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Imperialismo e guerra:: Altre notizie

VERSO UNA NUOVA "GLOBALIZZAZIONE" BIPOLARE?

(21 Luglio 2022)

Editoriale del n. 115 di "Alternativa di Classe"

conferenza ricostruzione ucraina

A Bruxelles il 23 e il 24 Giugno scorsi si è tenuto un importante Consiglio Europeo, che, dopo un vertice con i Paesi dei Balcani occidentali (e cioè Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina), intenzionati ad entrare nella UE, ha preso, fra l'altro, la decisione di conferire all'Ucraina, insiema alla Moldavia, e non ancora alla Georgia, lo status di Paesi candidati all'adesione alla UE.
Questa vittoria di Zelenskij, e Biden, non è l'unica cosa emersa. E' stata lanciata, infatti, la proposta di costituire una “Grande Europa” insieme ai Paesi non-UE con cui la stessa intrattiene rapporti, soprattutto economici, verso l'istituzione di una “Comunità politica europea”, di cui la UE sia il fulcro. E inoltre, senza mai mancare di addossare qualsiasi responsabilità, sia reale che inventata, alla Russia rispetto alle crisi internazionali in atto, si è riproposta di collaborare con gli altri Paesi occidentali per “introdurre tetti temporanei ai prezzi dell'energia” e di rafforzare in ambito europeo “l'unione bancaria” e quella dei “mercati di capitali”.
Contemporaneamente a questo tentativo di rinsaldamento della UE (sono stati, fra l'altro, richiamati tutti i Paesi aderenti a partecipare alle sanzioni anti-russe), a Pechino il 23 e 24 Giugno si è svolto, in modalità virtuale, il XIV° meeting dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), cui erano presenti anche delegazioni di Argentina, Egitto, Indonesia, Iran, Kazakistan, Cambogia, Malesia, Senegal, Thailandia, Uzbekistan, Fiji ed Etiopia.
Tale meeting è stato voluto dalla Cina come risposta all'annuncio del nuovo “Concetto strategico” della NATO, che l'ha individuata come “avversario più rilevante nel lungo periodo”. In tale senso, infatti, si sono mossi gli USA, che hanno aggiunto al Quadrilateral Security Dialogue (QSD) del 2007 con India, Giappone e Australia, la promozione l'anno scorso di AUKUS (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IX n. 106 a pag. 3), con Regno Unito e Australia, e a Maggio dell'Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), con Australia, Brunei, Fiji, Indonesia, India, Giappone, Sud Corea, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam.
Obiettivo del meeting era il rilancio della cooperazione fra Paesi del Sud del mondo, attraverso Iniziative di Sviluppo Globale (GDI) e di Sicurezza Globale (GSI), per uno sviluppo mondiale “multilaterale”, implicitamente contro il sistema a guida USA. Se da un lato il summit ha dimostrato presenza ed influenza internazionali della Cina, dall'altro gli ottimi rapporti che l'India sta costruendo con l'Occidente sono un ostacolo allo sviluppo di un polo di aggregazione BRICS. Anche se sia Iran, che Argentina, dopo il summit hanno chiesto, in pratica, la nascita di un “BRICS plus”, allargato anche ad essi.
Due giorni dopo, Domenica 26 Giugno, ad Elmau, in Germania, si è svolto il vertice G7 delle potenze occidentali (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e USA), con la presenza dei vertici UE. Oltre alla riconferma dello scontato sostegno all'Ucraina “per tutto il tempo necessario”, sia a livello militare e sanzionatorio, che come impegno economico nella futura ricostruzione, il summit ha deciso di rilanciare gli investimenti in infrastrutture, anche con redditizi partenariati, nei “Paesi in via di sviluppo”, presenti Argentina, India, Indonesia, Sudafrica e Senegal (che detiene ora la presidenza della Unione Africana).
Visto quali Paesi erano presenti, appare evidente il tentativo occidentale di contrastare l'iniziativa politico economica cinese della Belt and Road Initiative (BRI). Sono i Paesi più poveri quelli che rischiano di pagare di più la “transizione ecologica” dell'energia, dopo che quelli del “Primo Mondo” hanno perseguito per decenni uno sviluppo inquinante e devastante, senza porsi alcun problema che massimizzare i profitti!...
In Germania era presente anche il Segretario Generale dell'ONU, A. Guterres, che ha spiegato l'impegno dell'Organizzazione per aggiungersi alla Turchia sulla questione dello sblocco dei porti ucraini, per la partenza di grano e fertilizzanti. Questi ultimi sono quanto mai necessari in Africa, dato che, come ha dichiarato il Presidente senegalese, i quattro quinti dei cereali consumati lì sono prodotti in loco grazie all'uso dei fertilizzanti importati. In tal senso, nella situazione data saranno fondamentali da ottenere le firme al piano ONU di Ucraina e Russia.
