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(23 Novembre 2011) Enzo Apicella

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Geopolitica di una pandemia

(16 Agosto 2021)

Dal n. 410 de "Il Partito Comunista"

il partito comunista

Anche la pandemia è un’opportunità per i grandi capitali, e per molti dei piccoli, per fare affari, rendite e profitti. Stati e governi si confermano al servizio delle industrie private, e principalmente delle maggiori.
La corsa ai vaccini è una guerra che affianca la corsa agli armamenti, e prospetta i fronti della prossima guerra mondiale, unico strumento che potrà sancire una nuova divisione tra i due grandi mostri imperiali Cina e USA.

L’industria farmaceutica

Gran peso ha l’industria farmaceutica nell’economia capitalista con enormi profitti realizzati con il Covid, come prima con l’Aids, l’epatite C, la malaria, i tumori, ecc. Negli ultimi anni ha superato il fatturato persino del settore petrolifero. Nel 2012 le 20 maggiori aziende farmaceutiche hanno guadagnato 112 miliardi di euro, le “super major” petrolifere 100 miliardi.

Gran parte è rendita di monopolio, con prezzi esorbitanti delle cure: antitumorali, contro l’epatite C, la malaria, ecc. Nel 2012 il mercato globale del farmaco ha fatturato 639 miliardi di euro contro meno di 200 miliardi di dollari nel 1990. I margini di profitto oscillano tra il 10 e il 43%. Nel 2013 le dieci più grandi aziende farmaceutiche del mondo hanno generato un utile di oltre 100 miliardi di dollari con un investimento di 66 miliardi in ricerca e sviluppo.

In molti paesi più sviluppati la solvibilità del mercato dei farmaci è garantita dai contributi sociali obbligatori o dalle tasse, tramite i sistemi di protezione sociale e di assicurazione sanitaria.
Inoltre gli Stati stanno investendo direttamente nel settore della ricerca privata, come nel caso dei vaccini contro il Covid, con miliardi di euro, per esempio, dal governo francese e da quello americano.
Fra le prime 50 aziende farmaceutiche nel 2020 troviamo due società svizzere, Roche e Novartis, due statunitensi, Pfizer e Johnson & Johnson (quest’ultima citata in giudizio negli USA per aver favorito l’uso come droga di antidolorifici a base di oppioidi), Sanofi in Francia, AstraZeneca in Gran Bretagna-Svezia e, molto più indietro, Takeda in Giappone e Sino Biopharmaceutical in Cina.

Il 6 giugno 2020 The Economist ha stimato che nel 2019, prima del Covid, l’80% del mercato globale dei vaccini (35 miliardi di dollari l’anno) era nelle mani di 5 aziende: la britannica Glaxo, le americane Merck Sharp & Dohme e la Pfizer e la francese Sanofi.
I produttori di vaccini con il coronavirus ovviamente hanno visto aumentare i loro profitti in modo significativo.

Il falso problema dei brevetti

L’OMS a maggio propose la sospensione dei brevetti sui vaccini per aiutare le nazioni povere di fronte all’emergenza. Gli Stati Uniti a sorpresa annunciarono che erano favorevoli. Ma le aziende farmaceutiche americane, che detengono quei brevetti, si sono ovviamente dette contrarie all’annullamento della “proprietà intellettuale”! La retorica in merito del presidente francese, specialista in doppi sensi (“Non ho chiusure sui brevetti, ma non ha senso toccarli”), dimostra ancora una volta che anche i rappresentanti dei capitalisti europei ci si sono opposti.

Nel frattempo tutti gli Stati si sono gettati ad accaparrarsi i vaccini, ben oltre le loro necessità: Stati Uniti insieme a Canada, Regno Unito e Australia nel novembre scorso hanno messo le mani su 6 miliardi di dosi. Intanto sono almeno 30 i Paesi dove, a marzo, ancora non è stata somministrata nemmeno una dose, con tre quarti delle dosi disponibili andate a soli 10 Paesi.

