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SERPENTI A SONAGLI E INCANTATORI IMPROVVISATI

(11 Ottobre 2021)

assalto alla cgil

Come ampiamente prevedibile, la riduzione del bacino dei non ancora vaccinati ha operato come una bassa marea sulla “nave morta” della feccia piccolo-borghese e su alcune delle sue espressioni politiche, più o meno no-vax. Da un lato la scarsità di acqua rende più frenetiche, convulse e persino violente le operazioni per tenere la bagnarola a galla, dall’altro i decreti legge del governo – non diremo del “governo di Confindustria” perché potremmo alimentare l’illusione che i precedenti governi non lo siano stati – che colpiscono soprattutto la classe operaia, vengono utilizzati strumentalmente da coloro ai quali della classe operaia interessa soltanto che continui a farsi salassare di pluslavoro e che sono pronti a rientrare nei ranghi non appena sia chiarito che solo e soltanto la classe operaia deve pagare il prezzo intero e senza sconti della ristrutturazione pandemica e post-pandemica.

L’assalto di poche decine di scalzacani alla sede centrale della Cgil di Roma, ai margini di un ben più ampio corteo “no-green pass”, rientra in questo quadro.
Alcuni, tanto perspicaci da pretendere di essere i soli in grado di fornire un’interpretazione verace e “controcorrente” dei fatti (quanta modestia sotto il sole), hanno compreso, partecipando al corteo o visionando con analitica attenzione i filmati passati dai media, che la maggioranza dei manifestanti, prima dell’incursione del manipolo di disertori del baretto, lanciava slogan come: “Landini dimettiti!”, e questo, sempre secondo i perspicaci analisti “in movimento” starebbe a significare che non di violenza anti-sindacale tout court si tratterebbe, bensì di “sacra” nemesi da parte di lavoratori stanchi dei bonzi di un sindacato di regime che approva tutte le misure anti-proletarie adottate dallo Stato borghese, un giusto risentimento di cui il fascistume avrebbe approfittato. Che acume! Che profondità di analisi! Peccato però che mentre i ben riconoscibili figuri forzavano il non molto convinto nè molto folto presidio poliziesco davanti alla sede della Cgil, il resto dei manifestanti, col tricolore saldamente in pugno, non abbia mosso un dito per fermarli nè abbia manifestato la minima perplessità di fronte alla devastazione della sede. Un bottegaio della ristorazione, leader di “io apro”, un dirigente di Forza Nuova, entrano con altri nella sede centrale di un sindacato e la devastano, ma un grido contro Landini muta la natura di classe dell’avvenimento. Miracoli delle parole! D’altronde, da qualche parte sta scritto che “in principio era il verbo”. E’ un po’ come dire che se nel corso del linciaggio di un venditore ambulante straniero qualcuno grida: “è un piccolo-borghese” non di razzismo si tratta, ma di sana e consapevole collera proletaria.

Sia chiaro, non facciamo nostre neanche per un istante le geremiadi dell’antifascismo democratico. Pericolo Fascista? Squadrismo? Non scherziamo, per cortesia. Ma non perché non fossero carogne fasciste quelle poche decine di scarafaggi che hanno assaltato la Cgil, quanto perchè non ci risulta ci sia qualcosa che somigli neanche lontanamente ad un biennio rosso, rossiccio o rosé, o ad una ripresa generalizzata della lotta di classe. Oggi purtroppo la nostra classe non è nemmeno in ginocchio, è prona, ed ha lo stivale della borghesia premuto sul collo. Qualcuno poi ha fatto confusione con la toponomastica e ha scambiato Piazza Statuto di Torino con Corso d’Italia a Roma. Prego, ripassare storia e geografia. Le mezze classi in agitazione – che, detto per inciso, finora non si sono mai viste sotto le sedi di Confindustria – non hanno attaccato il sindacato collaborazionista o integrato nello Stato, hanno attaccato il sindacato in sé, hanno attaccato l’idea che esse hanno del sindacato in quanto organizzazione di lavoratori, hanno attaccato la Cgil non perché non fa il proprio dovere di sindacato (il che è indiscutibile) ma perché per i loro gusti e interessi fa persino “troppo” il sindacato, hanno attaccato la Cgil perché per loro rappresenta, per dimensioni e visibilità, “il” sindacato, e questo è l’unico motivo per cui, per ora, non hanno assaltato sedi di altri sindacati.

