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Che Guevara

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(10 Ottobre 2008) Enzo Apicella
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(Memoria e progetto)

COMUNISTI IN PROVINCIA DI ALESSANDRIA

Una raccolta di testimonianze e di documenti

(31 Dicembre 2021)

Un libro utile alle vecchie generazioni per ricordare ed alle giovani per imparare

Fondazione luigi Longo 2

L’immagine che i giovani d’oggi possono avere, attraverso i mass-media, di quel che fu il Partito comunista italiano è quella di un esercito di “spioni” al soldo di Mosca perennemente in ascolto, dietro ogni porta, ad ogni angolo di strada, per captare notizie riservate da trasmettere ai padroni d’oltre cortina. E ancora, di una massa di individui cinici disposti ad accettare tutti i crimini commessi in nome del comunismo, debitamente equiparato ai nazismo. In realtà, questi “spioni”, a conti fatti, risultavano un po’ troppi, se è vero, com’è vero, che, ad un certo punto (intorno agli anni Settanta del secolo scorso), un elettore su tre votava in Italia per il Pci, in alcune aree del Paese (le cosiddette «zone rosse» dell’Emilia Romagna, della Toscana, e di altre regioni del Centro-Nord) addirittura uno su due. Si trattava dei settori più evoluti economicamente, socialmente e culturalmente della penisola. Ma questo i giovani, in grande maggioranza, non possono saperlo, perché nessuno glielo ha detto.
Ben vengano, allora, raccolte di documenti e di memorie come quella ora pubblicata dalla Fondazione Luigi Longo con un titolo suggestivo, che invita subito alla lettura: Una lunga storia… Racconti e materiali del P.C.I. di Alessandria (Editrice Impressioni Grafiche, Acqui Terme, 2021, s.i.p.). Si tratta di testimonianze rese da militanti comunisti, operanti ai vari livelli e in varie epoche storiche, in una delle aree geografiche, quale fu, per l’appunto, quella dell’alessandrino, in cui il Pci era particolarmente presente, con punte del 40% dei consensi elettorali. Sfogliando queste pagine, si viene a formare nel lettore un’immagine completamente diversa da quella imposta dal sistema informativo e mass-mediatico dominante. Emerge un esercito di persone in carne ed ossa, ognuna con proprie caratteristiche personali ed umane, propri sentimenti, propri retroterra culturali, accomunate da una stessa ideologia politica, il comunismo, per l’appunto, ma profondamente diverse tra di loro, orgogliose della loro individualità, continuamente rivendicata. Operai e operaie di fabbrica, che spesso hanno radici familiari che affondano nella Resistenza e nella lotta di Liberazione nazionale, che combattono battaglie fondamentali per l’acquisizione di diritti economici, sociali, politici, che rappresentano una pietra miliare per l’avanzamento civile del Paese. Intellettuali di valore, che si mettono al servizio della causa, svolgendo anche compiti “umili”, come distribuire la stampa di partito o “d’area” («L’Unità», «Rinascita», «Il Calendario del Popolo», «Vie Nuove», «Noi Donne»), oppure attaccare manifesti nella notte. Uomini e donne che vanno incontro a repressioni poliziesche sanguinose, persecuzioni politiche, traversie giudiziarie, emarginazione sociale, fino alla miseria. Tutto ciò viene affrontato in nome di un ideale concreto, mai astratto, dogmatico, profondamente calato nella realtà italiana, conforme ai bisogni della gente comune, la cui emancipazione rappresenta l’obiettivo primario dell’azione individuale e collettiva. E’ stata questa la parte migliore del Paese, quella che ha dato il contributo più importante per lo sviluppo e il progresso in tutti i campi.
