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Se ero tibetano...

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(14 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Delocalizzazioni, ovvero la ricerca del massimo profitto

(23 Gennaio 2022)

tendenza comunista internazionalista spartakus

Il grido di dolore del proletariato e delle masse diseredate risuona in ogni dove e in ogni angolo sperduto del globo terrestre, ormai ridotto a ferro e fiamme da un sistema antistorico con la pretesa, che gli deriva dal suo potere economico sociale e militare, di assoggettare tutto allo sporco interesse del suo profitto. Certo ci sono pur sempre i novelli Don Chisciotte sempre pronti a combattere i carri armati con la fionda, e sempre in prima linea a predicare la buona novella di un capitalismo a misura d’uomo, di un profitto ricondotto nell’alveo dei buoni sentimenti, nel nome di Dio e dell’amore tra gli uomini.

Purtroppo, è dura svegliarsi la mattina e constatare che l’unica cosa palpitante nel cuore del capitale e del borghese suo detentore è il portafoglio e il suo conto in banca. L’aumento costante dell’accumulazione del capitale è il suo credo e nulla e nessuno che si frapponga al raggiungimento di questo scopo è tollerato. Salvo, ahilui, le sue stesse leggi e il suo stesso processo di accumulazione, come un cane che si morde la coda in un circolo vizioso senza via d’uscita.

All’interno di questo mondo reale, le categorie dominanti sono le leggi del libero mercato, della libertà di impresa, della proprietà privata, del profitto e dello sfruttamento sempre più intensivo della forza-lavoro; questo mondo reale si chiama capitalismo e lo sottolineiamo, per l’ennesima volta, ai duri di comprendonio e alle “anime candide” nella remota ipotesi che siano in buona fede. I farabutti e i lacchè al servizio della borghesia non ci interessano. In questo quadro si inseriscono le delocalizzazioni di cui tanto si è parlato fino all’ultimo scorcio del 2021, e di cui sentiremo ancora parlare, stante la globalizzazione sempre più spinta del sistema economico capitalista di cui ovviamente vi fanno parte a pieno titolo anche i falsi regimi comunisti, ex ed attuali.

La vertenza simbolo che per mesi ha interessato le pagine dei giornali è stata quella della GKN. Multinazionale inglese con origini che risalgono alla prima rivoluzione industriale (del 1759), e che dal 2018 era controllata da Melrose Industries, un fondo investimento, più esattamente un Hedge Fund, ovvero un fondo speculativo. A sua volta la Melrose ha tra i suoi maggiori azionisti altre società finanziarie, ed altre ancora giù giù in un gioco di scatole cinesi dove diventa quasi impossibile riconoscere il vero assetto proprietario. La nuova civiltà della pietra ricorre naturalmente alla comunicazione dei licenziamenti con un messaggio whatsapp, e quindi i 422 lavoratori della GKN ricevono il ben servito in men che non si dica, ma con faccino sorridente.

La canea dei sindacalisti scandalizzati urla contro i modi poco carini nell’annunciare i licenziamenti, prassi che oramai va per la maggiore in quasi tutte le aziende che chiudono o licenziano. Fanno finta di non sapere i bellimbusti che la storia del sindacalismo è piena di accordi per licenziamenti collettivi e per riduzione del personale. Uno dei più famosi degli ultimi 40 anni fu il licenziamento, di fatto, di più di 20 mila lavoratori Fiat.

Ma per venire ai giorni nostri, vi sono in ballo 8.000 esuberi di Alitalia, lasciati a piedi dalla nuova Compagnia di bandiera ATI; e altri 1.322 lavoratori di Air Italy, compagnia aerea sardo-qatariota, che hanno già ricevuto la lettera di licenziamento. Non vi sono dubbi che troveranno l’accordo per bruciare altre migliaia di posti di lavoro. In questo caso saranno molto più ragionevoli, d’altronde i licenziamenti “nostrani” vanno trattati con un occhio di riguardo. Anche dal punto di vista mediatico, han fatto più rumore i 422 licenziamenti GKN, che non le migliaia delle compagnie aeree.