La sospensione del diritto di proprietà intellettuale per i vaccini anti-Covid potrebbe consentire ad altri Paesi di replicare i farmaci esistenti, limitando la carenza di dosi. Le classi dominanti dei paesi ricchi, per altro, dovrebbero temere una massiccia diffusione del virus anche a migliaia di chilometri di distanza, che genererebbe nuove varianti resistenti ai vaccini attualmente inventati. Ma per mettere rapidamente in funzione nuovi impianti non basta il diritto giuridico per poterlo fare, occorre disporre delle conoscenze tecniche e dei segreti di produzione, ben custoditi dalle case madri.


Produrre ed esportare i vaccini

Uno studio sul sito Airfinity datato 8 marzo riporta l’andamento della produzione di vaccini anti-Covid nel mondo: a inizio marzo su 413 milioni di dosi prodotte, Pfizer è la prima con 119 milioni, seguono da Sinovac 91, AstraZeneca 83, Moderna 61, Sinopharm 38, Sputnik V 10, Bharat 5,5, J&J 4. La previsione per il 2021 è di 9,6 miliardi, a fronte di una domanda di 11,54 (17%), calcolata per vaccinare il 75% della popolazione, con due dosi (una con J&J). Supponendo che l’efficacia del vaccino sia del 90%, risulta che solo i 2/3 della popolazione sarebbero immunizzati.

Per paese questa la produzione di dosi in ordine decrescente: Cina 141 milioni (principalmente Sinovac o Coronavac, poi Beijing-Sinopharm, e pochi AstraZeneca, Cansino), il 34% del totale; USA 103 milioni (Moderna, Pfizer), il 25 % del totale; Germania-Belgio 70 milioni (Pfizer); India 42 milioni (AstraZeneca, Covaxin-bharat); Regno Unito 12 milioni (AstraZeneca); seguono Paesi Bassi-Belgio, Russia, Svizzera, Corea del Sud, Brasile e Sudafrica.

Diversamente suddivise le quote delle esportazioni dei vaccini, arma di ricatto e di dipendenza.
Gli Stati Uniti, dopo aver saturato il mercato interno, vasto come quello cinese, hanno esportato solo 3 milioni di dosi, l’1% della loro produzione. Ma Biden ne ha “promesse” 80 milioni entro la fine di giugno. La Cina ha esportato il 42% della sua produzione, buona parte della quale “gratis”, l’India il 35%, l’Unione Europea il 28% e la Corea del Sud, che produce vaccini AstraZeneca, il 90%, vaccinando una minima parte della popolazione (le severe misure di contenimento sono state sufficienti a fermare l’epidemia così come vedremo anche in Giappone).

Il Regno Unito ha invece importato milioni di dosi dall’UE per vaccinare estesamente la sua popolazione (da qui una contesa con Bruxelles). La UE è uno dei principali fornitori mondiali con 110 milioni di dosi distribuite in oltre 30 paesi, il 28% della sua produzione. L’India ha esportato il 35% e la Russia il 37%.

La campagna di vaccinazione

Ad aprile era già stato somministrato nel mondo un miliardo di dosi di 11 diversi vaccini. L’Oxford-AstraZeneca, il più economico, è il più usato, in 135 paesi sparsi nei 5 continenti. Al secondo posto Pfizer-BioNTech distribuito in 89 paesi, Moderna in 37. I tre vaccini cinesi Sinopharm, Sinovac e Cansino sono somministrati rispettivamente in 35, 23 e 2 paesi, principalmente in Asia e Sud America, mentre lo Sputnik in 28, tra cui l’Ungheria (nonostante sia in attesa di autorizzazione da parte dell’UE). J&J monodose è distribuito in 6 paesi (USA, Sudafrica, Italia, Polonia). Al 6 giugno invece erano state somministrate nel mondo 2,1 miliardi di dosi, più dell’80% delle quali in paesi ad alto reddito.