Sempre in Germania, la proposta del “tetto sul prezzo” (“price cap”) degli idrocarburi, gas e petrolio, provenienti dalla Russia, proposto da M. Draghi, che lo presenta come una ulteriore sanzione, e caldeggiato dagli USA, che ne traggono evidenti benefici, è stata approvata solo come raccomandazione. Avrebbe carattere temporaneo, come già accennato, e riguarderebbe solo quelli trasportati via mare, com'era per il sesto pacchetto di sanzioni (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno X n. 114 a pag. 1); formulazioni che vorrebbero mantenere l'unità della UE, superando i veti della Germania, che teme più di tutti eventuali ritorsioni russe.
Con grande soddisfazione di J. Biden, si è poi svolto a Madrid dal 28 al 30 Giugno un vertice della NATO, che, oltre ad accogliere il nuovo Concetto Strategico che vede la Cina come “sfida sistemica”, e la Russia come una “minaccia diretta”, ha deciso nuovi “aiuti” ed armamenti all'Ucraina per complessivi 800 milioni. Con la partecipazione di cinquemila persone, per 30 Stati membri, ha sancito l'ingresso anche di Svezia e Finlandia nell'Alleanza, onde insidiare insieme il primato russo sulle rotte del Mare del Nord, e con l'accettazione scandinava della complicità con la Turchia nella “caccia al kurdo” (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno X n. 113 a pag. 2).
Non potevano mancare gli aspetti militari, che vedono, su un confine, ora diretto, di altri 1300 km. con la Russia, lo spiegamento di altri 300mila soldati NATO in più, come “forze di intervento rapido”, e la costruzione di una prima nuova base militare USA in Polonia. Sul piano economico poi, alla concorrenza americana con la Cina sulla transizione energetica (in particolare sull'auto elettrica) e su quella digitale, torneranno utili le presenze al summit di Giappone, Sud Corea, Australia e Nuova Zelanda, ma anche di Giordania e Mauritania, con cui perseguire nuovi accordi di partenariato.
Da Madrid i “Sette Grandi” d'Occidente si sono, ovviamente, collegati informaticamente con Zelenskij, cui hanno ribadito ogni appoggio “fino a quando vorrà”, forti della svolta geopolitica in atto e della strategicità del riarmo anche da parte delle potenze UE. Due giorni dopo, infatti, il Ministro degli Esteri ucraino D. Kuleba, dopo un incontro al vertice con il “socialista” J. Borrel, in rappresentanza della UE, ha annunciato la preparazione di un settimo pacchetto di sanzioni UE contro la Russia.
Lunedì 4 e Martedì 5 si è poi svolta, in una Lugano blindata, nel Canton Ticino della Svizzera, una Conferenza per la Ricostruzione dell'Ucraina (URC), con la presenza di una quarantina di Stati. Agli ormai consueti discorsi nazionalisti filoeuropei di Zelenskij ha fatto eco la Presidente della Commissione Europea, U. Von der Leyen, che ha dichiarato che “Kiev non deve vincere solo la guerra”, ma anche “la pace”, uniformandosi alle priorità della UE e divenendo “...il Paese più libero, moderno e sicuro d'Europa”.
Al termine della Conferenza è stato approvato un documento che presenta sette punti per la “ripresa” secondo gli “standard europei”, a vittoria ottenuta, utilizzando “i soldi confiscati agli oligarchi” russi. In realtà, anche ammesso che sia possibile una “vittoria” senza un allargamento del conflitto, occorreranno non pochi “aiuti” per rimettere in sesto il Paese, e, per attuare il “necessario” nuovo “Piano Marshall”, gli Stati “alleati” di Zelenskij si sono spartiti le zone del Paese in cui ognuno di essi dovrà intervenire economicamente. In ogni caso, viste le tempistiche previste dalla NATO, è già previsto un “secondo round” di accordi il prossimo anno nel Regno Unito.
Mentre a Lugano si cercava di procacciare e ipotecare futuri affari, ad Ankara si svolgeva il vertice intergovernativo con la Turchia di una delegazione italiana, guidata personalmente da M. Draghi, che a Marzo '21 aveva definito R. Erdogan “per quello che è, cioè un dittatore”. Ora, senza alcun ritegno, si vedevano due “amici”, per parlare della questione migranti, Libia compresa, e della questione energetica, con il gasdotto TANAP, dal Mar Caspio, e le rotte del gpl dall'Est. Con l'Italia, ha detto Erdogan, “il volume del nostro commercio è aumentato 34 volte di più e quest’anno possiamo anche raggiungere 25 miliardi di dollari”.
