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Green pass, scienza, stato, piazze contro il green pass – lettere (di segno contrastante) alla nostra redazione

(1 Settembre 2021)

carlo levi polemiche elettorali

La nostra presa di posizione contro il green pass, opposizione motivata a modo nostro, ha suscitato reazioni critiche di segno contrastante. Per dirla in modo sommario: da un lato la critica di essere stati troppo tranchant nei confronti delle piazze no green pass; dall’altra – invece – di aver avallato in qualche modo il sentimento e l’attitudine che da quelle piazze emana, ed è pericoloso per l’autodifesa della salute da parte dei lavoratori. Ma non solo di questo si sono occupate le lettere che abbiamo ricevuto, sollevando – tra l’altro – anche la questione essenziale dell’attitudine da avere nei confronti della scienza, dell’industria farmaceutica e delle istituzioni che stanno monitorando il procedere della pandemia.

Abbiamo deciso di rendere pubbliche tre di queste lettere, la prima del compagno Alessandro Mantovani, la seconda dei compagni e compagne del Csa Vittoria di Milano, la terza di un compagno di Marghera, perché con la nostra presa di posizione abbiamo solo cercato di dare delle coordinate, delle indicazioni di fondo per una politica di classe in grado di contrapporsi all’iniziativa borghese su questo terreno, e non pensiamo affatto di avere detto l’ultima parola. Una pretesa del genere sarebbe tanto più sciocca quanto più la situazione è in continua evoluzione, a scala nazionale e internazionale: per quello che concerne la pandemia, per l’intreccio tra pandemia e crisi strutturale del sistema, per le decisioni del padronato e del governo Draghi (e degli altri governi) collegate a questa evoluzione, ed infine per le risposte di lotta a queste decisioni.

Per nostro metodo, ci atteniamo allo svolgimento dei fatti reali, studiandoli per affinare la nostra tattica di azione. Non conosciamo altra via per favorire ciò che più ci sta a cuore: l’attivizzazione e la presa di coscienza del settore dei proletari più sensibili alle grandi questioni sociali e politiche in modo che sia in grado di essere un punto di riferimento per una più vasta massa di lavoratori oggi passivizzata, disorientata, dispersa. Gli aspetti da considerare sono molteplici, ma un’attenzione speciale va data alle politiche sanitarie del capitale, ai loro effetti, e alla loro valenza politica generale nel rapporto tra lo stato, gli stati, e la classe lavoratrice (e, più in generale, ma sempre in un’ottica di classe, la cittadinanza).

Ecco perché siamo interessati ad ospitare note o scritti che permettano di sviluppare il dibattito tra chi si pone in un’ottica anti-capitalista e si interroga sui passi necessari da compiere per favorire un’azione organizzata ed autonoma dei proletari. Dall’inizio di questa crisi, abbiamo seguito questo tracciato, e ora riteniamo opportuno farlo pubblicamente per alimentare il confronto tra militanti, e mettere a punto una tattica di intervento comunista nel proletariato la più efficace possibile.

Alle osservazioni critiche di A. Mantovani rispondono le considerazioni di Piero Favetta e, su un solo aspetto, Eddy Sorge. Mentre ai compagni del Csa Vittoria, sodali di tante iniziative, replichiamo che non ci sembra di esserci fermati “a metà”, e di aver dato un messaggio ambiguo. Noi siamo contro l’obbligo di vaccinazione e contro il green pass obbligatorio sui luoghi di lavoro, le scuole, nei trasporti, etc., per tre solide ragioni:

1)perché esso comporterebbe inevitabilmente una serie di sanzioni per chi si sottrae – ricordiamo che la legge del 1966 che rendeva obbligatoria la vaccinazione antipolio per i bambini entro il primo anno di vita, prevedeva sanzioni per i genitori inadempienti: multa e segnalazione al tribunale in caso di reiterazione del comportamento fino alla possibilità di limitare o sospendere la patria potestà. Ove passasse l’obbligatorietà del vaccino e del green pass, ci troveremmo in una situazione del genere. Del resto già migliaia di operatori sanitari sono stati sospesi e il rischio del loro licenziamento appare dietro l’angolo.

2)perché, come è ormai evidente, la capacità di questi vaccini di difendere dal virus non è certo totale, e scende ancor più nei confronti delle varianti. Essa, inoltre, si è dimostrata rapidamente decrescente nel tempo, sicché avallare, anche solo indirettamente, il ricorso al vaccino come arma risolutiva e perciò, in quanto risolutiva, obbligatoria (come tuttora pretende di fare il governo Draghi), ci metterebbe in contraddizione con la realtà stessa dei fatti. Né si può trascurare il fatto che gli attuali vaccini sono poco efficaci nel bloccare il contagio, circostanza che rende l’obbligo del green pass largamente inefficace, e perfino pericoloso per il senso di falsa sicurezza che può indurre in chi lo possiede (dopo solo la prima dose). Non è una furbizia, né una concessione limitarci a dire che il vaccino aiuta, ma non è risolutivo, perché è esattamente così. La vicenda di Israele, il paese più avanti di tutti nella vaccinazione di massa, lo conferma in modo evidente: lì si sta imponendo la terza dose come obbligo per tutti, anche i giovani, proprio perché il grado di copertura delle prime due dosi è deperito in breve, molto più in breve di quanto si prevedesse. Allo stato, è impossibile dire se questo sia dovuto all’irruzione delle varianti, oppure se sia stato inizialmente sopravvalutato il grado di copertura dei vaccini – resta, però, che i fatti sono questi.