Queste le quote della popolazione totale che al 5 giugno ha ricevuto almeno una dose di vaccino:
- Europa: media, 33%; UE 41%, dal Regno Unito col 59% al minimo in Spagna col 41%; Russia 12%; Ucraina 2,8%.
- Nord America: USA 51%, Canada 61%.
- America Latina: media del 20%; Messico 19%; Brasile 23%; Argentina 24%; Cile 58%; gli altri paesi poco immunizzati.
- Asia: media del 6,5%; Turchia 21%; Cina nessun dato; India 13%; Australia 17%; Pakistan 2,9%; Iran 3,3%; Giappone 9,2%; Corea del Sud 15%; Hong Kong 20%; Israele 63%; Palestina 7,3%.
- Africa: media dell’1,9%. A parte il Marocco con il 25%, gli altri paesi e quelli dell’Africa subsahariana hanno poca o nessuna vaccinazione (Sudafrica: 1,8%)

Attualmente, i paesi che stanno ancora vivendo l’epidemia sono Canada, Brasile e India. In questi ultimi due paesi, il tasso di vaccinazione è basso. In India, meno del 10% della popolazione ha ricevuto la prima dose.


Scontro tra potenze


La vaccinazione di massa della popolazione ha permesso ai pochi Stati in grado di produrre i vaccini, oltre che trarne rendita e profitti, di ottenerne vantaggi nel loro scontro fra capitalismi. Le strategie delle borghesie nazionali nell’uso politico dei vaccini sono state diverse. Se gli Stati Uniti in una prima fase hanno trattenuto tutte le dosi, anche quelle in eccesso, al fine di vaccinare la popolazione e arrivare velocemente all’immunità di gregge, la Russia, la Cina e l’India stanno sfruttando le forniture di vaccini per estendere le loro aree di influenza e stringere i loro rapporti con i paesi “amici”: a tal fine già a inizio 2021 avevano donato milioni di dosi o fornendo a basso costo i loro vaccini.

Questa politica ha portato India e Cina a competere in paesi confinanti e strategici per entrambe, con qualche beneficio per i governi locali che si sono ritrovati con molte dosi di vaccino e a un costo esiguo.

In India il Serum Institute, l’azienda più grande, ha ottenuto la licenza per il vaccino di AstraZeneca e può produrne ogni giorno 2,5 milioni di dosi, più di quanto il sistema sanitario indiano riuscisse sino a gennaio a somministrare. Un’altra azienda indiana, la Bharat Biotech, ha dichiarato di essere pronta a produrrne in un anno 700 milioni del suo vaccino Covaxin, approvato a febbraio scorso per l’uso in emergenza.

A fine febbraio l’India aveva già fornito oltre 16 milioni di dosi a 17 paesi, tra cui Myanmar, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, Afghanistan e Maldive. In particolare il governo indiano aveva annunciato la donazione di 2 milioni di dosi di vaccino al Bangladesh e di 1,5 al Myanmar.
La donazione di un milione di dosi al Nepal riveste un significato strategico. Il Nepal, che ha poco più di 28 milioni di abitanti, è stretto tra India e Cina, tra loro rivali. Negli ultimi anni il governo nepalese ha cercato di sottrarsi all’influenza indiana avvicinandosi alla Cina con alcuni progetti che fanno parte della Via della Seta. I vaccini anti-Covid sono diventati lo strumento per un riavvicinamento tra India e Nepal. Al contempo, il governo nepalese ha rallentato il processo di autorizzazione del vaccino cinese di Sinopharm.

Altro terreno di scontro tra India e Cina è lo Sri Lanka. Qui è stata la Cina a prevalere. L’India aveva da tempo in progetto la costruzione di un nuovo terminal nel porto della capitale Colombo. Il governo dello Sri Lanka lo aveva bloccato mandando avanti altri progetti finanziati dalla Cina. A gennaio 2021 una delegazione indiana tornava nello Sri Lanka per far ripartire il progetto: portava in regalo mezzo milione di dosi di vaccini e offrendone a prezzo scontato altri 18 milioni. I media indiani avevano esultato. Ma pochi giorni dopo la situazione cambiava di nuovo, il governo cinese aveva promesso in dono 300.000 dosi e il governo dello Sri Lanka annunciava la bocciatura del terminal indiano.