A dispetto dei discorsi di Draghi, infatti, l'idillio con la Turchia anche nel 2021 aveva già sortito un interscambio di 19,4 miliardi di euro (+ 28%), un export italiano di 9,5 miliardi di euro (+ 23,6%), investimenti diretti italiani per 6 miliardi di dollari, e più di 1500 aziende con capitale italiano in Turchia. Del resto, sono proprio gli uffici del “buon” Erdogan, che, insieme all'ONU, hanno consentito lo sblocco del grano ucraino dai porti del Mar Nero, con le prime partenze verso l'Africa ed i porti del Medio Oriente, con l'accordo di Russia e Ucraina, ora seduti allo stesso tavolo e con la formalizzazione imminente, disinnescando la cosiddetta “guerra del grano”.
La concorrenza fra potenze grandi e “di area” per rapporti politici e commerciali con i Paesi “neutrali” rispetto al conflitto russo-ucraino è in corso, al di là dello schieramento in cui oggi si trovano. E' proprio il formarsi di questi due schieramenti, che l'intervento militare russo in Ucraina è andato a favorire: per gli interessi degli USA, in declino sul piano economico, ma ancora i più forti sul piano militare, un intervento del genere, se la Russia non l'avesse intrapreso per suo conto, avrebbe dovuto avvenire comunque...
In questo senso, sono importanti le tesi contenute nell'ultima “lettera agli azionisti” di Larry Fink, 69enne finanziere californiano, CEO di BlackRock ed anima di Wall Street, in grado di spostare colossali investimenti. Ha detto che “le catene produttive” e “le dinamiche del valore”, già sconvolte dalla pandemia, sono state stravolte dalla nuova geopolitica indotta dalla guerra ucraina. Gli Stati saranno portati ad orientarle diversamente nel tempo, ponendo fine alla globalizzazione per come l'abbiamo conosciuta finora, aumentando “il potere dei mercati dei capitali” ed i fenomeni inflattivi, legati al riarmo ed allo stesso riorientamento delle catene produttive.
Per una serie di Paesi, ad esempio, il gpl americano, a suo dire, sostituirà il gas naturale russo come materia prima, e dovranno essere le “valute digitali” a governare la stessa “transizione verde”, che sarà “vantaggiosa” solo se potrà “generare utili per gli investitori”; dovrà portare, cioè, “opportunità di business e utile”. In pratica, queste esternazioni di chi controlla “10mila miliardi di dollari, di cui un terzo in Europa” sono al confine tra “pareri” ed “indicazioni di obiettivi”.
Le previsioni del finanziere, che parla di “capitalismo responsabile”, pur se degne della massima considerazione, non fanno i conti con l'irrazionalità del sistema capitalistico, che, come tale, avrà molte difficoltà a gestire una transizione del genere, che non può non comportare, nel divenire, altra fame, sete, guerre e povertà nel mondo, con due soli esiti davvero possibili in alternativa: il comunismo, sempre più necessario prodotto della lotta di classe, o la barbarie dei nefasti effetti del cambiamento climatico e/o del conflitto generalizzato, purtroppo sempre più probabile.
Per fortuna, nel mondo non è tutto fermo: dappertutto i proletari stanno insorgendo, come di recente in Sri Lanka, in Peru, in Ecuador (vedi a pag. 4), in Ghana, in Kenya, in Mozambico, e via di questo passo, contro il carovita, ma non solo. Anche nella stessa Europa sono presenti lotte significative: in Norvegia i lavoratori del comparto energetico, in Belgio i portuali, nei Paesi Bassi il settore allevamenti, in Gran Bretagna i lavoratori dei trasporti, in Francia e in Albania vari settori contro il carovita, in Germania i metalmeccanici chiedono l'8% in più. Sono premesse perché nella lotta di classe sedimenti qualcosa di stabile, che si muova anche sul piano politico internazionale.
In Italia, nonostante il fatto che il potere d'acquisto dei salari, caso unico in Europa, sia arretrato rispetto a trent'anni fa, i livelli di inflazione che già oggi superano l'8%, come non avveniva dal 1986, il precariato che dilaga, un impoverimento sociale diffuso, che ricomprende anche importanti settori di lavoratori, una media di tre morti sul lavoro al giorno, non sono in piedi lotte importanti che superino il livello aziendale.
I sindacati confederali, molto restii a chiamare i propri iscritti alla lotta, sono abituati da decenni a farsi carico delle “compatibilità” nazionali, e puntano soprattutto a riconoscimenti istituzionali. Con il Governo Draghi, la situazione, se possibile, è peggiorata ulteriormente. La CISL è sempre perfettamente allineata, e pare escludere stabilmente, qualunque cosa accada, il ricorso a scioperi generali, mentre la CGIL di M. Landini, seppure a livello di dichiarazioni pare rendersi conto di quanto sta avvenendo, rimane aggrappata ad ogni minimo “spiraglio” di disponibilità, cui il Governo talvolta mostra di alludere. E la UIL oscilla fra i due atteggiamenti.