Ovviamente i bonzi confederali si indignano, perché si considerano parte fondamentale delle “istituzioni democratiche”, un pilastro dell’impalcatura costituzionale… loro sono legittimati a crederlo, il loro ruolo li conduce necessariamente a crederlo, ma la trascuratezza con la quale lo Stato ha difeso le loro sedi e la prontezza con la quale ha invece protetto le sedi istituzionali che contano mostrano che questa illusione è pericolosa da coltivare, soprattutto per i lavoratori, anche se iscritti alla Cgil, che invece non possono e non devono crederlo perché la loro pelle per la classe dominante non è certamente “parte delle istituzioni” da difendere, e che dovranno riprendere l’abitudine a difendere da sé stessi le proprie sedi dal canagliume piccolo-borghese, oppure a trovarsene o costruirsene di nuove nella misura in cui i bonzi non glielo consentiranno. Senza illudersi di poter contare su un paio di gendarmi male in arnese piazzati pro-forma a difesa di sedi lasciate colpevolmente non presidiate dalla stessa organizzazione sindacale.

In quella sede avrebbero potuto trovarsi, per qualche motivo, dei lavoratori iscritti, magari anche per protestare contro la direzione sindacale. Qualcuno crede veramente che il presunto “popolo incollerito” avrebbe fatto qualche distinzione? Non prendeteci e non prendetevi in giro. I lavoratori possono e devono contestare la Cgil, anche duramente, anche violentemente, la teppa piccolo borghese non ne ha facoltà, o non glielo si dovrebbe consentire, almeno secondo il nostro codice di classe.

Vogliamo rivolgere solo una domanda a tutti quei genii sui quali qualche migliaio di esponenti delle mezze classi in moto browniano accelerato esercitano un fascino ipnotico ed irresistibile, che vale più della socialmente determinata, relativa e temporanea indisponibilità al movimento di 700.000 operai, iscritti ad un sindacato, di regime, parastatale, venduto, padronale, burocratizzato, zubatoviano, erede delle corporazioni fasciste e dello stalinismo quanto si vuole, ma comunque sindacato: è questo che intendete quando vi riempite la bocca di slogan come “unire le lotte”, “unire i lavoratori”? Se è questo il vostro modo di unificare il fronte di classe state facendo un ottimo lavoro, non c’è che dire. Sicuramente gli operai iscritti alla FIOM, magari gli operai della GKN, della Piaggio di Pontedera, della Stellantis o dell’Ilva di Taranto saranno lieti di vedere che l’alternativa al loro sindacato, di regime, parastatale, venduto, padronale, burocratizzato, zubatoviano, erede delle corporazioni fasciste e dello stalinismo quanto si vuole, ma comunque sindacato, è rappresentata da chi non solo non spende una parola contro un’incursione ai danni della sede di un sindacato (la distinzione tra sede centrale o sezione territoriale è talmente imbecille che non merita nemmeno di essere presa in considerazione) da parte di pochi crotali fascisti usciti da un cesto di bisce che qualcuno pensa ancora di poter incantare, ma che addirittura non si sente di esprimere la minima solidarietà, non tanto verso la direzione sindacale, ben nota e meritatamente disprezzata, ma verso quei 700.000 operai che in quel sindacato ancora si riconoscono. Bel colpo! Questo sì che si chiama mettere un cuneo tra burocrazia sindacale e lavoratori iscritti! Invece di mettere quelle centinaia di migliaia di lavoratori in crisi con il loro sindacato ci si rende oggettivamente complici di chi invece li ricompatta sotto di esso per mezzo di aggressioni reazionarie.

E non ci si venga a dire che la solidarietà va data solo agli operai che lottano, sperando di liquidare con questa formuletta il problema di rapportarsi con quelli che non lottano ancora, ignorando le determinazioni materiali che spingono alla lotta i lavoratori, o che li trattengono dall’intraprenderla, colpevolizzando la classe nella sua stragrande maggioranza e mostrando, nella migliore delle ipotesi, il più ridicolo e bambinesco moralismo e la più lampante incomprensione della dinamica della lotta di classe.

Ma non ci rivolgiamo tanto a quella manciata di megalomani che si “occupano” di politica per svago o per soddisfare le personalissime esigenze del proprio ego ipertrofico. Sono il frutto della disgregazione di una sinistra già raccogliticcia e sedimentaria, e pur rappresentando solo se stessi, e a volte neanche più sè stessi ma una vecchia idea di sè stessi, intasano la rete con blog farneticanti di cui la “democrazia” social restituisce un riflesso distorto, capace di provocare le più chimeriche illusioni di contare qualcosa. No, ci rivolgiamo piuttosto a chi qualche decina di migliaia di lavoratori li organizza e che, almeno stando agli slogan, dovrebbe porsi il problema di intercettare quei lavoratori stanchi di un sindacato concertativo, compromissorio e istituzionale. Se non dovesse emergere lo sforzo di relazionarsi realmente con questi lavoratori le ipotesi rimarrebbero due, entrambe agghiaccianti: o si tratta di idiozia non solo politica, ma anche sindacale, oppure dell’implicita ammissione che gli orticelli denunciati nei giardini degli altri sono coltivati con grande cura anche nel proprio e che la consegna è: tenersi stretti i propri ortaggi.