La Cina, avendo, almeno momentaneamente e per quanto se ne sa, superata l’emergenza interna, invia all’esterno la propria produzione farmaceutica. Già durante la prima ondata di coronavirus distribuiva mascherine e altri presidi medici necessari a contrastare la pandemia. La Cina distribuisce vaccini, a basso costo o in donazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in cui da tempo finanzia le infrastrutture, nel sud-est asiatico, in Medio Oriente e in alcuni paesi in Africa e in America Latina. Si sono avuti però degli intoppi. La Turchia e il Brasile, che avevano concordato grosse forniture, hanno denunciato la lentezza nella consegna delle dosi e del necessario per somministrarle.

La Turchia attendeva 10 milioni del Sinovac entro la fine del 2020, invece i primi 3 milioni sono arrivati solo a gennaio. Anche in Brasile ci sono stati sensibili ritardi nelle consegne del Sinovac. Il governo brasiliano ha chiesto alla Cina di accelerare le consegne, ma intanto a fine gennaio ha annunciato di avere risolto il problema con l’India, pronta a fornire almeno 2 milioni di dosi di AstraZeneca, prodotte dal Serum Institute.

Il governo delle Filippine ha prenotato anch’esso dosi del Sinovac. Al che l’affidabilità di quel vaccino è stata messa in discussione dai media occidentali. Altri paesi acquirenti del Sinovac hanno dovuto affrontare la diffusione nella popolazione di simile scarsa fiducia nei confronti del vaccino cinese. Di contro Il New York Times segnalava che i media cinesi sminuivano l’efficacia e l’affidabilità dei Pfizer-BioNTech e Moderna, sostenendo che i vaccini cinesi fossero migliori.

Taiwan ha lamentato che una partita di 5 milioni di Pfizer è stata bloccata, accusando la Cina di essere intervenuta su Pfizer per impedirne il trasferimento.

La Russia è stato il primo paese ad annunciare un vaccino, lo Sputnik, ritenuto molto efficace (91%) anche da prestigiose riviste occidentali, superando i dubbi iniziali sollevati dagli “esperti”.
Sputnik V a febbraio aveva già ricevuto l’autorizzazione per l’uso di emergenza in numerosi paesi, compresa la Bielorussia, l’Argentina e il Messico. Ma sta di fatto che a marzo la Russia aveva vaccinato una parte molto esigua della sua popolazione, si stima il 2, massimo 3%.

Anche la Russia si è inserita nella “diplomazia dei vaccini”, promuovendo il proprio Sputnik V. A febbraio avrebbe ricevuto ordini per 1,2 miliardi di dosi, ma non dispone di risorse per rispondere a una simile domanda. La Russia, ancora grazie al vaccino, avanza sulla scena mediorientale: nello scambio di prigionieri tra Israele e Siria, la consegna di vaccini russi a questo paese è stata la principale merce di scambio. La Russia il 21 febbraio ha anche consegnato 20.000 dosi del suo vaccino ai Territori palestinesi, ordinati da Abu Dhabi.

La risposta dell’Occidente

Le manovre unilaterali di Cina, India e Russia hanno intralciato le brighe multilaterali coordinate nei mesi scorsi dall’Occidente per fornire vaccini a prezzi accessibili o gratuitamente ai paesi più poveri. La “collaborazione internazionale” ACT (Access to Covid-19 Tools Accelerator) coinvolge l’OMS insieme ad associazioni e fondazioni che affermano di voler facilitare l’accesso alle risorse sanitarie nei paesi più deboli economicamente. Dichiarano l’obiettivo di mettere a disposizione circa 2 miliardi di dosi entro la fine dell’anno per i paesi a basso e medio reddito.

