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VALENTINA GUIDARA PITTRICE: LA “POESIA DELLA VITA”

Arti visive in una città dell'estremo Sud

(24 Febbraio 2022)

Un mondo multietnico che racchiude in sé la storia ultramillenaria della Sicilia

Bruno Bettelheim ha scritto che i primi sette anni della nostra vita sono i più importanti, perché lì si struttura la nostra personalità, che poi, sulla base di questo nucleo fondamentale, va sviluppandosi man mano che cresciamo. Cesare Pavese, nei suoi scritti di poetica e di estetica, ha sostenuto che nell’infanzia vediamo una “prima volta” le immagini che si fissano e stratificano dentro di noi e la nostra fantasia di bambini ce le fa sembrare reali. In età adulta vediamo le stesse immagini una “seconda volta”, attraverso il filtro della ragione e ne comprendiamo il significato simbolico.
Così mi accade ora di rivedere con gli occhi di adulto tutto un mondo che ho vissuto intensamente da bambino, certi scorci di paesaggio, certi angoli di città, certi spaccati umani, e di coglierne tutta la forza evocativa, di riviverli in una dimensione diversa, che contiene e, nello stesso tempo, supera quella acquisita nel corso dell’infanzia.
Siamo a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), la città dell’estremo Sud in cui sono nato e vissuto per tutta la vita. Nella mia infanzia frequentavo un piccolo bar, al centro, gestito da una signora dai tratti popolari, e lì spendevo qualche soldo della mia paghetta settimanale comprando gelati e dolcetti che avevano un sapore tutto siciliano che mi è rimasto in bocca. Barcellona era allora una città di contadini, di allevatori, di commercianti di agrumi e di formaggi, e tutta la sua vivacità, anche chiassosa, si concentrava nel centro, nella piazzetta sotto i pini, intitolata al santo patrono, san Sebastiano, dove si svolgevano i piccoli affari legati ad agricoltura ed allevamento, e i contraenti si sputavano sulla mano per sancire l’indissolubilità dell’accordo verbale, che allora valeva più di un contratto. Questa vivacità si trasmetteva al contesto circostante, compreso il piccolo bar di cui dicevo.
Ora la città è cambiata. L’agricoltura e il commercio sono in crisi. Si afferma una dimensione del tempo diversa, più lenta, direi quasi una dimensione araba. Il centro è multietnico, caratterizzato da una mescolanza di immigrati arabi, slavi, indiani, che non è facile distinguere dai siciliani che li affiancano, in questo crogiolo salutare di razze, di colori e di umori, perché in loro si sono stratificate le tante dominazioni straniere che si sono succedute nell’isola, lasciando ognuna una traccia somatica, cromatica, caratteriale, civile.
Questa nuova dimensione del tempo, questa nuova varietà di colori e di umori si è trasmessa al piccolo bar della mia infanzia, oggi Caffè Roma. Clienti di ogni razza affluiscono con lentezza, si scambiano saluti e sorrisi d’intesa, si siedono ai tavoli e si godono lo scorrere del tempo, senza premura. Poi escono e vanno via. Il bar conserva i vecchi sapori della mia infanzia, i gelati e i dolci della tradizione, che mi fanno tornare, nel gustarli, nuovamente bambino.
Nel bar a servire, al bancone e ai tavoli, quattro ragazze, gentili, veloci come scoiattoli, che racchiudono in sé tratti ellenici, normanni, svevi, spagnoleschi, arabi. Siciliane di una sicilianità antica, stratificatasi nei secoli, con le varie civiltà. Ragazze che hanno una spiccata personalità e una vivacità culturale notevole. Tra di esse c’è Valentina Guidara, una ragazza bruna, dai tratti spagnoleschi, forse. Mi porge alcuni suoi disegni, che mi incuriosiscono, ne chiedo altri, nei giorni a seguire me li porto a casa, ci medito su con calma.
Sarebbe riduttivo definire Valentina una pittrice “naïf”, nel significato usuale che si suole dare a questo termine, per indicare un pittore “ingenuo”, spontaneo, autodidatta, che ha un approccio diretto, immediato, con il mondo che lo circonda e lo ritrae nella sua dimensione fortemente realistica. Ma Cesare Zavattini ci ha dato, per fortuna, una definizione ben più calzante: “A definire in modo esauriente la pittura naïve secondo me c’è riuscito chi è stato meno restrittivo. Io non sono mai caduto nel tranello di idoleggiare l’arte naïve chiudendola, ma ho sempre cercato di far capire che lì c’era chi valeva uno, chi due, chi tre, chi cento, e a mano a mano che i valori crescono, entrano nell’arte in generale, per cui ad un certo punto un quadro di un pittore naïf di valore è alla stessa altezza di un quadro di valore di altre definizioni”. E’ il valore artistico che conta e Gramsci ci ha insegnato che bisogna cercare il “bello” ovunque si trovi e che “l’esclamazione di un carrettiere riveste talvolta per noi tanta poesia quanto un verso di Dante”.
Valentina Guidara è, infatti, una pittrice tutt’altro che “ingenua”, anche se è un’autodidatta. Possiede una tecnica personale, sicura nel tratto e nei colori. Non si limita a rappresentare la realtà nella sua dimensione cosiddetta “oggettiva”, empirica. Rappresenta i paesaggi dell’anima, tutto un mondo che attinge sì al reale “fenomenico”, ma lo plasma e trasfigura attraverso quell’altro mondo che si è stratificato dentro di lei, comprensivo del conscio e dell’inconscio, individuale e collettivo, risalendo nei secoli, anzi nei millenni, abbracciando tutte le civiltà che si sono succedute nell’isola, con i loro valori, i loro colori, il loro modo di guardare l’universo, in tutte le sue sfaccettature.
Valentina Guidara guarda il mondo reale dall’alto di un’altalena (è questa l’immagine contenuta in un suo quadro) e lo confronta con il mondo che è dentro di lei, e da questa commistione nascono le immagini dei suoi quadri. Abbiamo così colori molto vivaci, che ci ricordano i dipinti di Renato Guttuso, con fiori rossi (papaveri o rose?) che colpiscono l’occhio con il loro impatto molto forte, accanto a marine dai colori soffusi, sfumati, direi di matrice e valenza araba, spaccati leopardiani che si perdono nell’infinito spaziale e sentimentale. Queste immagini variegate testimoniano una personalità ricca e complessa: forte e delicata, riservata, ma consapevole del proprio valore. Accanto alla precisione di certi dettagli, è presente quell’ “indeterminatezza” che, secondo il Leopardi, deve caratterizzare la vera poesia. “Poesia della vita”, quella di Valentina Guidara, concepita in tutta la sua multiformità e poliedricità.

Antonio Catalfamo

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