3)perché con il profilarsi di una permanenza dell’epidemia almeno fino alla primavera del 2022 e, quindi, con il profilarsi del permanere di misure quali il distanziamento fisico, le mascherine, etc., sarà cruciale, per il governo e le istituzioni statali, trasformare il covid da problema sociale in problema individuale (“quello che conta più di tutto sono i comportamenti individuali”), scaricando sui singoli la responsabilità della diffusione del virus che è invece interamente di sistema, e attizzando anche dentro la classe lavoratrice l’antagonismo (fasullo) tra vaccinati e non vaccinati.

Tutte e tre queste ragioni hanno a che vedere con la nostra denuncia dei governi e dello stato, come primi responsabili di questo corso della pandemìa. Noi avremmo contrastato il virus in tutt’altra maniera: brevi lockdown rigidi (di tipo “asiatico”) localizzati nei focolai, cioè dove strettamente necessari; isolamento dei malati e protezione speciale dei più vulnerabili; tracciamento dei contagi; cure domiciliari, pur senza escludere, ovviamente, la messa a punto e l’utilizzo del vaccino. Lo stato italiano, come tutti gli stati occidentali, ha seguito invece una linea d’azione (anti-operaia e anti-proletaria) opposta: tutto aperto ciò che è essenziale alla produzione di profitti, e a qualsiasi costo; poco impegno nel tracciamento; zero cure domiciliari precoci; terapia anti-covid esclusivamente negli ospedali per i casi più gravi (senza neppure proteggere adeguatamente lo stesso personale sanitario); tutto ciò nell’attesa dell’arma “miracolosa” dei vaccini. Nella situazione pericolosa creata da questa criminale e caotica gestione della pandemia, l’opposizione di principio alla vaccinazione sarebbe stata una scelta irresponsabile rispetto all’auto-difesa della salute da parte della classe lavoratrice, dal momento che – dati alla mano – nonostante la celerità con cui sono stati apprestati e messi in circolazione, questi vaccini, in linea generale, aiutano a contrastare sia la diffusione che l’aggressività del virus. Tuttavia la piena protezione da questo virus, e da questa famiglia di virus, dipende dall’utilizzo di molti altri strumenti oltre ai vaccini: anzitutto l’aggressione alle cause della produzione di questi virus, brevi lockdown solo dove necessari, i tracciamenti di massa, la messa in piedi di emergenza di una rete di strutture di medicina territoriale fondamentali per le cure domiciliari, severi protocolli anti-covid nei luoghi di lavoro, potenziamento dei trasporti pubblici, etc., tutte tematiche che abbiamo posto con forza nell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi del 17 aprile interamente dedicata alla pandemia in corso. E che dobbiamo riproporre con ancora maggior determinazione perché non siamo riusciti ad imporre nessuna di queste misure essenziali.

https://archive.org/details/salutenoneunamerce1_202104

https://archive.org/details/salutenoneunamerce2

https://pungolorosso.wordpress.com/2021/04/25/un-report-sulla-giornata-del-17-aprile-in-difesa-della-salute-della-classe-lavoratrice-e-della-vita-e-sulle-prossime-iniziative/

Quanto alle piazze contro il green pass, certo: c’erano e ci sono in esse anche proletari, seppur sparpagliati/non organizzati e per lo più politicamente egemonizzati da chi sappiamo, senza un minimo di classismo. Ed è vero, come ci fa presente Alessandro Mantovani, che in queste piazze c’erano e ci sono anche diffidenze e critiche verso le istituzioni simili alle nostre, sicché può apparire contraddittorio essere contro il green pass e dare un giudizio del tutto negativo su tali piazze chiamate contro il green pass. Ma il problema principale era, ed è: come farle intersecare con una lotta operaia che si è battuta sin dall’inizio per obbiettivi di fondo esattamente opposti a quelli prevalenti nelle piazze in questione – chiusure e non aperture; regole/controlli e non “liberi-tutti”; i lavoratori prima del profitto e della bottega; contro il capitale, sanità universale, e non chissenefrega? Allo stato attuale dei rapporti di forza, un’immersione a freddo in questo tipo di manifestazioni del piccolo settore di proletariato che ha dato vita all’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi sarebbe stata un’avventura con la certezza di ingenerare altra confusione, dissipando forze anziché accrescendole. Certo, se le cose stessero diversamente, si potrebbe… però la realtà è, al momento, questa. Non diamo nulla per scontato, osserviamo come evolvono queste piazze, e come evolve la nostra – lo sciopero generale dell’11 ottobre sarà una prima, importante verifica.

Quanto alle critiche contenute nella lettera di Marco Pettenò, infine, ogni messa in guardia razionalmente motivata nei confronti delle “autorità sanitarie” e delle loro statistiche, nonché della scienza medica più in generale, è benvenuta. Raccogliamo perciò il suo invito ad esaminare con maggiore attenzione la questione delle segnalazioni, ragionando su di esse, su cosa si intende per eventi non gravi, eventi gravi ed eventi letali, sulle diverse metodiche di raccolta delle segnalazioni, e sui numeri a disposizione – in rapporto sia a questi vaccini, che ai medicinali in genere. Ma ci pare che sui punti essenziali da lui rimarcati: ciò che persegue il grande capitale con la sua martellante campagna sui vaccini; i limiti di efficacia di questi vaccini (evidenti e segnalati anche nel nostro testo sulla scia di scienziati e studiosi di cui ci fidiamo); l’importanza delle cure domiciliari e della medicina territoriale; la funzione diversiva, divisiva e repressiva del green pass; siamo in pieno accordo.