Ricorrerebbero al vaccino anglo-svedese AstraZeneca, come lo Sputnik V basato sulla tecnologia dei vettori virali, che è meno costoso da produrre rispetto ai vaccini a RNA messaggero e, soprattutto, può essere conservato in un semplice frigorifero, a differenza dei vaccini Pfizer e Moderna, che richiedono impianti di refrigerazione speciali. Il vaccino AstraZeneca è quindi più facile da distribuire e somministrare nei paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti sono rientrati nel programma, anche loro naturalmente con scopi tutt’altro che umanitari. «Nulla è così ripugnante come la “carità”, la “filantropia” dell’imperialismo», scriveva Rosa Luxemburg nel 1919.

Esemplare il caso dei Paesi balcanici. Per la difficoltà di ottenere i vaccini dall’Unione Europea, che aveva promesso che li avrebbe forniti ma senza impegnarsi con le scadenze, alcuni governi locali si sono mossi in autonomia rivolgendosi ad est. La Serbia, nonostante avesse già versato quasi 5 milioni di euro, ha stretto accordi con Russia e Cina. A febbraio 2021 la Serbia su 7 milioni di abitanti aveva somministrato 1,1 milioni di dosi del vaccino cinese Sinopharm (a cui ne sarebbe seguito un altro milione entro marzo) e stava negoziando con la Russia la possibilità di produrre sul proprio territorio lo Sputnik V.

La Macedonia del Nord a febbraio ha iniziato a negoziare con la Cina e al contempo stava cercando di ottenere direttamente da Pfizer 800.000 dosi. L’Albania ha trattato direttamente con Pfizer da cui ha ricevuto 500.000 dosi. Montenegro, Kosovo e Bosnia Erzegovina, che avrebbero dovuto ricevere dall’occidente le prime dosi in primavera, hanno preso accordi con Russia, Cina e con Pfizer senza l’intermediazione europea. Il Montenegro, in particolare, ha stipulato un contratto per 150.000 dosi da Sinopharm e altre 50.000 dalla Russia.

India fra ricchi e miseri

A marzo le cose, però, per l’India, e di conseguenza per una parte dei paesi che ne attendevano i vaccini, sono cambiate: una nuova forte ondata della pandemia l’ha travolta. Ma la immunizzazione è stata per le classi superiori: al 24 marzo solo lo 0,4% della popolazione aveva ricevuto una dose di vaccino, 53,15 milioni su una popolazione di 1,38 miliardi. Sono state quindi sospese le forniture all’estero di AstraZeneca. L’India ne esporta il 38% dei commercializzati nel mondo, contro il 2% la Cina, il 3% il Sud Corea, l’11% gli USA, il 21% la Gran Bretagna.

La gigantesca industria farmaceutica indiana aveva dato la precedenza ai migliori offerenti: i Paesi più ricchi, con il 12% della popolazione mondiale, hanno prenotato il 70% della produzione globale di vaccini fino alla fine del 2021. La decisione indiana di sospendere le forniture all’estero è ricaduta tragicamente sui paesi poveri. Ma successivamente l’India ha rinviato la spedizione dell’AstraZeneca anche al Brasile, allo stesso Regno Unito, al Marocco e all’Arabia saudita.

In America Latina

La rivista italiana “Limes” del 2 marzo si chiedeva come la Cina fosse riuscita a entrare con i suoi vaccini nel “cortile americano”, in particolare in Uruguay, Argentina e in Brasile.