I licenziamenti, le riduzioni di personale, le ristrutturazioni, le delocalizzazioni con la chiusura di impianti, fanno parte della gestione, la più ottimale possibile, della forza lavoro. Una merce come tutte le altre merci nella società capitalista. Lo scopo del singolo padrone, di tutti i padroni del mondo, dato lo stesso sviluppo tecnologico dei macchinari e gli stessi “intralci” (i famosi “lacci e lacciuoli” dell’altro banchiere di Dio G. Carli) burocratici normativi, è trovare il valore della forza lavoro al prezzo più basso possibile. La concorrenza delle merci è esplosa a livello mondiale da decenni e tutto ciò riguarda ovviamente anche la forza lavoro, che entra in competizione come ogni altra merce. Il proletariato viene ridotto in catene e costretto a farsi concorrenza, per “mantenere il suo posto di lavoro”.

Per capire ancor meglio il fenomeno delle delocalizzazioni, basta guardare alcuni numeri: nel 2019 gli investimenti all’estero dei maggiori Stati europei hanno raggiunto il 28% del Pil, in Italia, il 46% in Germania, il 56% Francia. Questo è un trend che riguarda anche gli Stati Uniti che, sempre nel 2019, ha raggiunto il 36% del Pil.

Le politiche di delocalizzazioni negli USA nel settore automobilistico, metallurgico e siderurgico ridussero nell'arco di poco più di un ventennio all’indigenza il 15% della popolazione statunitense. Questa fu anche una delle ragioni della vittoria di Trump alle presidenziali del 2016, il quale fece leva sulla rabbia, paura, frustrazione e impotenza di milioni di americani, rilanciando lo slogan America First! L’industria americana al di sopra di tutto, anche delle leggi di mercato, lo sciovinismo più bieco. Purtroppo per lui le cose non funzionano così, ma lui questo lo sa benissimo.

Come lo sanno anche i sindacalisti e politici nostrani , che per mesi hanno preso e prendono per il culo i lavoratori della GKN, della Carrier (Riello) in Abruzzo, della Caterpillar, Timken, Gianetti ruote, Speedline e delle decine di altre aziende. Una cifra chiarisce molto bene l’entità del fenomeno: dal 1993 al 2015 gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) dei principali paesi europei ammontano a 5.645 miliardi di euro (dati Eurofond – Rivista Inchiesta n. 196 aprile-giugno 2017). E, si badi, una buona fetta di questi investimenti/delocalizzazioni finiscono nell’Europa dell’est.

In conclusione, la giusta lotta dei lavoratori GKN si è conclusa nel modo peggiore con la sua acquisizione (100%) da parte della Qf Spa (gruppo Borgomeo, altro specialista delle compra/vendite). Infatti sanno benissimo tutti quanti che il passaggio di proprietà e temporaneo e funzionale ad una nuova, successiva vendita. Nella speranza di trovare un nuovo, possibilmente buono, padrone. Intanto, vanno tutti in cassa integrazione per trasformazione industriale, e alla riapertura i dipendenti saranno 370 anziché 422. Un classico.

L’iniziativa di legge sulle delocalizzazioni scritta (??) dai lavoratori GKN e depositata dal senatore Mantero (Potere al Popolo), già tutta tesa alla salvaguardia del “tessuto produttivo del pase e alla tutela dell’occupazione”, è naufragata miseramente. Qualche piccola multa e niente più (fino al 2% del fatturato, e riguarda aziende con un minimo di 250 dipendenti). Naturalmente vi sono anche i “sinistri” di professione che auspicano “politiche capaci di affermare una nuova universalità dei diritti in nome e per conto di tutto il popolo del mondo. Si tratta insomma – continua – di una prospettiva completamente antitetica a strumenti di mero e prepotente profitto come la delocalizzazione” (I. Masulli, Il Manifesto 25/09/2021). E qui ci risiamo, la fantasia di questi venditori di polpette avvelenate, non ha confini. Sognano una società dove il più potente e prepotente elemento sulla quale tutto è basato, rapporti sociali ed economici, ovvero il profitto, possa fare a meno di esso in virtù della semplice volontà degli uomini, buoni, naturalmente.

La realtà purtroppo è altra. Le classi lavoratrici, il proletariato, la classe operaia deve rompere le catene che la inchiodano al capitale di tutto il mondo di qualunque colore e qualunque paese, le delocalizzazioni rispondono ai processi, ai piani e agli interessi della borghesia mondiale. Allo stesso modo e in pari tempo il proletariato deve lanciare il grido di battaglia “delocalizzazione della lotta di classe” in tutti i paesi. Ovvero il “superato” slogan di Marx ed Engels del 1848: Proletari di tutti il mondo unitevi!

TL

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