Alessandro Mantovani

Cari compagni della Tendenza internazionalista,

faccio una premessa: le considerazioni che seguono non vanno viste a sé stanti, ma congiuntamente ad un testo che si può consultare a questo link: https://pasadoypresentedelmarxismorevolucionario.net/2021/08/08/obbligo-vaccinale-e-green-pass-no-grazie/

Ciò detto, volevo esprimere la mia soddisfazione per la vostra presa di posizione contro l’obbligo vaccinale ed il green pass. Essa tocca un po’ tutti gli aspetti ed è ben articolata. L’ho letta con grande piacere e trovandomi in accordo quasi totale fino al paragrafo che inizia con le parole “Il green pass rappresenta invece un’abile scappatoia”, e termina con “per ogni imprevisto derivante dalla campagna vaccinale”.

Procedendo oltre invece a tratti si ha l’impressione, da una parte che il vostro documento cerchi di conciliare posizioni diverse, dall’altra che abbia più a cuore polemiche inter gruppi che non stabilire una linea di condotta univoca. Quasi come se fossero due documenti diversi cuciti insieme. Ed emergono alcune valutazioni che mi sembrano meno convincenti.

Nello spirito di una elaborazione collettiva e di solidarietà reciproca, mi permetto di parlarvene. Anche se tali valutazioni meriterebbero un lungo esame, lo farò brevemente.

Il mio primo rilievo non è – o almeno non dovrebbe essere – divisivo, trattandosi di valutazioni in fieri sulle quali un’omogeneità assoluta non è necessaria: riguarda una fiducia vostra che a me pare eccessiva nei vaccini. Non so da dove traiate la convinzione che gli eventi avversi gravi siano e saranno statisticamente trascurabili. Lo speriamo tutti, ma al momento a quanto mi risulta (sono un povero mortale, non un virologo) è troppo presto per affermarlo e perciò pericoloso assumersene la responsabilità. Non dico questo tanto avendo in mente le tecnologie (già pre esistenti) con cui i vaccini sono stati prodotti. Lo dico piuttosto avendo in mente la prassi generale della produzione e approvazione dei farmaci – tutti i farmaci – da molto tempo a questa parte a livello mondiale. In proposito non dobbiamo sottovalutare quello che – sempre per ciò che ne ho capito io povero uomo della strada – è il funzionamento reale della ricerca medica contemporanea: essa e la produzione farmacologica sono pressoché interamente dominate – per via diretta ed indiretta – dalle grandi case farmaceutiche. Ciò significa di prassi design dei trial clinici inficiato dalla volontà di vedere approvati i farmaci, trial condotti su numeri limitati, risultati contraffatti, rilevazione carente degli effetti collaterali, procedure condizionate di approvazione, ecc. Questo di norma e da anni.

Quindi quando la narrazione ufficiale ci dice che i vaccini anti covid19 sono stati prodotti – malgrado la velocità – secondo i “migliori standard”, pur ammettendo ciò vero, si dice qualcosa di assai poco tranquillizzante. A tale affermazione non si deve rispondere “per fortuna”, bensì “purtroppo”. Per quanto mi riguarda io mi sento poi molto poco a mio agio nel brandire, come fanno ogni giorno governi, TV e giornali, la logica del cosiddetto rapporto costi/benefici, che ha un sapore contabile più che medico. L’esempio della lavatrice non mi sembra affatto calzante, a meno che non parliamo di lavatrici senza presa a terra con il rischio di “rari” shock mortali. Per quanto rari tali eventi sarebbero inaccettabili visto che esiste la possibilità di evitarli. Anche un morto sul lavoro al giorno implica un rapporto costi/benefici piuttosto “positivo” visto che quanti ogni giorno si recano al lavoro sono milioni. Ma noi vogliamo che non ci sia nemmeno un morto. Qualche burlone ha scritto in questi giorni che i vaccini sono sicuri quanto gli aerei, con “incidenti” statisticamente bassi. Ma noi sappiamo che se questi “rari” incidenti aerei avvengono è perché la produzione di aeroplani e la loro manutenzione, così come la gestione del traffico aereo, sono sottoposti alla legge dei costi e dei ricavi, ossia del profitto. E se un aereo che cade ogni tanto è accettabile per il sistema capitalista non lo è affatto per noi. Perché non si tratta quasi mai di incidenti inevitabili.

La verità è che la produzione di vaccini e di medicinali in generale è sottoposta agli stessi meccanismi. E pertanto identica deve essere la nostra denuncia. Perché più alti standard di sicurezza sono possibili in una società non volta al profitto. Perché l’arma vaccinale non è l’unica alternativa possibile per combattere le epidemie virali. Ve ne sono altre, come il tracciamento e la quarantena, che per una società basata sulle esigenze umane non sarebbero un problema. Per tutto questo non esiste alcun rapporto rischi/benefici sulla salute che possa andarci a genio in questo sistema e non debba da noi essere denunciato. Anche quando siam forzati ad accettarlo, ad accettare di andare al lavoro, di prendere l’aereo, di vaccinarci, noi dobbiamo pretendere di alzare l’asticella della sicurezza, non accontentarci del livello che si vuol imporci.

La scienza medica capitalistica non è degna di tutta la fiducia che con troppa ingenuità o per troppi conflitti di interesse da molte parti le si accorda. L’allungamento della vita media dei paesi “ricchi” deve molto più alle aumentate disponibilità alimentari ed alle condizioni di igiene, e ad alcune pietre miliari farmacologiche del passato come gli antibiotici e gli stessi vaccini, che non agli sbandierati e presunti mirabolanti medicinali recenti. E qui il discorso potrebbe allargarsi al fatto che la ricerca tende ormai più a produrre farmaci costosi e persino dannosi e sempre meno farmaci utili, ecc. Ma mi fermo qui notando che un cenno ai limiti intrinsechi di una scienza – quella borghese – votata al profitto, avrebbe conferito al vostro documento maggiore equilibrio.

