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Considerazioni attorno al libro "Economia della rivoluzione"

(25 Novembre 2021)

economia della rivoluzione

Raccontare la storia considerando gli avvenimenti immersi nelle condizioni dell’epoca.

“Economia della rivoluzione” è il titolo di un volume pubblicato nel 2017 a cura di Vladimiro Giacchè ed è costituito da una selezione di interventi di Lenin in materia economica oltre a una introduzione dello stesso Giacchè.

Il momento cruciale della politica della rivoluzione russa ebbe luogo dopo il fallimento della prima fase della rivoluzione conosciuto come il “comunismo di guerra”, allorquando il partito comunista dovette cambiare corso, riconoscendo i propri errori come espresso da Lenin stesso.

“Se avete presente le dichiarazioni...che il nostro partito ha fatto dalla fine del 1917 all’inizio del 1918 vedrete che anche allora noi pensavamo che lo sviluppo della rivoluzione, lo sviluppo della lotta, avrebbe potuto seguire sia un cammino breve sia un cammino lungo e difficile. Ma nella valutazione del possibile sviluppo la maggior parte di noi...muoveva dal presupposto, forse non sempre apertamente espresso, ma sempre tacitamente sottinteso, che si sarebbe passati direttamente alla edificazione del socialismo.”

Nello scontro con la realtà immediata fu necessario prendere misure tali che potessero risolvere il problema della nutrizione della popolazione e al contempo compensare i contadini con prodotti industriali. Ma il punto era che proprio la produzione industriale era arretrata e insufficiente e ciò non solo come conseguenza della guerra civile. Le misure di prelevamento forzoso del grano si scontrarono con la realtà contadina.

“Quando diciamo: non bisogna fondare i rapporti con i contadini sui prelevamenti ma sull’imposta, qual è l’elemento economico determinante di questa politica? E’che con i prelevamenti le piccole aziende contadine non hanno una normale base economica e sono condannate a restare un peso morto per lunghi anni; la piccola azienda non può esistere e svilupparsi perchè il piccolo coltivatore non ha più interesse a consolidare e sviluppare la sua attività e ad aumentare la quantità di prodotti e noi ci troviamo quindi privi di una base economica.”

L’imperativo era dunque sviluppare l’economia partendo però da una base di arretratezza. La produttività del lavoro non era nemmeno lontanamente comparabile con quella dei paesi capitalisti europei. La causa era l’arretratezza dell’industria ma anche il basso livello tecnico dei lavoratori.

Superare dunque l’arretratezza dell’industria e dell’organizzazione della produzione era condizione indispensabile per potere non solo avanzare ma anche semplicemente sopravvivere. Come dunque sviluppare la produzione industriale partendo partendo da una condizione di grande svantaggio? La soluzione stava nel seguire l’esempio dell’organizzazione borghese:

“Ora in tutti i settori della vita economica e politica un grandissimo numero di intellettuali borghesi e di specialisti dell’economia capitalistica offrono i loro servizi al potere sovietico...Per mostrare quanto sia necessario al potere sovietico avvalersi dei servizi degli intellettuali borghesi proprio per il passaggio al socialismo, ci permetteremo di usare una espressione che a prima vista sembrerà un paradosso: bisogna imparare il socialismo in larga misura dai dirigenti dei trust, bisogna imparare il socialismo dai massimi organizzatori del capitalismo.”

Imparare da essi però non avrebbe dovuto comportare un retrocessione politica alla situazione precedente la rivoluzione. Come maneggiare dunque questi intellettuali, era un compito non facile. Lenin propose a questo proposito che

“I vecchi capitani d’industria, i vecchi capi e sfruttatori, devono avere il posto di periti, tecnici, consulenti, consiglieri. Bisogna assolvere il compito difficile e nuovo, ma estremamente utile, di unire tutta l’esperienza e il sapere accumulati da questi rappresentanti delle classi sfruttatrici, all’iniziativa, all’energia, al lavoro di larghi strati delle masse lavoratrici. Poiché soltanto questa unione è in grado di creare il ponte che porta dalla vecchia società capitalistica a quella nuova, socialista.”