Sarebbe difficile dar conto, seppur riassuntivamente, di tutte queste storie. Fra l’altro, toglieremmo al lettore il piacere di scoprirle, o riscoprirle (per chi le ha condivise), personalmente. Indichiamo solamente, come emblematica di una situazione generale, quella di Adriano Icardi. Nato a Ricaldone, classe 1941, in una famiglia d’origine contadina, antifascista e di sinistra. Già il padre è consigliere comunale eletto nel suo paese in una lista social-comunista. Il fratello di Adriano, Celestino, diventa sindaco di Ricaldone nel 1980 e rimane in carica fino al 2004. Anche il Nostro s’incammina in giovane età sulla strada dell’impegno politico e culturale. Frequenta la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova, dove si laurea, intraprendendo l’insegnamento. Partecipa alle proteste operaie e studentesche del 1960 contro il governo Tambroni e contro la decisione di consentire al Movimento sociale italiano, partito neofascista, di tenere il proprio congresso nazionale proprio a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Nel 1970 viene eletto consigliere comunale ad Acqui Terme, nelle file del Partito comunista, del quale a poco a poco diviene uno dei massimi dirigenti a livello locale e provinciale, in una lista guidata dall’avvocato Raffaello Salvatore, che diventerà sindaco da lì a poco. Diviene giovane assessore alla cultura, organizzando grandi mostre delle opere di Felice Casorati, Carlo Levi, Giorgio Morandi, Carlo Carrà e Renato Guttuso. Organizza, inoltre, per un ventennio, il prestigioso Premio Acqui Storia. Fa anche l’esperienza di sindaco di Acqui Terme, a partire dal maggio 1982, a capo di una giunta minoritaria comunista, a causa delle divisioni della sinistra negli anni del “craxismo” imperante. Nel 1992 viene eletto al Senato nella lista di Rifondazione comunista, nel collegio Acqui-Ovada-Novi, con una percentuale di consensi che lo colloca al primo posto a livello nazionale, nell’ambito del suo schieramento. Conosce anche le esperienze di consigliere provinciale, assessore alla cultura, presidente del consiglio provinciale, ad Alessandria, dal 1995 al 2009.
Un caso emblematico, quello di Adriano Icardi, di dirigente comunista d’origini contadine, il quale, nell’azione, coniuga impegno politico e culturale, contribuendo, in tal modo, al progresso complessivo della società.
La memoria racchiusa nelle pagine del volume che qui stiamo presentando è importante oggi non solo per ristabilire la verità storica sul quello che è stato il Partito comunista italiano, contro l’immagine che ne viene data nell’ambito del “revisionismo storico”, ma anche per capire perché questa esperienza, così vitale e feconda, è venuta meno. Il Pci è stato sciolto, a conclusione di un lungo processo di logoramento e di crisi, che va analizzato nella sua complessità e nella sua articolazione. Tutto ciò non è avvenuto da un giorno all’altro, le matrici causali sono remote e risiedono nel modo stesso in cui il partito si è sviluppato nel corso dei decenni. E in questo processo, nelle scelte fondamentali che sono state compiute, vanno cercate le ragioni della sconfitta e dell’estinzione (o quasi) del movimento comunista in Italia. Questa analisi serve anche a capire come uscire dall’attuale “impasse” e come rilanciare tale movimento per farlo rinascere, in una vita rinnovata, però. Una riproposizione delle esperienze passate, compresi gli errori, non avrebbe senso, non gioverebbe, né sarebbe storicamente possibile.
Ci limitiamo a fornire alcuni elementi di riflessione e di valutazione. A che cosa è dovuta la crisi del comunismo a livello internazionale e nazionale? Possiamo constatare, innanzitutto, che la tensione rivoluzionaria viene meno dopo due generazioni. Così è successo nella Rivoluzione Francese, nella Rivoluzione d’Ottobre e in seno al Partito comunista italiano. La spinta propulsiva proveniente dal basso si esaurisce progressivamente e viene scoraggiata dall’apparato burocratico del partito, nell’esperienza comunista, che si impadronisce delle redini del potere in maniera incontrastata, mettendo fine al processo democratico che è necessario affinché una forza rivoluzionaria si rinnovi continuamente e sia in grado di incidere positivamente nella realtà per cambiarla. Nella particolare esperienza italiana, non si è realizzato appieno il modello di partito che Gramsci aveva delineato, nei “Quaderni del carcere”: un partito di massa, ma, nel contempo, molto selettivo nella scelta dei militanti e dei dirigenti, ai vari livelli, in grado di rappresentare un’alternativa alla società capitalistica, soppiantandola nel lungo termine. Per converso, il partito è stato assorbito da questa società, è divenuto dapprima “coscienza critica” e, successivamente, parte integrante di essa, eliminando ogni profilo non solo alternativo, ma, per l’appunto, critico.