Il Brasile, travolto dall’epidemia, come l’India, è divenuto il laboratorio di sintesi di nuove pericolose varianti. A fine aprile il governo ha annunciato la distribuzione immediata di 16,8 milioni di vaccini, dopo aver ricevuto il primo milione di dosi Pfizer. Ha poi chiesto aiuto ai paesi con dosi eccedenti. Intanto l’Agenzia Nazionale di Sorveglianza Sanitaria del Brasile, deferente agli interessi USA, ha escluso l’accesso al vaccino russo Sputnik V. Per altro il Brasile, che non riceve le promesse dosi di AstraZeneca dall’India, ha autorizzato i test clinici di un nuovo vaccino sviluppato dalla cinese Sichuan Clover Biopharmaceuticals.

Nell’America Latina esemplare è il caso della Guyana: paese affacciato sulla costa orientale, in cui è in corso un duello Cina-Taiwan. Nel paese a febbraio Taiwan aveva aperto un ufficio di rappresentanza economica, ma il giorno dopo è stato chiuso, evidentemente per pressione di Pechino, mentre si annunciava l’arrivo dei vaccini cinesi.

Israele contro Palestina

Ad aprile Israele aveva somministrato la prima dose di vaccinazione tramite una fornitura di 10 milioni di dosi Pfizer al 60% della popolazione ed entrambe le dosi al 53%. La possibilità di vaccinare velocemente gli israeliani è dovuta anche all’interesse delle case farmaceutiche di disporre di verifiche su una popolazione proveniente da varie regioni del mondo, con un codice genetico molto variegato.
Invece nei territori palestinesi i vaccinati non erano neanche l’1%: 70.000 palestinesi avevano ricevuto la prima dose e meno di 10.000 la seconda.

Sembrava che i 5,2 milioni di abitanti tra Cisgiordania e Gaza fossero usciti indenni dalla Pandemia. Nella Striscia l’embargo israeliano scattato nel 2007 e quello da Sud imposto dall’Egitto si erano rivelati uno dei più rigorosi lockdown al mondo. Intanto gli israeliani somministravano il vaccino a più di 100.000 palestinesi che per motivi di lavoro entrano nel Paese e negli insediamenti in Cisgiordania. Il ministro israeliano della salute ha precisato che «negli accordi di Oslo è scritto chiaro che i palestinesi debbono assumersi la gestione del loro settore sanitario».

Da inizio febbraio la Cisgiordania è stata investita da una nuova ondata di Coronavirus, resa più grave da una campagna vaccinale iniziata solo ad aprile e che ha coperto solo gli operatori sanitari.
L’offensiva sanitaria-diplomatica di Cina e Russia è arrivata anche da queste parti: i cinesi hanno inviato 100.000 dosi di Sinopharm, i russi alcune partite di Sputnik.

Medio Oriente e Africa del Nord

La Cina lo scorso febbraio avrebbe inviato in Algeria un carico gratuito di 200.000 vaccini.
Il Pfizer è utilizzato principalmente nei Paesi vicini all’Occidente, come Israele, gli Stati del Golfo, la Tunisia, il Libano, la Giordania e la regione autonoma del Kurdistan dell’Iraq.

Il russo Sputnik V è attualmente distribuito nei territori palestinesi, in Siria, Iran, Turchia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. In Turchia il ministro della salute ha annunciato l’acquisto di 50 milioni di dosi dalla Russia mentre un laboratorio farmaceutico ha concluso un accordo che gli consente di produrre lo Sputnik V in Turchia. Si dice che la Russia sia sopraffatta dalle richieste dello Sputnik V e non sia in grado di soddisfarle da sola. Sembra che Mosca si sia rivolta anche alla Cina per produrre il vaccino, all’Egitto e all’Iran, che ha annunciato l’intenzione di produrre, con l’approvazione di Mosca, il “Persian Sputnik”.

A fine marzo il ministro degli Esteri cinese ha rivelato la prossima produzione di vaccini cinesi negli Emirati Arabi Uniti, per un totale di 200 milioni di dosi l’anno. Grandi quantità del vaccino anglo-svedese AstraZeneca sono già state consegnate al Marocco, all’Egitto e ad alcuni paesi del Golfo.