Il bisogno di questi tecnici per lo sviluppo dell’economia sovietica era tanto fondamentale che si era disposti a pagare loro una remunerazione anche molto più elevata di qualunque operaio specializzato russo. Appropriarsi del sapere a qualunque costo era questione di sopravvivenza. Aggiunge Lenin:

“Il grande capitalismo ha creato sistemi di organizzazione del lavoro che...erano la forma peggiore per asservire e spremere una quantità supplementare di lavoro, di forza, di sangue e di nervi dai lavoratori ad opera della minoranza delle classi abbienti, ma che sono, allo stesso tempo, l’ultima parola dell’organizzazione scientifica della produzione e che devono essere assimilati dalla Repubblica socialista sovietica, devono essere rielaborati, da una parte, per realizzare il nostro inventario e controllo della produzione e poi, per elevare la produttività del lavoro.”

Quindi Lenin si riferisce al sistema di Taylor che è allo stesso tempo sistema di sfrenato sfruttamento, ma che ha anche apportato un aumento della produttività umana, in seguito alle ricerche sullo studio dei movimenti durante la lavorazione, portando così a una organizzazione del lavoro più elevata. La produttività del lavoro era uno dei punti più deboli e arretrati nella produzione industriale russa.

La politica della Nuova Economia propugnata da Lenin si rivolgeva altresì alla necessità di approfittare dello sfruttamento delle ricchezze minerarie per soddisfare le varie voci di spesa. Ma lo sfruttamento delle miniere soffriva anch’esso dell’arretratezza dei macchinari, così come dell’organizzazione del lavoro di produzione. Per sopperire a queste mancanze era necessario aggiornare tutto il complesso organizzativo in materia sfruttamento minerario.

A questo scopo una misura fondamentale era costituita dalla pratica delle concessioni:

“Che cosa sono le concessioni nel sistema sovietico, dal punto di vista delle forme economiche e sociali e dei rapporti che tra esse intercorrono? Si tratta di un contratto, di un blocco, di un’alleanza del potere statuale sovietico, cioè proletario, col capitalismo di stato contro l’elemento piccolo proprietario (patriarcale e piccolo borghese). Il concessionario è un capitalista. Egli fa affari da capitalista per avere dei profitti: egli accetta di concludere un contratto col potere sovietico per ottenere un profitto eccezionale, maggiore del consueto...Il potere sovietico ne trae vantaggio: le forze produttive si sviluppano, la quantità di prodotti aumenta e nel termine più breve.”

Questi progetti di Lenin si scontrarono con la opposizione di quanti ritenevano tali misure un ritorno al capitalismo e un abbandono dell’obiettivo della rivoluzione di costruire il socialismo. Ma il pericolo insito nella politica delle concessioni non era estraneo a Lenin.

“In quale misura e in quale condizione le concessioni sono vantaggiose e non pericolose per noi? Ciò dipende dal rapporto di forze, ed è la lotta che lo decide, poiché anche la concessione è un aspetto della lotta, la continuazione della lotta di classe sotto un’altra forma, e non è affatto la sostituzione della lotta di classe con la pace tra le classi. I metodi di lotta ce li additerà la pratica.”

E ancora:

“La politica delle concessioni ci darà, in caso di successo, un certo numero di grandi imprese modello, se comparate alle nostre, che potranno reggere il confronto con quelle del capitalismo moderno progredito; fra qualche decina di anni queste imprese passeranno interamente a noi.”

Da notare questo “qualche decina di anni”.

In più riprese, infatti, Lenin constata che il processo della costruzione del socialismo non è questione di una generazione. Oltre al cambiamento dell’economia e del modo di produzione Lenin rileva che si è lungi dall'evoluzione dell’”uomo nuovo” socialista. Si tratta di cambiamenti che avranno bisogno di generazioni. Un punto chiaro è che la rivoluzione ha portato alla presa del potere politico. Da qui alla costruzione del socialismo, però, ci sono dei passaggi complessi e dei quali non c'è stata una previa elaborazione teorica. Sarà la pratica a suggerire le misure giuste da prendere. Ma per questo è importante che il partito comunista rimanga al potere e sia preparato a combattere il risorgere del burocratismo.

Già nel novembre 1920 Lenin osservava:

“Il potere sovietico ha il compito di distruggere interamente il vecchio apparato, come è stato distrutto in ottobre, e di conseguenza consegnare il potere ai soviet, ma noi già nel nostro programma riconosciamo che si è prodotta una rinascita del burocratismo e che le fondamenta economiche di una società realmente socialista non esistono ancora.”