Un limite teorico molto grave è stato rappresentato da una visione dogmatica e schematica del “materialismo storico”, contrapposto a quello di stampo gramsciano, che, sulla scia di Antonio Labriola, valorizza la componente volontaristica ed il rapporto dialettico, la reciproca influenza, fra “struttura” e “sovrastruttura”. Il materialismo gretto ha portato ognuno, a partire dal singolo militante, a pensare solo a se stesso, ai propri interessi personali e familiari, alla propria emancipazione, e basta.
La “questione comunista” in Italia (e nel mondo) si può dire tutt’altro che “chiusa”. Viviamo in una società nella quale, secondo il sociologo Franco Ferrarotti, il 10% delle famiglie possiede il 70% della ricchezza e il restante 90% deve dividersi il 30% della stessa. I ricchi tendono a diventare sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il divario sociale è destinato ad aumentare, Franco Ferrarotti, pur non essendo un marxista, prende molto sul serio il problema della “polarizzazione tendenziale” della ricchezza di cui parlava Marx, così come paventa la possibilità dell’incepparsi del meccanismo fondamentale del capitalismo, a causa della contraddizione fra “sovrapproduzione” e “sottoconsumo”, conseguente al progressivo impoverimento della società.
Questa realtà drammatica impone la presenza di un forte Partito comunista. Sono in corso vari tentativi, da seguire con attenzione e con ponderazione. Chi ha più tela tessa. Si tratta di un processo lungo, ma inevitabile. Nei momenti difficili sovvengono le lezioni dei grandi maestri. E’ il caso di Ludovico Geymonat. Nel volume intitolato “La civiltà come milizia” (a cura di Fabio Minazzi, La Città del Sole, Napoli, 2008), egli denuncia la “crisi gravissima” dei partiti della sinistra e dei sindacati, i limiti dello stesso assetto istituzionale del Paese, fondato su un “regionalismo burocratico”, nonché della stessa Costituzione, che è tra le più avanzate del mondo occidentale, ma anche tra le più inapplicate (ivi, p. 82). Ripropone il problema dell’esistenza di una forza comunista, ma, nel contempo, allarga l’orizzonte dell’impegno politico e civile di ogni uomo, e, quindi, di ogni comunista, valorizzando l’impegno culturale, volto a far nascere l’ “autonomia critica” di ogni individuo e della collettività, e la “solidarietà attiva” tra le diverse persone, che debbono aiutarsi reciprocamente, anche nel soddisfacimento dei bisogni materiali più immediati ed elementari, ed acquisire la consapevolezza che solo attraverso l’unità si possono modificare le situazioni che apparentemente sembrano insuperabili (ivi, p. 96). E’ necessario per ogni comunista far tesoro di questa lezione preziosa di civiltà e di umanità. Luis Sepúlveda ha detto giustamente che il comunismo del ventunesimo secolo dev’essere caratterizzato da una forte componente etica.
Assieme agli insegnamenti di Geymonat bisogna far tesoro di quelli di Franco Ferrarotti (“Dalla società irretita al nuovo umanesimo”, Armando editore, Roma, 2019). E’ necessario riacquisire i ritmi e la nozione del tempo propri della vecchia società contadina, di contro alla dinamicità inconcludente e senza obiettivi della cosiddetta “società capitalistica matura”. Muoversi come gli uomini di campagna di una volta, che avanzavano lentamente, attenti a dove mettevano i piedi, alle asperità del terreno, ponderavano non solo ogni movimento, ma anche ogni decisione, perché, nel “mondo della penuria”, è necessario risparmiare energie, sia fisiche che mentali. Nello stesso tempo, bisogna recuperare le “regole auree” dei nostri antenati greci e latini (ivi, p. 138): “Ne quid nimis” (“Nulla in eccesso”); “Festina lente (“Affrèttati lentamente”); “Age quod agis” (“Fa’ quello che fai”). E’ necessario, dunque, darsi obiettivi lungimiranti, senza abbandonarsi alla quotidianità, ma perseguirli con calma, con ponderazione estrema.

Antonio Catalfamo

Antonio Catalfamo

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