Pertanto – siccome penso che nessuno di noi sia tanto ingenuo dal credere che i sistemi di rilevamento ufficiale degli effetti avversi facciano davvero il loro dovere – sarebbe opportuno non lasciare ai deliri novax il monopolio di tener desta l’attenzione sugli effetti avversi che si stanno manifestando e che eventualmente dovessero in seguito manifestarsi.

Ripeto. Questo primo punto non è e non deve essere divisivo. Tutto quanto riguarda il virus e i vaccini è ancora allo stato fluido e le opinioni diverse sono possibili.

Il secondo punto riguarda il vostro giudizio nettamente ed assolutamente negativo sulle manifestazioni di piazza di questi giorni. Qui le mie perplessità sono più forti.

Come conciliare questo vostro giudizio – un giudizio che si riserva al nemico – con l’opposizione dichiarata al green pass? Si giunge al paradosso di considerare indiscriminatamente avversari quanti rivendicano la parola d’ordine da voi data!

Qualcosa non quadra. A me pare che si debba distinguere tra manifestazioni contro il lock down e opposizione al green pass. È ben vero che nella piazza le cose si confondono, ma non sono la stessa cosa. Non possiamo essere contro il lockdown, anzi andava fatto seriamente e accompagnato al tracciamento, mentre si è voluto tenere in moto l’apparato produttivo ponendo a rischio la vita dei lavoratori. Su questo siete molto opportuni e convincenti. Ma non possiamo essere a priori nemici di chi si oppone al green pass. Perché? Perché il principio dell’obbligo vaccinale finirà per toccare soprattutto i lavoratori e dunque è passibile di sviluppi diversi. Nella storia vi sono numerosi esempi di movimenti nati interclassisti che hanno preso poi una direzione proletaria. I movimenti del caro viveri nel primo dopoguerra italiano, il sessantotto, il movimento della piazza Tien an Men in Cina, e taccio della “primavere arabe”. Gli stessi gilet gialli contenevano possibili dinamiche in questo senso. E che dire del movimento NOTAV “dall’albergatore all’agricoltore”, passando però per un’opposizione allo stupro del territorio che è anche obiettivo comunista e non solo ingenuità di giovani anarchici e movimentisti agé?

Non si deve avere una visione stereotipata della lotta di classe. Non bisogna legarsi troppo le mani coi modelli del passato. Non si dovrebbe, soprattutto nel mondo post-fordista, nel mondo del precariato diffuso, conservare residui di operaismo e immaginare che tutto ciò che non nasce sul luogo di lavoro sia da disprezzare. Non che voi in generale lo facciate, sia chiaro. Mi riferisco a questa presa di posizione specifica.

Non diceva Lenin di andare tra tutti gli strati della popolazione? Non diceva che bisogna sfruttare ogni fonte di malcontento per dirigerla contro il potere? Voi direte si trattava di un paese arretrato, di una rivoluzione popolare. E sia. Che dire allora del suo apprezzamento del movimento nazionalista irlandese? E la Terza Internazionale non si pose forse il problema della posizione da prendere nei confronti delle reazioni popolari contro il trattato di Versailles?

E dunque? Che fare? Esaltare i movimenti di piazza di questi giorni come qualche compagno ha fatto significa aver perso la tramontana, ma disprezzare tutto quello che non emana direttamente dai luoghi di lavoro oppure non veste la casacca ufficiale del disoccupato non è mai stata la soluzione, tanto più oggi in cui la composizione di classe del proletariato presenta fenomeni di disgregazione, precarizzazione e fluidità che spesso rendono il proletario poco riconoscibile perfino a se stesso. Che dire ad es. delle partite IVA o dei soci fasulli di cooperative fasulle? Sicuri che non ce ne fossero in piazza?

Un caloroso saluto e buon lavoro.

Piero Favetta


Trovo che l’intervento di Mantovani sia decisamente costruttivo nello spirito con cui pone il confronto. Quanto al contenuto dei suoi rilievi critici, in sintesi penso questo.

Questione del carattere capitalistico della “scienza medica” e del controllo che le case farmaceutiche hanno di tutto il processo di messa a punto e commercializzazione dei farmaci.


E’ fuor di dubbio che questo controllo esiste e segue dinamiche simili a quelle di tutti gli altri settori capitalistici. Ma il problema non sta tanto nel denunciare questo fatto, sta piuttosto nell’individuare con precisione, e mettere sotto accusa, con cognizione di causa, quali sono i meccanismi specifici attraverso i quali ciò si realizza. Altrimenti, rimane una petizione di principio che non fa altro che “buttare la palla in tribuna” come si suol dire, cioè contrappone astrattamente, sul piano di principio, la produzione di farmaci in questa società (una produzione che, al pari di tutte le altre merci, è finalizzata al profitto) a quella della futura società comunista, in cui, ovviamente, saranno i bisogni dell’umanità libera a determinare tutto. Nell’intervento che ho fatto all’assemblea del 17 aprile, ad esempio, ho cercato, in modo ancora del tutto insufficiente, di porre questo problema, individuando nella ricerca scientifica uno dei punti cruciali di questo rapporto fra modo di produzione e scienza, non potendosi ridurre tutto alla formula secondo cui “la scienza è progresso, ma l’uso capitalistico della scienza ne deforma le finalità”. Si tratta, invece, di una relazione più complessa, che investe i presupposti stessi dell’indagine scientifica, gli input a cui essa risponde.