Alle recenti dimissioni di B. Johnson in Gran Bretagna è seguita una crisi di governo anche in Italia, dove il Movimento 5 Stelle di G. Conte non ha votato la fiducia per il cosiddetto “Decreto Aiuti”, ed il premier, pur avendo comunque ottenuto la maggioranza parlamentare, ha rassegnato le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica. Al coro unanime dei media nazionali, indignati per il delitto grillino di “lesa maestà”, si sono ben presto aggiunte le principali e più autorevoli testate dei Paesi occidentali, lamentando possibili drammatici sfracelli nella UE, e non solo. E gli stessi vertici UE e USA chiedono al banchiere di porre fine alla crisi di governo.
Al di là di quale sarà la soluzione tecnica (ignota al momento in cui scriviamo) di questa strana “crisi di governo”, non c'è dubbio che le scelte “belliciste e antioperaie”, che accusava lo scorso numero di questa testata (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno X n. 114 a pag. 1), non sono frutto solo delle personali convinzioni del premier, ma espressione “dell'imperialismo di casa nostra”, cui obbedirà qualsiasi prossimo esecutivo, se non costretto da livelli di lotta di classe oggi imprevedibili. E' contro tali scelte che, evidentemente, va indirizzata la lotta.
E' in tale contesto che, tra appelli di sindaci e forze politiche di maggioranza, si è inserito anche un appello della Segreteria CGIL per “un Governo che dia risposte nel pieno delle sue funzioni”, vista l'emergenza sociale di “una parte sempre più consistente del Paese (che - ndr) non ce la fa più ad arrivare alla fine del mese”. Seppure si può dubitare sugli effetti di un appello del genere, questi termini potevano apparire sensati. Vi è, però, il passaggio finale, che non è più “senso di responsabilità”, ma include la Segreteria CGIL fra i sostenitori di M. Draghi; l'appello, infatti, si conclude con la frase: “Non è il momento di indebolire il Paese e bloccare le riforme”.
Dato che c'è una parte del Paese che “non ce la fa più”, è evidente che qua ci si riferisce, invece, a quell'altra parte, più forte, che si può ancora indebolire. E, invece, per noi SI TRATTA PROPRIO DI DIROTTARE, VERSO CHI NON HA, QUELLE RISORSE DI CHI PIU' HA, indebolendolo! Di quali riforme, da non bloccare, poi si sta parlando, quando in ballo ci sono il “Ddl concorrenza”, che aumenta le privatizzazioni dei servizi, l'abolizione dell'obbligo in solido, finora previsto dal Codice Civile, per i committenti della logistica di coprire eventuali “buchi” salariali ai lavoratori, o la stessa riduzione del cuneo fiscale, che dovrebbe sostituire la rivendicazione di aumenti salariali detassati!...
La chiosa finale dell'appello CGIL è in piena continuità con la pacca di Draghi sulla spalla di Landini davanti alla sede nazionale devastata dai fascisti. E' la rivelazione, se ce n'era ancora bisogno, dell'orizzonte del maggiore sindacato italiano, che rimane inscritto negli obiettivi di una borghesia “illuminata”, destinata a perenne subalternità a tutte le scelte dell'imperialismo di casa nostra. A lasciare sperare che la mobilitazione annunciata per Settembre dalla CGIL non sia solo una barzelletta è il Comunicato della Coordinatrice dell'Area di Opposizione, che giustamente si duole solo del fatto che la caduta di Draghi non sia dipesa dalla mobilitazione dei lavoratori!...
Mentre la strana vicenda della “crisi di governo” sembra preludere a quella “riforma costituzionale” governista, adombrata da S. Mattarella nel suo discorso di investitura (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno X n. 110 a pag. 1), proprio all'alba di Martedì 19 sono stati arrestati a Piacenza, su input di quella Procura, dirigenti sindacali del SI Cobas e di USB, oltre al Coordinatore Nazionale del SI Cobas, A. Milani, con accuse di “associazione a delinquere per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio”. Si vogliono criminalizzare sette anni di scioperi della logistica, definiti “pretestuosi” e con “intenti estorsivi”, con un “teorema” di assoluta gravità.
Non si può non rispondere a fatti del genere; è evidente il tentativo di colpire il sindacalismo conflittuale anche al di là delle sigle, per disarmare preventivamente i lavoratori e i proletari, in vista di un autunno in cui i motivi per mobilitarsi non mancano di certo. I sindacati direttamente interessati dal teorema repressivo stanno già indicendo mobilitazioni immediate, mentre non si è fatta attendere la solidarietà, doverosa, da parte dell'Area di Opposizione CGIL con un Comunicato nazionale. Non è solo un attacco ad alcuni sindacalisti e/o sindacati, ma a tutto il movimento sindacale, che sia realmente tale!

Alternativa di Classe

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