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(9 Agosto 2021)
Con la pandemia da Covid 19, i morti sono stati certo più dei 127.531 dichiarati (al 9 luglio 2021). Facendo conti adeguati e ricomprendendo davvero tutte le case di riposo – che i virologi dovevano monitorare per prime – gli esclusi per fretta, ignoranza, nessun tampone, lasciati in casa senza cure adeguate, per una malattia che uccide soprattutto chi non ha accesso alla terapia intensiva. Infatti sono stati eccezionalmente salvati persino soggetti di 102 anni, ma il nostro piano anti-pandemico risaliva (forse) al 2006.
Nel 2020 abbiamo avuto il numero più alto di morti dal dopo-guerra: 750, anziché 650mila. Il problema sta nel fatto che solo negli ultimi 10 anni precedenti l’Italia aveva tagliato 43mila posti-letto (il 30%). Il problema è che eravamo rimasti con solo 5mila terapie intensive (forse oggi salite a malapena a 10mila), contro le 30mila della Germania (salite poi a 50mila): ecco il perché della differenza fra i tassi di mortalità.
Quanti si sarebbero salvati se ci fossero state le strutture adatte ad affrontare l’epidemia, quanti non si sono salvati a causa dei miliardi regalati (soprattutto in Lombardia) alla “sanità” privata, incapace di realizzare una sola terapia intensiva?
I morti non fanno rumore, non fanno più rumore del crescere dell’erba, scriveva Ungaretti.
– commenta, il 9.7.2021, il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli –.
Eppure, i nomi dei nostri amici, dei nostri colleghi, messi nero su bianco, fanno un rumore assordante. Così come fa rumore il numero degli operatori sanitari contagiati, che costituiscono ormai il 10% del totale. Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus. È una lotta impari, che fa male a noi, fa male ai cittadini, fa male al Paese”.
Come è stata affrontata la seconda ondata? Folle l’assenza, ancora a giugno, dopo tanti mesi di pandemia, di 56mila medici (1300 nel solo Veneto) e di decine di migliaia di infermieri. Ridicolo, nello stesso mese, aver pensato solo a 2.660 terapie intensive in più, ed averne realizzate unicamente 1.200 in nove mesi, perché le altre 1400, pur finanziate, grazie al “grande” sistema regionale (che ha impegnato solo 2 dei – già pochi – 6 miliardi stanziati), ed in particolare alla Lombardia, sono “sparite”, quando sarebbe servito arrivare dalle 5000 di febbraio 2020 ad almeno 15mila. Vergognoso che già ad ottobre si fossero sacrificati almeno 334 fra medici ed infermieri per le protezioni inadeguate e l’incapacità di gestione e che solo il 16 del mese siano stati stanziati i fondi per stabilizzare le poche migliaia di infermieri assunti a termine da marzo 2020. A luglio 2021 solo i medici uccisi al Covid sono diventati 359 e, nel complesso, 29.282 gli operatori sanitari infettati.
Nelle ferrovie regionali (e non solo), a fronte del calo dei biglietti sono persino state ridotte le corse dei treni per i pendolari (“Trenord” docet). Nessuno s’è accorto che è possibile attrezzare gli uffici affollati (e non solo) con le lampade anti-covid, invenzione italiana dichiarata dall’Onu come la più importante contro la pandemia dopo i vaccini.
Si poteva scongiurare la caduta nella seconda, terza (e, con Draghi, ormai quarta) ondata della pandemia, evitando di seguire le peggiori inclinazioni mercatiste di un’estate (ma saranno due) impazzita dietro piazze e discoteche zeppe di cretini tatuati che sempre più spesso si danno appuntamento solo per picchiarsi, da Roma alla Brianza, negazionisti col cervello all’ammasso come quello dei “terrapiattisti”, ciechi ed ottusi persino di fronte ai video degli ospedali condotti al disastro. Ma chi non ricorda i Proff. Zangrillo e Bassetti (e quanti sono andati loro appresso), i quali a fine estate 2020 sostenevano che “il Covid era clinicamente scomparso”?
Si potevano usare (come Trump ha fatto per se stesso) gli anticorpi monoclonali su larga scala ai primi sintomi nelle Rsa (dove le “cabine di regia” dovevano indirizzare immediatamente tutte le attenzioni possibili, anziché lasciare che vi si “accatastassero” i malati – cosa poi impugnata da decine di cittadini), invece di attendere sino al 19 marzo 2021 per stilare un protocollo adeguato.