“[La ricerca scientifica] rappresenta un nodo cruciale. Ricerca scientifica non significa soltanto capire i meccanismi biologici, chimici, ecc., che stanno alla base di un determinato fenomeno. La ricerca scientifica è la risposta che si dà a determinate domande. Se noi poniamo domande inerenti sempre più alla prevenzione, alla qualità della esistenza, ai danni che il sistema capitalistico arreca alla vita umana, alla natura non umana e all’ambiente, noi avremo una ricerca scientifica meno prona agli interessi del profitto, volta non a fornire l’ennesima medicina o vaccino contro uno dei tanti virus che il modo di produzione capitalistico strapperà dal suo isolamento per trasformarlo nella causa di una nuova pandemia, ma a scongiurare che questo avvenga, una ricerca scientifica suscettibile di affiancare le lotte dei lavoratori per una sanità preventiva, universale, gratuita, che miri realmente al benessere collettivo e non a tamponare i disastri di questo sistema. Al contrario, oggi la ricerca scientifica, al pari di tutte le altre “forze produttive”, si converte di continuo in “forza produttiva del capitale”, contrapposta ai lavoratori e alla stragrande maggioranza della popolazione, perché può esistere solo come attributo del capitale, della sua potenza e della sua continua necessità di valorizzazione. Non è un caso che essa sia legata a filo doppio all’attività delle aziende capitalistiche che nesfruttano i risultati, e tale meccanismo non possa essere spezzato nemmeno attraverso il finanziamento statale dell’attività di ricerca, dal momento che essa rimane prigioniera in partenza degli input e delle richieste che provengono dalle imprese del settore e dalle esigenze del sistema capitalistico in generale. Ne è prova il basso afflusso di fondi per la ricerca pura, cioè per quella ricerca che è svincolata dall’obbiettivo di mettere a punto un qualche prodotto da vendere sul mercato. Il meccanismo perverso di cui è parte integrante l’attuale ricerca scientifica in campo medico (ma, mutatis mutandis, il discorso vale anche per gli altri settori) prevede infatti di ignorare scientemente tutto ciò che riguarda le cause di fondo delle malattie per concentrarsi, illusoriamente ma “profittevolmente”, sulla messa a punto di nuovi “rimedi” per tamponare le conseguenze di una vita sempre più disumana. Per assicurare la valorizzazione del capitale e la sopravvivenza del suo sistema si moltiplicano malattie e pandemie (una nuova era di pandemie è data ormai per scontata da tutti coloro che si occupano di questi problemi) e si lucra poi sulla crescente medicalizzazione della vita umana”.

E’ certamente ancora troppo poco e troppo generico per fondare materialisticamente una critica della scienza e di quella medica in particolare, ma ritengo sia un punto di partenza corretto, che non fa di noi degli ingenui assertori del progresso tout court, che non vedono, o quantomeno sottovalutano, le nefandezze dei colossi farmaceutici.

Quando parliamo del rapporto rischi/benefici, dobbiamo avere ben presente il quadro concreto in cui tale rapporto va inserito. Il discorso ridotto all’osso è: quanti morti causa la pandemia e quanti, eventualmente, il vaccino che deve contrastarla. Non ha senso contrapporre a questo calcolo la tesi, del tutto sensata ma puramente ipotetica, che le reazioni avverse potrebbero essere evitabili “in un’altra società”. L’esempio dell’aereo fatto da Mantovani sembra pertinente, ma non lo è. Se la Boeing risparmia soldi sulla manutenzione, aumenta certamente le probabilità che un aereo precipiti, ma il corrispettivo di tale comportamento in campo medico è, ad esempio, che la multinazionale X produca il vaccino in uno stabilimento con carenze igieniche o tecnologiche, che inquinano il medicinale, che ometta i necessari “controlli di qualità”, ecc. Ma questi comportamenti stanno su un piano diverso dalla ricerca scientifica che ha condotto alla messa a punto dei vaccini, dalla sua capacità di approntare uno strumento efficace contro il virus, ecc.

Non sto dicendo che su questo piano non si facciano valere le esigenze della valorizzazione del capitale, tutt’altro! Sto dicendo che tali input sono più profondi, e stanno in gran parte a monte del processo di messa a punto del vaccino o del farmaco che sia. Identificare con sempre maggiore precisione questi meccanismi, facendone oggetto di denuncia e, possibilmente, di propaganda e/o agitazione politica fra i lavoratori è essenziale, ma va fatto, come dicevo prima, con cognizione di causa. Serve a ben poco dire che, poiché le case farmaceutiche operano come tutte le imprese in vista del profitto, tale circostanza inevitabilmente produce conseguenze negative. Certo, per noi tutti anche un solo morto è troppo, se è evitabile, ma cosa vuol dire questo? Solo che sarebbe meglio avere vaccini più efficaci, con meno effetti collaterali negativi, con una durata dell’immunità maggiore, ecc. La ricerca scientifica però ha prodotto questi vaccini; se non siamo in grado di collegare i loro limiti di funzionamento a fattori specifici ascrivibili ad altrettanto specifici interessi capitalistici, finiamo solo per abbaiare alla luna. Coltivare una sana diffidenza verso le istituzioni, comprese quelle mediche, è giusto (del resto, tale diffidenza si produce già spontaneamente nel corpo della società). Ma fondare una critica materialistica della scienza, che non sia tributaria delle bestialità che oggi vanno per la maggiore, è un compito più complesso, su cui noi rivoluzionari siamo molto indietro.