Diplomazia “sanitaria” fra Cina e Turchia: la comunità uigura, un popolo musulmano di lingua turca che vive nella regione autonoma cinese dello Xinjiang, ha protestato all’annuncio, a fine 2020, della possibile ratifica fra Cina e Turchia di un trattato di estradizione di “terroristi”. Servirà a Pechino per reprimere i partigiani degli uiguri in Turchia. La contropartita per Ankara sarebbe la consegna dei vaccini Sinopharm e Sinovac, da tempo promessi ma la cui consegna, non a caso, era stata più volte rimandata.

Mettersi al passo dei grandi

Diversi paesi del Medio Oriente stanno cercando di sviluppare un proprio vaccino. La Turchia dal dicembre scorso ne sta mettendo a punto diversi, ancora in fase di prova. Israele starebbe sviluppando sei vaccini. Infine l’Iran ha annunciato che sta lavorando ad alcuni propri vaccini.
In Iran la pandemia ha provocato una delle crisi sanitarie più gravi del Medio Oriente: a febbraio-marzo più di un milione e mezzo di contagi ufficiali da coronavirus e quasi 60.000 morti su 82 milioni di abitanti. Nonostante la gravità della situazione il governo solo nella prima settimana di febbraio ha autorizzato l’utilizzo del russo Sputnik V, quando sono arrivate 10.000 dosi a cui si sarebbero aggiunte altre 2 milioni nei due mesi successivi.

Giappone, Cina e Sud Corea

A marzo le grandi potenze asiatiche risultavano ancora in ritardo nella vaccinazione rispetto a Stati Uniti ed Europa. Sarebbero ugualmente riuscite a controllare le ondate epidemiche con severe misure sanitarie: ancora a marzo 2021 registravano tassi di infezione più bassi degli Stati Uniti e dell’Europa: mentre a marzo la Francia riportava una media di 20.000 casi giornalieri, il Giappone ne aveva appena 1.000, la Corea del Sud 400 e solo una ventina in Cina, dicono.

Prime conclusioni

Ma le varie borghesie nazionali scommettono sul fatto che fra 4-5 anni i vaccini saranno disponibili e a basso costo come gli antinfluenzali di oggi. La sensazione è dunque che con i vaccini si possono ottenere vantaggi tattici immediati ma non strategici a lungo periodo. Ritengono invece prioritaria la vaccinazione fino alla immunità di gregge della loro popolazione lavoratrice e consumatrice, indispensabile alla ripresa di tutti i loro traffici, alla libera circolazione nei mercati mondiali e ad evitare tensioni sociali dovute a forzosi distanziamenti sanitari estesi e duraturi.

La Cina, oltre a rafforzare il suo soft power nel mondo, intende dettare gli standard sanitari del futuro facendosi largo all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dove già è fortemente influente e dalla quale cerca di scalzare la guida occidentale, soprattutto americana.

In un mondo dove con grande probabilità, visti i disastri inflitti dall’economia capitalistica all’ecosistema, dovremo essere pronti a difenderci da altri patogeni, avere una industria sanitaria forte, grande capacità tecnologica, possibilità di disporre di enti in grado di registrare e accertare la validità di un farmaco, è sicuramente altamente strategico. Per ora questa superiorità è nelle mani dell’Occidente, ma in particolare la Cina, che negli ultimi anni ha dimostrato di poter compiere progressi in tempi estremamente rapidi, può diventare un concorrente temibile.

Da un lato gli USA si illudono di poter interrompere la cosiddetta “catena del valore” che li lega alla Cina per isolarla tecnologicamente, dall’altro la Cina sta diventando indipendente in quel terreno. Questo ha ripercussioni anche nel campo sanitario. Per la Cina assicurarsi un sistema sanitario efficiente è sì un obiettivo di proiezione all’estero, ma anche interno: l’epidemia di coronavirus ha confermato che c’è un forte divario in Cina anche sul piano sanitario tra le città e le regioni più povere del paese.

Partito Comunista Internazionale

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