Le concessioni si sarebbero sviluppate nell’ambito del capitalismo di stato. Questo, sostiene Lenin, è una nuova relazione che non era mai esistita precedentemente e sulla quale gli stessi maestri Marx e Engels, non hanno fatto cenno. Un fenomeno nuovo dunque, da affrontare con risolutezza e creatività. Lenin sottolinea la differenza tra il capitalismo di stato borghese e quello dello stato proletario. Mentre quello è dominato dalla classe borghese, il capitalismo di stato in Russia era controllato dal partito comunista.

“Il capitalismo di stato è quel capitalismo che dobbiamo circoscrivere entri i limiti determinati, cosa che finora non siamo riusciti a fare. Ecco il punto. E sta a noi decidere che cosa deve essere questo capitalismo di stato. Di potere politico ne abbiamo a sufficienza, del tutto a sufficienza, i mezzi economici a nostra disposizione sono pure sufficienti, ma l’avanguardia della classe operaia, che è stata portata in primo piano per dirigere, per stabilire i limiti, per distinguersi, per sottomettere e non essere sottomessa, non ha sufficiente abilità per farlo.”

Il nodo da sciogliere era la competizione col capitalismo. Non solo quello interno ma quello a livello mondiale. Ma per questo era necessaria preparazione:

“...incominciare a studiare dal principio. Se riconosceremo questa necessità, supereremo l’esame; e l’esame cui ci sottoporranno la crisi finanziaria incombente, il mercato russo e quello internazionale, al quale siamo legati e dal quale non possiamo staccarci, sarà molto severo, poichè qui potremo essere battuti economicamente e politicamente.”

Questa ultima considerazione sul Lenin sul confronto con il mercato mondiale “dal quale non possiamo staccarci” assume una importanza fondamentale anche osservando la situazione attuale.

Considerando il processo rivoluzionario della Cina si possono constatare infatti molte analogie con quello della rivoluzione russa. Ambedue sono partite da una situazione di arretratezza nei confronti dei paesi capitalisti dominanti e di assedio da parte dell’imperialismo mondiale. Arretratezza sia a livello di sviluppo tecnologico sia di preparazione della popolazione lavoratrice.

Il punto di Lenin: bisogna imparare dal capitalismo, assimilare e appropriarsi delle tecniche di produzione, preparare la popolazione a essere in grado di produrre come i paesi capitalisti per fare fronte così alla competizione. Ciò che Lenin aveva elaborato a proposito delle concessioni è stato ripreso dalla Cina quando fu operata l’apertura al mercato mondiale. La Cina ha permesso ai grandi produttori mondiali di intervenire e produrre non solo beni di largo consumo ma ha permesso anche l’intervento di aziende all’avanguardia mondiale in quanto a tecnologia. La scarsa preparazione dei lavoratori russi dell’epoca di Lenin è stata superata dai lavoratori cinesi a tutti i livelli. Tanto che attualmente la Cina è all’avanguardia sul livello tecnologico e si misura da pari a pari con i paesi capitalisti più avanzati. La competizione di cui parlava Lenin è ora in atto tra la Cina e il capitalismo mondiale.

Avere conquistato il potere politico, avvertiva Lenin, non significa aver instaurato il socialismo. La costruzione del socialismo è dunque un processo nel corso del quale continua la lotta di classe. Con la differenza che nello stato borghese il potere politico è nelle mani dei capitalisti mentre in uno stato socialista il potere politico è nelle mani del partito comunista. Se dunque c’è lotta di classe il risultato di questa è aperto: è un confronto e uno scontro tra due concezioni del mondo. Che ci sia un pericolo del resto è apparso evidente in Cina allorché il Partito Comunista ha ridimensionato il potere economico e finanziario di capitalisti privati che si muovevano nella direzione di assumere potere decisionale nella politica dello stato. Il fattore capitalista in Cina esiste dunque, così come è sempre esistito fin dall’epoca della vittoria maoista della rivoluzione. Allorquando il PCC prese il potere la Cina si definì Repubblica Popolare, proprio in quanto facevano parte della composizione sociale non solo contadini e operai ma anche strati di borghesia.

Come espresso da Lenin negli Scritti economici, sapientemente compilati da Vladimiro Giacchè, il potere politico non comportava ancora il potere economico; per questo fu necessario stimolare la produzione capitalista, educarsi al lavoro produttivo, apprendere le tecniche, costruire le basi sulle quali sviluppare i rapporti socialisti.

Del resto il capitalismo ha impiegato alcuni secoli per imporsi come potere egemonico. Per il socialismo un secolo è già passato, ma il cammino è aperto.

Nicolai Caiazza

Fonte

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