Per quanto riguarda la questione del green pass, che molti furbacchioni tentano di mescolare con le pagliacciate no-vax, nessuno deve insegnarci che la Cgil ha fatto tanto quanto la Confindustria per imporlo alla nostra classe con lo scopo di ritornare alla piena operatività della produzione e dell’estrazione di plusvalore operaio; nessuno deve insegnarci che la Cgil è complice attiva di chi vuole far passare un vaccino, indiscutibilmente utile, per una panacea che ha il sapore di un “tana libera tutti” su: distanziamento nelle linee produttive, contingentamento, sanificazione e prevenzione sui posti di lavoro. Tutta roba che per la borghesia costa più di qualche ammalato o di qualche morto della nostra classe. Alla nostra classe abbiamo poche cose da suggerire e le abbiamo già esposte a grandi linee in precedenza: non accodarsi, non mettersi al servizio di parole d’ordine e rivendicazioni che manifestano e sanciscono un controllo e una direzione borghese. Per fare questo è necessario mettere in chiaro la differenza che passa tra le manifestazioni no-green pass e anti-vacciniste, di matrice e con interessi piccolo-borghesi, precedenti ma anche successive all’annuncio del decreto che entrerà in vigore il 15 ottobre e che colpirà la nostra classe (che non ci risulta su posizioni no-vax, nella sua stragrande maggioranza), e quelle posteriori con partecipazione proletaria; occorre mettere in risalto le denunce e le rivendicazioni che contrassegnano qualitativamente l’ingresso nella protesta di settori proletari con i loro specifici interessi, come ad esempio i portuali di Trieste o gli operai della Piaggio di Pontedera. Mettere in discussione la complessiva fisionomia politica e il controllo borghese. Non unire le piazze, dividerle piuttosto, per costruire veramente l’unità di classe del proletariato. Poniamo un discrimine, netto e invalicabile, fra le esigenze della nostra classe e quelle degli altri, e vedremo quanti degli attuali piccolo borghesi, no-vax per convenienza o per convinzione camuffati da no-green pass, rimarranno a sostenere la protesta.

Forse questa è una tattica troppo contorta per gli assetati delle piazze, qualunque esse siano, per i messianici della collera popolare, per i veneratori dei numeri in quanto tali, per chi sostiene che il calo degli iscritti nei sindacati (tutti i sindacati) sia un passo avanti verso la coscienza di classe o per chi viene preso dal delirium tremens al punto di ritenere più cosciente e “sovversiva” un’eventuale manciata di proletari che non è disposta nemmeno a salire il gradino più basso della consapevolezza di classe, ma che si fa magari inquadrare dal fascistume, rispetto a migliaia di operai metalmeccanici iscritti alla Cgil, magari protagonisti di lotte come quella dei lavoratori della GKN di Campi Bisenzio, che se ne starebbero col “culo al caldo”. Alzatevi dalla vostra scrivania, stropicciatevi gli occhi seccati dalle tante ore davanti ad uno schermo e andateglielo a dire voi, di persona, a quegli operai. Vediamo cosa vi rispondono.

A coloro che si autodefiniscono “contro lo Stato”, anche quando strisciano dietro il solco dell’uno o dell’altro serpente del rettilario borghese per ritrovarsi a stringere in mano solo una pelle vecchia dopo l’immancabile muta, ricordiamo che nelle loro negoziazioni interne le frazioni borghesi possono arrivare anche allo scontro violento, anche alla contrapposizione con lo Stato, non sarebbe la prima volta. Marcia su Roma docet. E i “martiri” fascisti fatti secchi dai carabinieri a Sarzana giusto cento anni fa non fanno parte di un nostro Pantheon perché lo Stato li ha ammazzati. Toglietevelo dalla testa. Per quanto ci riguarda, noi non adottiamo ne proponiamo la formula ambigua: non con i no-vax ma contro lo Stato, nè quella appena passabile: nè con i no-vax nè con lo Stato, ma quella chiara, netta, inconfondibile: contro i no-vax e contro lo Stato borghese, contro la piccola borghesia e contro il comitato d’affari della borghesia nel suo insieme, per la difesa incondizionata degli interessi del proletariato.

Circolo Internazionalista "Coalizione Operaia"

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