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(12 Novembre 2005)
5 ottobre 2005: il governo boccia la “riforma” del TFR del ministro Maroni e rinvia alle Camere il parere delle Commissioni Lavoro che avranno tempo un mese per riscriverlo e permettere così di varare il testo definitivo della “riforma”. Il rinvio è dovuto non a un sussulto di responsabilità e dignità a tutela dei lavoratori e dei meccanismi di accumulo del TFR, oggi migliori rispetto ai “fondi pensione” che vogliono caparbiamente introdurre pur sapendo che si tratterà di una decurtazione del reddito finale dei lavoratori. La bocciatura è avvenuta perché, parole di un ministro della Repubblica che del governo fa parte, il governo ha ceduto alle pressioni fortissime delle lobbies assicurative e bancarie. E si capisce, la torta è ghiottissima e fa gola a tutti (imprese, banche, assicurazioni, Sim, sindacati confederali): tra i 13 e i 17 miliardi di euro all’anno (26.000/34.000 miliardi di vecchie lire), pari a una “manovra finanziaria”, cifra che si avvicina all’ammontare della finanziaria 2005 (20 miliardi). Non a caso la partita Tfr è stata definita «l’affare del secolo».
Nell’occasione, i giornali hanno abbondato di dichiarazioni dei protagonisti che vanno attentamente lette e “tradotte”, perché forniscono indicazioni su quali siano le reali preoccupazioni di chi vuol costringere i lavoratori a “investire” i loro soldi nei fondi previdenziali.
Il peso della lobby banche-assicurazioni e il conflitto di interessi
Le tesi delle compagnie di assicurazione [cioè: i loro fortissimi interessi in materia, v. sopra] sono state sposate apertamente da numerosi esponenti del governo e del parlamento. Il Presidente del Consiglio, prima di far finta di abbandonare la seduta per aperto conflitto di interessi, ha dichiarato candidamente i suoi orientamenti contrari alla riforma concordata tra sindacati confederali e Maroni. Berlusconi ha sposato le tesi [=gli interessi] delle assicurazioni e lo dichiara senza peli sulla lingua: «come sapete, la mia famiglia è azionista di un’importante compagnia di assicurazioni», cioè il gruppo Mediolanum. Per lui, ovviamente, il testo del progetto di decreto «è un disastro» dato che non “garantisce” a sufficienza le [sue] assicurazioni.
C’è di più. Maroni ha dichiarato di essersi trovato di fronte a «una compattezza dilatoria, difficilmente comprensibile». L’ingenuo candore del ministro sparisce se si tiene a mente che l’Ania, associazione che raggruppa le assicurazioni italiane, ha fatto opera di pressione e distribuito a ministri e parlamentari un proprio dossier sulla riforma del Tfr in cui esplicita i suoi desiderata e indica quali debbono essere gli emendamenti da introdurre e quali no.
Il ministro Giorgio La Malfa ha sposato apertamente le tesi [=gli interessi] dell’Ania e le ha espresse in Consiglio dei Ministri. Da Repubblica, 6 ottobre 2005, p. 3: La Malfa «ammette anche di aver ricevuto – e letto – il dossier preparatorio delle compagnie di assicurazione. ‘Io il paladino del partito delle assicurazioni? Ognuno la pensi come vuole’». Se voleva smentire il fatto, occorre dire che il ministro ha usato espressioni perlomeno equivoche. Maroni ha confermato: «Tutti volevano il rinvio c'erano pressioni fortissime» (da parte di banche e soprattutto assicurazioni). Lo stesso giorno, a p. 4, Repubblica ha stampato un interessante articoletto in cui si fanno i nomi e i cognomi dei parlamentari che pensano esattamente (per pura convinzione personale, è ovvio) come l’Ania. L’articolo spiega tra l’altro che le “tesi” delle banche hanno trovato molta comprensione in un sottosegretario, il quale, guarda caso, proviene «da quel mondo, avendo lavorato nei primari gruppi bancari del Paese, da Fideuram a Intesa».
Delizioso il siparietto tra un intervistatore e Maroni sul mondo politico: ingenuamente è vero, noi preferiremmo si mostrasse meno accondiscendente e prono verso poteri forti e potentati economici:
[Intervistatore] «Sta implicitamente accusando i suoi colleghi ministri di essere stati sensibili al pressing delle compagnie?
[Maroni] “No, io non accuso nessuno men che meno i miei colleghi ministri. Prendo atto che ci sono state fortissime pressioni in questi mesi e non solo dalle assicurazioni”.
[Int.] Anche su di lei?
[Maroni] “Certo, ma non negli ultimi giorni. Prima mi sono confrontato con tutti”.