La questione delle piazze contro il green pass

Anche qui dovremo ritornare sulla questione in relazione alla evoluzione della situazione. Non credo, però, che la critica di Mantovani colga nel segno. Spiego perché. Lui riconosce che noi, in genere, non siamo “operaisti”; dice però, più o meno, che lo siamo in questo caso specifico. Ma noi non abbiamo fatto “l’analisi del sangue” delle piazze per sentenziare che lì non c’erano proletari bensì solo piccolo-borghesi, e che quindi non dovevamo mischiarci. Sono altri che, anche cogliendo nel segno su certi aspetti, hanno concluso dicendo che “la nostra classe non sta qui”. Il problema, invece, per noi, è che, come abbiamo detto con chiarezza nel nostro documento, individui appartenenti alla “nostra classe” stanno in quelle piazze, così come stanno per converso nella maggioranza favorevole al vaccino, senza una propria autonomia di classe, chi a rimorchio della piccola borghesia che “vuole riaprire”, chi a rimorchio delle forze di governo per assenza di combattività, di critica, per paura, ecc.

Il presupposto materiale di qualunque “tattica” verso le piazze che abbiamo visto finora è proprio ciò che tuttora manca: un polo proletario e rivoluzionario sufficientemente forte e coeso, capace di esercitare una forza d’attrazione verso gli indecisi, gli impauriti, e, finanche, capace di porre un’alternativa stringente a quegli strati rovinati di lavoratori autonomi, ecc. che la crisi spinge alla canna del gas, attratti finora senza ombra di dubbi dalle sirene delle destre. Questo ce lo siamo detti più volte, e credo ne siamo tutti convinti. Il problema ulteriore da affrontare, ovviamente, è quali iniziative sviluppare nell’immediato futuro contro il green pass, a partire dal fatto che la tendenza mi sembra quella, sempre più marcata, di investire con l’obbligatorietà settori sempre più ampi di lavoratori.

Eddy Sorge


Il contributo di Mantovani è interessante, sia per lo spirito con il quale pone il confronto sui due punti spinosi, che per le sue osservazioni critiche.

Mi soffermerò soltanto sull’ultimo passaggio, quello relativo al “che fare” rispetto ad alcune piazze. Io continuo a credere che – come in altre situazioni – il tema non è solo “oggettivo”, e cioè analizzare la composizione sociale delle piazze e le tendenze e forze politiche presenti in esse, ma anche, e forse soprattutto, soggettivo: ovvero quali sono le forze di classe organizzate a disposizione per realizzare un “attraversamento” di quelle piazze, e quale l’indirizzo politico con cui farlo.

Anche nelle piazze dell’ottobre dell’anno scorso contro il secondo lockdown c’era una composizione mista ed ibrida. Inoltre le piazze erano diverse da città a città (ferma restando, in tutte, sia la prevalente composizione sociale di piccola borghesia, sia una direzione reazionaria). Là dove avevamo la possibilità di intervenire in maniera organizzata, come a Napoli, ci abbiamo provato, ed io credo non sia stato invano (specie nell’area di Bagnoli). Lì dove, invece, si è provato a rincorrere quelle manifestazioni alla ricerca “di nuovi soggetti”, si è perso tempo o – peggio – si è fatto il classico gioco situazionista (il movimento per il movimento, un’attitudine e un indirizzo politico che mi sento di criticare dalla a alla zeta).

Spesso, poi, si ragiona di “se e di ma” senza avere nulla tra le mani, tranne quel poco che proviamo ad organizzare noi che abbiamo dato vita al Patto d’azione anticapitalista e all’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi. Leggo, per esempio, un’affermazione di questo tipo: “Si dovrebbero attraversare in maniera organizzata queste piazze per far emergere le contraddizioni che portano al loro interno provando a intercettare il malcontento anche di settori impoveriti e lavoratori che vengono trascinati in queste piazze”. Dovrebbe chi? Quale forza organizzata? Dov’è oggi questa forza? Questo è e resta il problema di fondo. Qualcosa di simile accade anche quando si discute del “salario garantito” di 1000, o 1500, o 1800 euro… il problema vero è se c’è qualcuno che organizza la forza materiale dei disoccupati su questo terreno.

Compagne e compagni del Csa Vittoria

Ciao carissimi compagni,

nel leggere il vostro importante e interessante contributo, riteniamo essenziale rimarcare che il fenomeno pandemico sta intervenendo drasticamente e trasversalmente a livello globale. Di fronte a ciò, è assolutamente necessario enucleare ed esporre un pensiero che sia assolutamente autonomo sia dal capitale che dalla vulgata complottista. Un pensiero che non si allinei agli interessi degli assassini di Confindustria e che non sia supino al governo dell’unità padronale che sta provando a riprogettare un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica basata su un mix di keynesismo (in buona sostanza, in termini di erogazione di sussidi di varia natura) e forti investimenti privati, entrambi sostenuti a livello comunitario da una politica monetaria espansiva della BCE e dai miliardi in arrivo che produrranno debito da scaricare, come più volte abbiamo denunciato, sul proletariato.

Non possiamo quindi smettere di denunciare che la vera pandemia è il capitalismo, che la genesi del virus e i milioni di morti non sono altro che il prodotto di questo sistema economico e della sua voracità. In ciò debbono essere sì indicati i possibili strumenti di autodifesa, ma con l’obiettivo, sempre e comunque, di valorizzare una prospettiva e un modo di essere completamente alternativi al modello di società esistente.

Per arrivare al punto, crediamo che la formulazione dello slogan “No al green pass” crei confusione perché paradossalmente dovremmo sostenere, come prima scrematura dalla possibilità della diffusione dei contagi, un green pass più severo basato realisticamente almeno sulle 2 vaccinazioni e su un sistema permanente di tracciamento dei contagi tale da contenerne l’espansione.

