomentate e combattute a fasi alterne nella guerra energetica tra paesi NATO ed ex blocco sovietico ed in particolare nella “competizione” tra i gasdotti cosiddetti sciiti e sunniti (i primi sostenuti dalla Russia ed i secondi dai Paesi NATO). Nell’ottobre del 2017 la coalizione internazionale aveva deciso di sostenere l’avanzata delle Forze Siriane Democratiche contro l’autoproclamatosi Stato Islamico fino al governatorato di Deir Ez Zor. Quello che negli anni era stato un intervento militare in Siria giustificato come lotta al terrorismo qualche mese dopo svelò la sua vera natura. Nel gennaio 2018 l’esercito turco e bande jihadiste sue alleate invadono il Cantone curdo di #Afrin in Siria del nord. Le stesse donne e uomini che avevano dato migliaia di martiri alla lotta contro l’oppressione del califfato nero sono state abbandonate dai paesi NATO che di fatto avvallarono quel massacro. La Turchia, membro NATO e titolare del secondo esercito per potenza di fuoco all’interno dell’alleanza atlantica, fu lasciata libera di uccidere coloro che avevano dal 2014 in poi combattuto sul campo la guerra al terrorismo con cui le democrazie occidentali si facevano belle nelle vetrine internazionali. La stessa NATO che era intervenuta in Siria contro il terrorismo sostenne e di fatto armò fazioni terroristiche per tentare di spegnere la realtà di autogoverno, emancipazione di genere e coesistenza scaturita dalla lotta al fondamentalismo ed alle logiche dello stato nazione. Un’altra invasione della Siria del nord ebbe luogo un anno dopo e portò all’occupazione di Gire Spi e Serekanye. In tutte e due le occasioni la Russia, il rivale commerciale nel mercato energetico dei Paesi NATO che era ufficialmente intervenuta in Siria a fianco del regime di Assad, fornì un lascia passare all’invasione turca. In estrema sintesi la presenza di Russia e NATO in Siria non aveva nulla a che fare con la lotta al terrorismo e gli scopi umanitari di facciata, era un semplice contendersi l’approvvigionamento energetico. Il contesto siriano è solo esemplificativo di dinamiche che si sono manifestate negli anni in Libia, proprio di recente in Armenia e in Iraq. Proprio in Iraq è tuttora in corso il sistematico inserimento di avamposti turchi nei territori a maggioranza curda, con il benestare della NATO probabilmente in chiave anti-iraniana.

Accordi economici, politiche migratorie, repressione

Il bipolarismo degli stati nazione membri del G7 e protagonisti del G20 in tema di lotta al terrorismo non ha solo una motivazione legata alle fonti energetiche fossili. Come già accennato, alcuni degli alleati strategici e partner commerciali delle democrazie occidentali hanno usato negli anni il tema dei migranti come strumento di ricatto per poter estendere la loro egemonia. Il sultano neo ottomano Erdogan ha più volte minacciato l’Europa di riaprire il “rubinetto dei migranti” (espressione becera con cui la propaganda nazionalista e xenofoba legittima le sue politiche securitarie) per poter agire indisturbato nelle sue mire espansionistiche e nella sua opera di repressione del dissenso interno. La comunità internazionale ha taciuto sui bombardamenti turchi sui villaggi curdi di Afrin e del resto del Rojava, così come sui monti di Qandill in Iraq. Ha taciuto, inoltre, sulla sistematica opera di repressione del dissenso interna alla Turchia e l’Europa ha consegnato 6 miliardi di euro al governo turco per il controllo dei flussi migratori, che si traduce in costruzione di centri di accoglienza lager in cui vengono rinchiusi migliaia di donne e uomini in fuga dalle guerre. Lo stesso meccanismo è stato messo in atto in Libia, dove la fantomatica guardia costiera, espressione delle fazioni jihadiste che si sono contese la scena dopo la deposizione di Gheddafi, fa il lavoro sporco di rintracciare e richiudere in veri e propri luoghi di tortura i migranti che percorrono le rotte del mediterraneo. Tutto ciò accade in un contesto di continua criminalizzazione del migrante e una propaganda incessante che mira a legittimare il razzismo istituzionale e una politica di chiusura nei confronti dei flussi migratori. Recenti sono le ennesime immagini che vedono migliaia di migranti tentare di superare il confine della “Fortezza Europa” a Ceuta, nell’enclave spagnola in Marocco respinti dalla policia civil, così come quelle delle colonne umane che a piedi cercavano di attraversare i paesi balcanici e che spesso morivano di stenti, se non per mano della polizia. Migliaia di persone deportate o costrette ad emigrare verso il continente europeo dove però trovano Stati, come il nostro, in cui i minimi diritti umani vengono negati, dove avvengono continue umiliazioni nelle strutture di detenzione amministrativa e non, dove avvengono respingimenti illegali e violenze di ogni tipo nei confronti di chi viene inteso come un peso, se non proprio come un’arma da utilizzare per i propri scopi politici.
Ma non basta.
Come con gli accordi con la Libia che avevano il solo scopo di diminuire, con ogni mezzo necessario, il flusso di immigrati che premeva sulle nostre coste, il Governo Italiano ha offerto partnership commerciali e siglato accordi militari con la Turchia anche in contemporanea alle operazioni militari che hanno causato migliaia di vittime civili uccise con le tecnologie e gli elicotteri targati Leonardo Finmeccanica.
Alla guardia costiera libica, sempre il Governo italiano ha fornito navi della marina militare per speronare, imprigionare e rinchiudere chi osa attraversare il mediterraneo in cerca di una vita migliore.
Ma come arriviamo al tema della repressione?
La domanda che ci siamo sempre posti è: come è possibile che gli stessi governi che negli ultimi anni hanno formulato teoremi securitari cavalcando lo spauracchio del terrorismo jihadista siano direttamente ed indirettamente sostenitori dello stesso jihadismo? In Italia generazioni di pacchetti sicurezza che hanno visto il loro exploit con i ministri Minniti e Salvini hanno dato libero sfogo alla repressione del dissenso con la scusante della lotta al terrorismo. Gli stessi governi che hanno somministrato fogli di via e sorveglianze speciali hanno finanziato ed armato regimi come quello turco, quello sionista e le bande armate libiche, che sistematicamente perpetrano massacri e violenze. Queste leggi securitarie sono state rese possibili soltanto grazie ad una sistematica fomentazione di xenofobia, odio verso gli ultimi e guerre tra poveri utili a spegnere il conflitto sociale interno.