LA CRISI ECONOMICA
La spesa per i consumi dal 2020 è crollata “del 9% rispetto al 2019 [...]. A termine di paragone, nell’intero biennio 2012-2013, periodo di maggiore contrazione delle spese a seguito della crisi dei debiti sovrani, il calo complessivo era stato del 6,4%” (Istat, Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese, Istat, Roma 2021, p. 47). La spesa media mensile delle famiglie è scesa di €. 232 rispetto al 2019 e di €. 320 rispetto al 2008 (inizio della prima crisi) (Ibid., p. 47). La spesa mensile per l’istruzione è calata da €. 16 ad €. 14, ma è entrata con prepotenza la “quota Dad”, tanto che la minore caduta della spesa generale “tra le famiglie meno abbienti si può in parte scrivere alla spesa per alcuni prodotti necessari per la didattica e il lavoro a distanza, quali pc, tablet e accessori (cresciuta per il totale delle famiglie del 33,6%)”. Per la componente culturale in senso stretto la spesa scende da 69 a 48 euro al mese. La spesa per la salute è scesa mensilmente di €. 10, su base nazionale, rispetto al 2019 (Ibid., pp. 48 e 51).
L’effetto dei sostegni “ha fatto sì che il potere d’acquisto sia stato in larga misura protetto [...] sì che le condizioni economiche non diventassero drammatiche, ma non ha potuto contrastare il senso di incertezza” (Ibid., p. 55). “Il 20,5% dei maggiorenni segnala un peggioramento delle condizioni economiche della propria famiglia, e una quota maggiore (22,2%) ha avuto difficoltà nel fronteggiare impegni economici (pagamento del mutuo, delle bollette, dell’affitto, etc.)” (Ibid., p. 56). I più giovani, anche in posizione di capo-famiglia, hanno risentito maggiormente della crisi: la fascia d’età 35-54 anni è stata esposta per il 23,6% (Ibid.). Sul totale della popolazione, il 10% ha denunciato di non riuscire a sostenere le spese per i pasti (Ibid., p. 57).
CRESCITA DELLA POVERTÀ ED EFFETTI DEI TAGLI PREGRESSI ALLA SANITÀ
Nel 2020 peggioriamo rispetto al primo anno di pandemia: “si contano oltre due milioni di famiglie in povertà assoluta, con un’incidenza pari al 7,7% (dal 6,4% del 2019), che includono oltre 5,6 milioni di individui (9,4% dal 7,7 del 2019) [...] L’aumento della povertà ha colpito maggiormente le famiglie con persona di riferimento in età lavorativa. Rispetto al 2019, l’incidenza di povertà cresce dall’8,3 al 10,7% per le famiglie con persona di riferimento in tra i 35 e i 44 anni e dal 6,9 al 9,9 % per le famiglie con persona di riferimento tra i 45 e i 54 anni. La povertà assoluta riguarda il 10,3% delle famiglie in cui la persona di riferimento ha tra i 18 e i 34 anni e il 5,3% di quelle con persona di riferimento oltre i 64 anni” (Ibid., pp. 52-53). L’incidenza rimane la più bassa in assoluto per la fascia d’età più alta, mentre s’allarga impietosamente il divario generazionale. Da due anni, il 19,7% di quanti sono in cerca di occupazione è in stato di povertà assoluta: “La povertà cresce per tutte le classi di età in maniera significativa, fatta eccezione per quanti superano i 65 anni [...]. Si contano più di 1,3 milioni di minori in povertà assoluta (13,5% del totale dei minorenni) e più di 1,1, milioni nella classe di età 18-34 (con un’incidenza dell’11,3%). Questi ultimi sono per quasi due terzi non occupati e, tra gli occupati, sono in prevalenza operai (un quarto della popolazione in povertà di questa fascia d’età). Gli individui stranieri poveri sono oltre un milione e 500mila, con una incidenza pari al 29,3% (dal 26,9 dell’anno precedente), contro il 7,5% dei cittadini italiani (dal 5,9% del 2019)” (Ibid., p. 54). Rispetto alla precedente crisi dei debiti sovrani, va segnalato che nel 2012 “l’incidenza della povertà assoluta familiare salì dal 4,3 al 5,6%, con l’aumento di 1,3 punti, analogo a quello stimato nel 2020” (Ibid.).