Gli ultimi dati scientifici ci restituiscono una situazione in aggravamento (pur senza i picchi di inizio anno e in assenza di nuove varianti), di fronte alla quale la nostra posizione dovrà essere intransigente: il green pass è insufficiente. Il green pass è un mero palliativo che nasconde la volontà del “tutto aperto” per uscire da una situazione economica già prepandemica disatrosa (a macchia di leopardo dal punto di vista geografico e di tipologia produttiva), il green pass è l’effetto placebo per il “popolo” esausto dal lock down.

Ma non basta. Certamente la pandemia ha causato un tragico abbassamento della qualità della loro vita soprattutto per coloro che, esclusi anche dai sussidi previsti o dal blocco dei licenziamenti, vivono da sempre in una situazione di precarietà strutturale e senza regole, in una quotidianità che diventa prospettiva di vita. Il rifiuto di regole calate da chi permette il permanere di una simile situazione è quindi quasi comprensibile, anche se non giustificabile, soprattutto se osservato quale reazione indotta da un effetto trascinamento di parole d’ordine quali “profitto e libertà di impresa” con le quali è impossibile ogni collaborazione. E abbiamo letto con stupore ragionamenti di altre aree politiche come sempre inclini a correre dietro a fenomeni di “insorgenza” interclassista condotti, direttamente o indirettamente, dalla destra.

Ma su queste analisi potremmo tornare indietro nel tempo fino a ricordarci del paradigmatico “boia chi molla” di Ciccio Franco e dei moti calabresi, fomentati dalla borghesia locale contro il governo centrale, fatti vivere da migliaia di proletari senza essere certo rivoluzioni proletarie.

La parola d’ordine si sposta doverosamente sul terreno del soddisfacimento dei bisogni quindi sulla tassazione del 10% sul 10% per finanziare un salario garantito, indicando uno strumento tendenzialmente “classista” per sostenere questa spesa.

Si sposta sul diritto alla fruizione di un sostegno sanitario decentrato in ogni territorio con al centro i poliambulatori.

Si sposta sul segnare come fondamentale l’aspetto del diritto alla salute di un’intera collettività e non della presunta libertà del singolo “dubbioso”: non si tratta infatti di un pomposo relativismo filosofico, ma di semplice e becero individualismo. E anche ove si trattasse di una posizione esitante, dettata dalla contraddittorietà delle informazioni e degli abnormi interessi economici in gioco, non possiamo permettere o avvallare che ci si contrapponga al diritto alla sopravvivenza di chi, ad esempio, non è vaccinabile per problemi immunitari o per altre patologie diventando magari strumento di contagio. Più corretta riteniamo sia la battaglia per l’abolizione dei brevetti sui vaccini, per produrne in numero tale da soddisfare il bisogno di tutela della popolazione di tutti i paesi e non di pochi ricchi.

In buona sostanza, dovremmo provare a inserire nella nostra propaganda un paradigma di vita e di modelli comportamentali che possano mettere le basi per una prospettiva più collettiva e meno individualistica senza mai scadere nel “siamo tutti sulla stessa barca”. Continuando a denunciare, come dicevamo, le responsabilità strutturali di un sistema economico che ha messo il profitto e non l’uomo al centro dei propri interessi.

Accompagnare la critica alla genericità del green pass con un protocollo anti covid in ogni azienda come ha provato a fare il SI Cobas negli scorsi mesi, chiedere un incremento esponenziale del finanziamento alla sanità pubblica, al trasporto pubblico e alla scuola.

Tutto ciò senza la paura di sporcarci le mani, ma tracciando con molta chiarezza, anche tattica, la strada in un contesto complicato e difficile.

Marco Pettenó


Cari compagni, la presa di posizione sul green pass ha suscitato in me qualche dubbio, che mi sembra opportuno esternare.

Purtroppo è vero che il movimento che si oppone all’attuale prassi vaccinale e che si pone in modo critico sulla pandemia/sindemia si sta sempre più accodando a bottegai e padroncini che devono ripartire a tutti i costi per salvaguardare la loro piccola accumulazione. É altrettanto vero che i lavoratori presenti sono atomizzati, e che sta divenendo egemone una ideologia complottista al limite del demenziale, sul controllo dei corpi e delle volontà, o che mette addirittura in discussione i 100.000 morti in più solo in Italia nel 2020. Una tendenza di questo tipo, seppur presente, non era così egemone qualche anno fa, e credo che non poco abbia giocato l’isolamento in cui si trovano queste forme di opposizione. Se questo è quello che troviamo dietro ai vari movimenti, non dobbiamo nasconderci che dall’altra parte il grande capitale preme sull’acceleratore della copertura vaccinale ad ogni costo per ripartire a pieno ritmo con la grande accumulazione, senza sostenere i costi di una rifondazione della medicina territoriale che se ne andrebbero più in personale medico e infermieristico che in brevetti – ossia in profitto.