Alleanze politiche e strategiche ed autodeterminazione dei popoli
Dal Kurdistan arriviamo alla Palestina dove, nonostante sia stata proclamata una tregua fittizia, brucia la resistenza di un popolo contro la colonizzazione sionista.
Le aggressioni dei coloni israeliani nei confronti dei palestinesi dei territori occupati si inseriscono nella strategia terroristica che Israele porta avanti contro la Palestina da oltre 70 anni. Una strategia che mira alla conquista di quelle ultime strisce di terra rimaste ancora in mano palestinese. I bombardamenti che hanno massacrato centinaia di uomini, donne e bambini vanno intesi come l’ennesima aggressione armata contro una Resistenza che si è opposta agli atroci delitti sionisti ed è unica legittima voce del popolo palestinese.
L’atteggiamento dei giornali anche italiani è stato omertoso, fazioso e connivente con le politiche guerrafondaie israeliane: hanno deciso di riportare notizie non veritiere, distorcendo la realtà e definendo “vandalismo” quelle che sono legittime manifestazioni di protesta tenutesi a Gerusalemme nel contesto di una lotta di liberazione nazionale.
Ancora una volta, l’Italia e la sua classe politica tutta scelgono di difendere il proprio alleato militare ed economico, anche foraggiando il terrorismo di #Israele, attraverso la vendita di armi italiane. Una scellerata alleanza (rivendicata orgogliosamente dall’ambasciatore sionista in Italia che la descrive “sempre più solida ed estesa”) che si riverbera anche a livello regionale: a Bari, unica città italiana, c’è il console onorario di Israele, il sig. Luigi De Santis.
Alla luce di tutto ciò, è necessaria un’opposizione alle dinamiche delle alleanze politiche e strategiche tra gli stati dettate da logiche di profitto per pochi e dallo stroncare sul nascere di qualsiasi esperienza che provi a mettere in atto quell’altro mondo possibile che vent’anni fa mosse i movimenti No Global. E’ nostro compito ridisegnare i legami tra territori seguendo il principio della solidarietà tra popoli e dell’autodeterminazione degli stessi. Il popolo curdo, quello palestinese e il popolo Mapuche, gli Zapatisti come ogni popolo che lotta contro l’occupazione imperialista e sfruttatrice di Stati nazione e multinazionali sono fulgidi esempi dell’alternativa percorribile. Proponiamo dunque di creare un’opposizione internazionalista contro i governi guerrafondai che verranno rappresentati in questo #summit espressione del capitalismo sfruttatore e predatorio. Vogliamo mettere in connessione esperienze di resistenze territoriali e unire tutte e tutti in una risposta di popolo contro un modello di dominio e distruzione.
Al fine di preparare le iniziative anti G20, il 12 giugno dalle ore 17,00 presso l’ Ex caserma liberata di via G.Petroni 8 a Bari, si terrà un momento di confronto politico sui temi sopra esposti con delegazioni di popoli in lotta. Come comitato contro il G20 invitiamo tutte le strutture e le/i singol* che si preparano ad affrontare i G20, a partecipare alla riunione di Bari al fine di creare una rete anti G20. Questo non sarà solo un luogo politico dove discutere assieme delle ragioni della mobilitazione ma anche un luogo di confronto per il futuro, anche alla luce dei futuri appuntamenti del G20 nelle altre città, volto a rinsaldare relazioni tra collettivi, organizzazioni politiche, associazioni e singoli; solo il primo momento di dibattito teorico- pratico, di condivisione esperenziale volto, un giorno, alla costruzione di un immaginario anticapitalista.

Un altro mondo è ANCORA possibile.
UN ALTRO MONDO ESISTE GIA’.

Fonte

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