La pandemia ha fortemente ridotto le prestazioni sanitarie ambulatoriali ma, quasi fosse cosa fisiologica, l’impatto “segue la diminuzione osservata negli anni precedenti, riflesso dei tagli alle risorse economiche, ai posti letto e al personale sanitario che hanno messo sotto pressione la sanità territoriale” (Ibid., p. 99). Bella roba! E nel secondo anno di pandemia la discesa continua: nel 2020 “le prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate sono diminuite del 20,3% rispetto all’anno precedente. [...] Cali nell’ordine del 30% in Val D’Aosta, Calabria, Sardegna e Liguria” (Ibid.). Ma le motivazioni non sono per nulla lineari: “Il calo è avvenuto in tutte le regioni, ma senza una proporzionalità ben identificabile tra chiusura/sospensione di alcuni servizi, prestazioni e impatto della pandemia. Ad esempio, la riduzione più forte delle prestazioni si registra in Basilicata, a fronte di una diffusione del Covid-19 tra le più basse del Paese (almeno nella prima ondata). [...] Il minor accesso alle prestazioni ha riguardato in eguale misura uomini e donne, mentre ci sono differenze per fasce d’età: quella pediatrica è la più coinvolta, con un calo del 33%” (Ibid., p. 100). La pandemia ha dimostrato gli enormi limiti della regionalizzazione del sistema sanitario nazionale (e spesso proprio le presunte eccellenze “nordiste” si sono dimostrate le più fragili): possiamo continuare ad avere 20 sanità diverse?
LA SELEZIONE DI CLASSE, IL CARNEVALE SUI VACCINI E LA "SINISTRA" IMBELLE
Ma c’è stata anche una selezione di classe: “Nelle aree geografiche nelle quali l’incremento della mortalità è stato maggiore, si osserva un aumento dei differenziali in base al livello di istruzione, con una mortalità più elevata nelle persone con basso livello di istruzione. In particolare, tali differenze risultano più marcate nel Nord-Ovest, dove i valori del rapporto di mortalità [...] salgono in corrispondenza del primo picco pandemico. [...] La classe di età è un fattore che ha interagito con le diseguaglianze sociali: nelle due ondate epidemiche la mortalità è aumentata di più nelle classi centrali d’età e per le persone meno istruite” (Ibid., p. 106).
Secondo un’analisi attuata sulla base di “tassi standardizzati per 100.000 giorni-persona, sul registro di base delle persone fisiche (Bri) e follow-up dati sulla mortalità con i decessi giornalieri di fonte anagrafica verificatisi fino al 31.12.2020” (Ibid., p. 107), per i maschi con basso livello di istruzione, per la classe d’età 35-64, il tasso di mortalità nella fase 1 della pandemia (Gennaio 2019 – Febbraio 2020) è cresciuto a 13,2 punti dai 10,2 della fase pre-pandemica. Per la classe d’età 65-79, nella stessa fase pandemica, il tasso di mortalità è giunto a 106,7 punti dai 68,2 del periodo pre-pandemico. Per la classe d’età 80 e più, nella stessa fase pandemica, il tasso di mortalità è giunto a 491,5 punti dai 338,1 del periodo pre-pandemico (Ibid.).
Cosa dire poi della campagna vaccinale? Prima è stata bloccata dagli egoismi (e dai business immorali) delle aziende produttrici (che ancora cincischiano persino sui brevetti nonostante le evidenti difficoltà del Terzo Mondo, che oggi protesta, come in Thailandia, perché non vuole vaccini-placebo venduti loro dagli stessi (i cinesi) che si sono fatti scappare il virus da un laboratorio frequentato anche da membri Ue dove probabilmente si faceva ricerca per armi batteriologiche, né sottoporsi a mere sperimentazioni. E in tutto questo, una ridicola "sinistra politicamente corretta" non riesce nemmeno a scatenare una sacrosanta battaglia per mettere al bando le armi biologiche (come fu invece per quelle nucleari). Quando non viene addirittura attirata dai miti "no-vax" di una destra che fa solo bassa speculazione politica vergognosa e strumentale.