Vengo a cosa non mi convince della presa di posizione. Il non detto dipinge chi nutre dubbi sulla via di uscita vaccinale da questa pandemia come, nel migliore dei casi, disinformati e spaventati, ma tra le righe si legge l’insofferenza verso questi soggetti. Uno sguardo benevolo e tollerante che implica il “prima o poi si convinceranno”. Tra la massa che si oppone non vi sono, però, solo bottegai e complottisti doc (e molti lavoratori disorientati, che quindi approdano all’unica teoria che sembra spiegare qualcosa). Anche una parte della “classe medica” è molto critica, si contano a migliaia, e non vale il gioco del numero che li contrappone alla stragrande maggioranza del personale sanitario. All’interno della “classe medica”, oltre a chi svolge il proprio lavoro senza per forza mettere tutto e sempre in discussione, dobbiamo aggiungere quanti sono immobilizzati da un vero e proprio terrore di perdere la propria posizione lavorativa (vedi ad esempio il servizio di Report sul caso Crisanti, e in quel caso si trattava di mettere in dubbio la valenza di test rapidi, non un dogma farmaceutico quale è diventato quello sui vaccini). Questo per dire che chi si pone in posizione critica sul tema non è per forza un imbecille inesperto, o un terrappiattista senza alcuna evidenza clinica o scientifica.
Il secondo punto che mi vede perplesso è la leggerezza con cui si sono presi i dati Aifa sui morti senza considerare le segnalazioni. Se è vero che si deve partire da un dato concreto e Aifa è la fonte ufficiale, sappiamo bene chi finanzia Aifa e Ema e quali siano i loro interessi a ridurre al minimo gli effetti collaterali immediati delle somministrazioni vaccinali. Questo al netto della effettiva difficoltà di stabilire un nesso tra causa del decesso e vaccino, e non solo una causalità temporale. Per tirare i dati dalla parte opposta, le segnalazioni di decesso in Italia sono oltre 300, nel Regno Unito 1.213, negli Usa 4.863, per una cifra mondiale che si aggira attorno ai 20.000 decessi. Comunque nulla rispetto ai morti per Covid, ma non possiamo trascurare che le segnalazioni ricevute con il metodo della farmacovigilanza passiva, come quella che si sta applicando inopportunamente in questo momento, sono inferiori, e anche di molto, a quelle che si avrebbero con la farmacovigilanza attiva. L’Ema in altri monitoraggi ha persino scartato i dati della farmacovigilanza attiva perché non in linea con quella passiva. Non è tutto: c’è un’altra variabile da tenere in conto, ossia l’estrema riluttanza dei medici a segnalare gli avventi avversi e i decessi. Questo già avveniva normalmente e il fenomeno è enormemente amplificato in questo frangente storico, cosa che fa pensare che le segnalazioni siano molto sottostimate.
Ancora: forse nella presa di posizione si è voluto fare contropropaganda, ma il passaggio di chi si straccia le vesti sul divieto di mangiare al ristorante al chiuso rende attaccabili, e sembra far passare in secondo piano quanto pure si è scritto sul green pass come attacco ai lavoratori. Si può rinunciare anche a musei, sagre e cinema, ma non mi sembra cosa di poco conto escludere dall’istruzione universitaria chi non presenta il certificato verde, offrendo il surrogato della didattica a distanza. Non è la prima volta che accade: già dal 2017 tutti i bambini privi di vaccinazioni nella fascia 0-6 sono stati esclusi dalla socializzazione e dall’istruzione con l’interdizione dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia. Se a questo si aggiunge l’obbligo imposto ai sanitari (oltre il milione di lavoratori tra medici del SSN e privati, odontoriatri, infermieri, Oss, fisioterapisti, etc) e ora al personale della scuola (800,000 insegnanti senza il personale Ata) non è poca cosa, soprattutto se si ascoltano le richieste da parte padronale e sindacale di renderlo obbligatorio sul posto di lavoro. Liquidare il tutto con la battuta sui ristoranti mi è sembrata una scivolata superficiale. Anche perché la storia sarà molto lunga: l’obiettivo (quasi raggiunto) era l’inoculazione del vaccino nel 70% della popolazione entro settembre, ma l’asticella verrà alzata sempre di più e di conseguenza si amplierà la platea dei lavoratori che saranno colpiti dagli strumenti coercitivi per “convincere” quanti sono critici. E finché il virus si diffonderà, non basterà né l’80, né l’85 né il 92% di soggetti vaccinati e la responsabilità del contagio sarà sempre di quella seppur (a quel momento) ultraminoritaria popolazione non vaccinata. Il copione si ripete purtroppo identico da anni. Non è il caso di rievocare le leggi razziali, ma il green pass, se non arginato, finirà sempre di più per assomigliare alla tessera del pane fascista.
Perché invece non prendere posizione netta in favore delle cure domiciliari precoci? “Sperimentate” da migliaia di medici su svariate decine di migliaia di pazienti nel nord e nel sud del mondo (numeri estremamente più alti di quelli sui quali sono stati condotti gli studi sui vaccini), hanno portato a risultati eccellenti e senza alcun rischio, a breve e a lungo termine. Si tratta di intere reti di medici che praticano le cure domiciliari che non negano né la gravità del Covid né la scia di morti che ha prodotto, ma che semplicemente contestano il protocollo della vigile attesa con tachipirina, imposta dall’OMS, che impedisce di aggredire la malattia fin dal suo esordio e prima che porti ad un quadro clinico grave.
Da ultimo, già ne abbiamo discusso più volte, non dobbiamo cadere nell’errore di sussumere i risultati della scienza come verità divine immutabili. La scienza, o ancora meglio la ricerca scientifica, non solo è al servizio del capitale, ma non è nemmeno infallibile e procede in continua evoluzione. Una teoria scientifica è valida fino a che non viene smentita o superata. Negli anni ‘20 del 1900 il radon era considerato un toccasana e un rinvigorente consigliato come panacea universale, con tanto di pubblicità e manifestini. Negli anni ‘50 il burro veniva consigliato dai medici per lubrificare le vene (viene da ridere oggi) e il fumo di sigarette era altrettanto un toccasana. In quest’ultimo caso l’industria del tabacco è intervenuta attivamente in modo fraudolento con ricerche sponsorizzate. Tutti e tre gli esempi si collocano a secoli di distanza dall’inizio del metodo galileiano, quindi a meccanismo ben rodato, eppure la fallibilità è insita nel metodo scientifico, e questo è tanto più vero se la ricerca scientifica è pesantemente indirizzata e influenzata, come avviene in tutti i campi, non escluso quello medico-sanitario.
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Il pungolo rosso

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