[Int.] Mentre le pressioni sui ministri, evidentemente, le hanno fatte le assicurazioni?
[Maroni] “Ma noi siamo abituati alle lobby”».
Ogni commento è superfluo.
Avvantaggiati e stritolati
Maroni si è lasciato scappare una dichiarazione che, se ben letta, spiega alcune cose. «Gli unici a trarne vantaggio [dalla riforma del Tfr da lui redatta con l’accordo dei sindacati confederali] sarebbero stati i giovani lavoratori». Il ministro conferma indirettamente che tutti i lavoratori con qualche anno di servizio hanno solo da perdere dalla riforma del Tfr. C’è poi da chiedersi perché gli unici a beneficiarne siano i giovani lavoratori: perché essi hanno più anni di lavoro e di vita in prospettiva su cui suddividere le perdite sicure che derivano dalla revisione dell’attuale sistema di accantonamento del Tfr.
Ma il ministro si scorda pure che i “giovani lavoratori” sono comunque svantaggiati perché con la flessibilizzazione del lavoro non potranno sperare di mettere da parte né una pensione decente né un Tfr degno di questo nome, tra periodi di disoccupazione, lavori precari, a tempo, a domanda... Come se un “giovane lavoratore” oggi possa sperare di metter da parte contributi per 30 o 40 anni di lavoro continuo, come, bene o male, è stato possibile sino a oggi.
Il ministro ha pure ammesso di essere stato isolato da chi, con la riforma del Tfr, puntava a «un business senza regole». Dunque veniamo a sapere che ci sono parti significative del governo e dei parlamentari sensibili alle esigenze delle assicurazioni e mirano a togliere le pur modeste garanzie previste. Il ministro: «Le assicurazioni avrebbero voluto vendere prodotti pseudo-previdenziali accanto a quelli previdenziali puri. Noi abbiamo fissato delle regole e dei controlli per evitare che i lavoratori venissero stritolati». Dunque, le assicurazioni e le banche vogliono “stritolare” i lavoratori e i loro risparmi lasciandoli senza alcuna tutela in balia delle speculazioni, del mercato: una volta, con efficace immagine, si diceva “i pescecani”. Bontà loro, invece, Maroni e Confederali si sono semplicemente limitati a maciullarli. Ad es. che fine faranno gli accantonamenti di quanti dovessero cambiare fondo nel corso della loro vita lavorativa? Quali forme di garanzia dai rischi sono previsti nel caso di crolli di borsa (vedi il caso bond argentini, Enron, Parmalat e Cirio)? Senza contare che agli stessi soggetti (banche e finanziarie) che in questi anni hanno imbrogliato i risparmiatori offrendo “prodotti” inaffidabili, si affida tranquillamente la gestione di fondi di investimenti, così potranno continuare a vendere altri bidoni...
Che i “giovani lavoratori” siano categoria da usare secondo convenienza lo dimostra concretamente il fatto che, nella stessa riunione, il Consiglio dei ministri ha approvato una norma che permette di sommare frazioni di contributi previdenziali versati a enti diversi per ottenere un’unica pensione. Ovviamente, giusto per favorire i “giovani lavoratori” e quanti lavorano per a tempo, la norma non si applica per i periodi inferiori a 5 anni di contribuzione. Insomma, prima creano il mercato del lavoro precario e poi ragionano per “periodi lunghi”...
Infine, Maroni ha dichiarato che per alcuni ministri «la riforma affida un potere enorme ai sindacati». Ecco, qui sta una delle spiegazioni della riforma. Quando le organizzazioni sindacali intendono assumere il ruolo di investitori finanziari si stravolge la natura stessa del sindacato e si trasforma il rapporto stesso con i lavoratori che dovrebbero essere rappresentati nei loro bisogni e nei loro interessi economici e sociali. Di fronte a una torta di miliardi di euro, il ruolo di rappresentanza di singoli e categorie sociali sarà una semplice “perdita”, una diseconomia, non ci sarà più bisogno di cercare iscritti e le loro quote associative perché le entrate, quelle vere e consistenti, saranno altre e ben più lucrose: i fondi di investimento e i loro consigli di amministrazione (ambiti posti retribuiti in cui andrà a sedere una nuova schiera di burocrati autoreferenziali e portaborse).
E’ necessario far fallire i disegni di chi vuole scardinare il Tfr peggiorando ulteriormente le nostre condizioni dei lavoratori.
N.B. Le citazioni sono tratte dai quotidiani La repubblica e Il sole 24 ore del giorno 6 ottobre 2005
(a cura di C. Farinella, Gruppo di lavoro previdenza integrativa e Tfr)
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