Poi la campagna vaccinale in Italia è diventata una farsa, con l’Italia e la Ue (protagonista di ridicoli contratti a perdere) affezionati ad AstraZeneca nonostante le grandi criticità (morti comprese) di questo vaccino. Tanto per cominciare, agli insegnanti (60 anni di media d’età), tardivamente, hanno dato proprio AstraZeneca che, inizialmente, per stessa ammissione del produttore, avrebbe dovuto essere destinato ad un’età inferiore a 55. Poi il contrordine: “andava bene per gli anziani ma non per i giovani”. Ma intanto Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, dopo 250 casi di trombosi con 47 morti nella Ue, l’hanno eliminato o al massimo destinato a scelta volontaria. Al contrario del nostro, sono Paesi nei quali vige il principio di precauzione. La “cabina di regia” italiota è stata persino capace, a maggio 2021, di procrastinare allegramente la seconda dose del vaccino Pfizer, nonostante l’esplicita contrarietà della ditta produttrice. Ed alla fine è arrivato il “warning” su Johnson & Johnson. Sta di fatto che, sempre alla fine del luglio 2021, abbiamo scoperto di avere ancora due milioni di anziani da vaccinare, col virus che galoppa in piena estate fra i giovani (di nuovo con migliaia di casi al giorno, età media 27 anni), protetti in misura ridicola. Ma niente paura: la scuola a settembre “riaprirà in presenza”. Ma per il governo il problema è rappresentato da quel 10% (percentuale fornita dal ministro Bianchi) di insegnanti che non si sono ancora vaccinati, quando invece serviranno ancora per l'organizzazione didattica digitale. E coloro che per problemi di salute non possono fare il vaccino?
SCUOLA E (IN)SICUREZZA
Lo scorso anno scolastico la sicurezza di insegnanti, personale Ata e studenti, era affidata al "si salvi chi può" del protocollo sottoscritto dai sindacati pronta-firma, che prevedeva "pulizia" alla buona e senza strumenti, affidata al personale Ata invece che alle Asl, anziché sanificazioni. Nulla quaestio per il Governo pentapiddino, e poi per Draghi, a fronte dell’unica misura presa per l’anno scolastico 2020/21 (e poi per il 2021/22): niente tamponi e distanza di un solo metro fra le “rime buccali” (che consente banchi ad 80 cm. l’uno dall’altro), quando il Belgio prevede gruppi di massimo 10 alunni con 4 metri quadrati a testa, l’Olanda il 50% in classe a turno con m. 1,5 di distanza, Germania e Regno Unito gruppi di 15 e separazione di 2 metri (cosa prevista anche in Spagna).
Perché per non assumere un numero adeguato di docenti, eliminando finalmente il precariato e preparando la strada per l’innalzamento dell’obbligo (visto che con 9 anni siamo ultimi insieme all’Irlanda, contro una media Ue di 11 anni – ed è una cosa che se non si farà adesso con i 230 miliardi del Recovery Fund non si farà mai più)? Se tutto era gestito in sicurezza, perché (lockdown escluso) le scuole Superiori hanno lasciato a casa gli studenti due o tre giorni a settimana? Perché si sono tenute quasi sempre aperte scuola dell’Infanzia, Primaria e Media con 25 alunni anche in 30 metri quadri? Mentre la Germania spendeva 500 milioni di euro per sanificare l’aria negli istituti ed aveva trasporti dedicati alla scuola, in Italia s’è fatto un intero inverno con le finestre spalancate, anche a meno cinque. Perché, per non potenziare i mezzi di trasporto s’è favorito il contagio, quando si potevano tranquillamente usare i pullman delle sei armi (e tre corpi) dell’esercito, dei carabinieri, della finanza, dello stato e degli enti locali? Perché lasciare scoperti 30mila posti vacanti da collaboratore scolastico, con fortissime criticità nella vigilanza su bagni e corridoi anche quando occorrono migrazioni continue degli alunni all’interno delle scuole alla ricerca di spazi adeguati al distanziamento (perché nei primi mesi del lockdown non si sono riadeguati per la pandemia i tanti spazi pubblici dismessi)? Perché non si pensa, ora che si potrebbe, ad almeno un piano pluriennale per sanare quell’80% (almeno) di scuole non a norma per sicurezza, igiene e sanità che da almeno 30 anni ci fanno vergognare di fronte al mondo? Per fare sul serio non bastano certo gli investimenti promessi.
LA DAD
Sarà “normale” che la didattica a distanza durante il lockdown abbia escluso il 30% degli alunni (dato Istat), e che a settembre 2020, alla riapertura, sia stata riproposta nei piani “dell’offerta formativa” per 3 anni? “Dad” (poi rinominata “Ddi”) come misura organica e indipendente dallo sviluppo pandemico, la consumazione di un panino in classe come nel dopoguerra negli oratori, i tre quarti del tempo pieno che non sono (ri)partiti (soprattutto al Sud). Ben poco ha fatto la tanto sbandierata distribuzione dei tablet, in media uno per classe. Secondo il Rapporto Istat presentato il 9.7.2021, ben due indagini hanno dimostrato:
che la piena continuità del processo formativo è stata garantita solo per una minoranza e, al tempo stesso sottolineano la presenza di criticità particolari per i bambini più vulnerabili e/o con minori risorse a disposizione. [...] Solo il 78% delle scuole ha garantito le video lezioni [...] Le perfomance peggiori emergono per le regioni del Mezzogiorno (76%), con i valori minimi in Molise (69%) e Campania (71%). [...] Nel caso degli alunni con disabilità il calo della partecipazione erode fortemente i progressi degli ultimi anni, tanto da far tornare sulla base delle nostre stime il loro tasso di presenza al livello di quattro anni fa (Istat, Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese, Istat, Roma 2021, p. 54).
Ma la vera domanda non è tanto “in quanti hanno seguito”, bensì soprattutto come hanno seguito:
Nella prima fase della pandemia – tra marzo e giugno 2020 – [...] solo il 57,6% lo ha fatto tutti i giorni. [...] L’indagine ha esplorato anche aspetti connessi alle condizioni emotive dei bambini. La sospensione della didattica in presenza si associa non solo a ritardi nell’apprendimento ma anche a forti difficoltà emotivo-comportamentali. Per uno studente su quattro è stato dichiarato un abbassamento del rendimento scolastico e per quasi uno su tre irritabilità o nervosismo. Un bambino su dieci ha presentato disturbi alimentari, o anche del sonno e la paura del contagio. Nel complesso, quattro su dieci hanno avuto almeno uno dei problemi appena elencati [...], hanno presentato: problemi di concentrazione e motivazione in quattro casi su dieci, oltre uno su tre ha avuto difficoltà a seguire le lezioni in autonomia, più di uno su tre ha avuto problemi di connessione a Internet. A questi si aggiungono i casi di difficoltà a usare pc, tablet, piattaforme, almeno uno su cinque, o di carenza di attrezzature informatiche adeguate, uno su sei. [...] Quanto agli aspetti logistici e organizzativi, per un terzo dei bambini la Dad ha creato problemi per la scomodità degli orari o la loro sovrapposizione con altri impegni (lavoro [e telelavoro – N.d.A.] dei genitori, Dad di fratelli/sorelle, etc.) e più di un quinto non disponeva di spazi adeguati (Ibid).
IN SINTESI
Ancora finestre aperte anche sotto zero senza aeratori sanificanti? Ancora distanza di un metro statico e banchi con e senza rotelle in classi pollaio approvate come negli anni precedenti la pandemia anziché la creazione di classi-bolla? Neanche più un po' di "organico Covid" con servizio e diritti dimezzati, anziché adeguate assunzioni di insegnanti ed Ata. Ancora Dad, con l'ossimoro dei gruppi di inclusione guidati da "insegnanti rotanti" (come nei manga giapponesi). Lavoratori fragili ancora più penalizzati, a casa senza stipendio (perché non bastava averli costretti lo scorso anno ad intaccare il proprio periodo di comporto per malattia)? Ancora nessun tracciamento e mascherine monovelo buone solo per lo spolvero?
Le colleghe ed i colleghi intellettualmente onesti ricorderanno gli scioperi proclamati dall'Unicobas sin dall'agosto 2020, culminati con lo sciopero generale della scuola del 6 maggio ed il sit-in di protesta del 21 giugno proprio relativo al decreto "sostegni bis". Ma in periodo di campagna pre-elettorale pandemica, con le pressioni della Confindustria & C., con la Funzione Pubblica guidata dal castiga-lavoratori e precari Brunetta e gli Affari Regionali assegnati a Mariastella, nostra signora dei neutrini, alla scuola non è destinato altro che l'obbligo del green pass. L'Unicobas è sempre stato e resta dalla parte di chi si sente offeso da tutto ciò. Intanto però, nel silenzio più totale dei sindacati pronta-firma, si preparano a regionalizzare l'istruzione, per portare a termine il definitivo massacro, come già è stato per la sanità.
p. l'Esecutivo Nazionale dell'Unicobas
Stefano d'Errico (Segretario nazionale)
Alessandra Fantauzzi (Membro dell'Esecutivo Nazionale)
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