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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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CARE SFRUTTATE, CARI SFRUTTATI

(28 Settembre 2022)

Da tempo è ora che gli sfruttati abbiano una loro organizzazione politica,
distinta e separata da quelle di tutte le altre classi, internazionalista, antiparlamentare,
basata sull'azione diretta collettiva.

Lo impone una realtà già matura
e gravida di questa creatura rivoluzionaria,
da troppi ignorata,
o sbirciata con lenti vecchie e inadeguate alla fase storica attuale.
Non si tratta di riproporre partiti comunisti precotti
o sindacalismi al ribasso,
buoni per qualche 0,0% o per qualche sfilata s-venduta come sciopero.
O di tentare di agglomerare l'intermedismo minoritario, e, spesso, sconosciuto agli strati profondi di classe.

No! L'obiettivo, tanto ambizioso quanto urgente,
è la conquista della maggioranza del proletariato,
attraverso il lavorio costante,
umile e quotidiano dei primi embrioni di questa organizzazione,
senza spettacolarizzazioni,
ma con chiarezza e nettezza di principi e pratiche politiche.

Care sfruttate, cari sfruttati,

Gli ultimi 10 anni di “vita” capitalista, tra guerre, crisi finanziarie e pandemico-sanitarie ci consegnano un mondo squassato nelle sue fondamenta ed equilibri geostrategici, dove il compromesso socialdemocratico tra padroni e sindacati così come vari modelli di welfare volgono al desio, lasciando il campo ad una scarnificazione dei rapporti sociali foriera di scontri e battaglie decisive.
Un campo di battaglia di classe per ora occupato solo dall'attacco padronale nel doppio tentativo di riprodurre il sistema e scaricarne le contraddizioni sugli operai.
Una lotta di classe a senso unico condotta dai capitalisti, spesso divisi ed in concorrenza tra di loro anche con le armi, ma sostanzialmente uniti contro il proletariato, che, seppur numericamente in crescita, non esprime alcuna coscienza di sé se non in limitate, frammentate e temporanee esplosioni rivendicative.

Un sistema capitalista alla ricerca dell'equilibrio perduto per il suo innato sviluppo ineguale, capace per questo di portarci alla barbarie della guerra mondiale se prima non interviene la rivoluzione sociale.

Ecco che, di fronte all'impossibilità di un crollo automatico di sistema ed al percorso verso la barbarie ormai probabile, la rivoluzione diventa matura storicamente, l'unica possibilità di fuoriuscita umana dalla contraddizione tra tendenza alla socializzazione della produzione e accumulazione privata del prodotto.
Questa coscienza del movimento profondo della realtà, se non è accompagnata da ogni sforzo possibile per costruire le condizioni della forza organizzata che ponga la prospettiva della rottura rivoluzionaria, rimane esercizio retorico.

O una meccanica trasposizione dell'invarianza Marxista.

Da quando il materialismo è divenuto scienza applicata alla società, ha testato le sue conferme e le sue smentite oltre l'apparenza fallace del divenire, nelle viscere delle sue formazioni economico-sociali, nei cicli di lotte e di riflusso, dell'intero movimento di classe.
Ogni epoca storica ha verificato l'efficacia delle sue prove nei risultati ottenuti, dalle rivoluzioni vittoriose, all'accumulo dei militanti, o alla loro perdita.
Dall'attentato dinamitardo, alla bomba liberatrice, all'omicidio politico, dallo sciopero insurrezionale all'occupazione di terre e fabbriche, dai cortei dei “fazzoletti rossi” alle meccaniche di Mirafiori ai bulloni contro capi e crumiri, all'assenteismo organizzato, al boicottaggio, sabotaggio e “salto della scocca”, fino alla “lotta armata per il comunismo”.
A ciascuno il suo.
Ad ogni fase, la sua lotta, organizzazione, obiettivo.

Adesso, sfruttate e sfruttati, si cambia.

E' ora di uscire da pigrizie, immobilismi e reiterazioni inutili.
E' ora di “smettere la camicia vecchia ed indossare la camicia nuova”.

E' ora di chiudere il capitolo del movimento operaio del secolo passato, con le sue forme organizzative, i suoi obiettivi di fase e i suoi simboli iconici, di assimilarne lezioni ed errori.
E' ora di ripartire essendo espressione del movimento sociale reale, maturo per una società superiore, senza classi, tutta da immaginare, costruire, per la quale organizzarsi e lottare.

Nelle forme, e con i mezzi, che la lotta di classe ed i rapporti di forza determineranno.

Un primo passo pratico è quello di riunire, concentrare e centralizzare tutte le donne e gli uomini che condividono queste considerazioni e le loro, parziali, conclusioni.
L'altro passo pratico è quello di chiudere definitivamente con ogni ceto politicante, staccato dalla classe ed incapace anche solo di capire un mondo di cui, in fondo, è espressione.

L'unione di questi due passi pratici, opportunamente calibrati con pazienza e con coraggio potrebbero gettare un sasso nello stagno di classe, contribuendo, dapprima individualmente e poi collettivamente, alla trasformazione della coscienza in se in coscienza per se.

Così come i padroni cercano di perpetuare il potere della loro classe adeguandosi al nuovo mondo pluripolare, noi dobbiamo lottare per la nostra classe, perchè la nostra vita non sia più sopravvivenza.
Lo “dobbiamo fare perchè saremo costretti a farlo” dice Engels, con la lotta certo, ma anche con una forma ed una organizzazione di questa adeguata, cioè nuova, efficace, veloce, tempestiva, dinamica, snella.
Corrispondente ai tempi storici attuali.
In una parola : moderna!

Un moderno anticapitalismo fuori da ogni mediazione politicante, sempre sveglio ed attivo come le quote di capitale e come loro senza volto, flessibile come i mercati azionari, vigile e pronto come le centrali di borsa.
Un moderno anticapitalismo capace di “stare sul pezzo” sempre, h.24, con il suo modello organizzativo aburocratico, capace di modulare e diversificare principi generali ed indicazioni specifiche condivise tra gli strati profondi del proletariato, declinandoli molecolarmente, in maniera mirata.
Un moderno anticapitalismo poggiato su una “organizzazione leggera”, capace di articolare e dosare la propria critica e progettualità comunista, rendendole vive e presenti nel momento adatto, perché delegate, nel rapporto fiduciario, ai suoi gangli umani nella società, ai suoi militanti.

Un moderno anticapitalismo espresso da donne e uomini “partito”, fedeli alla stessa griglia teorica generale ma anche autonomi e liberi nell'intero trend politico scelto e seguito.
Una sorta di “partito polipo” i cui tentacoli-sensori, intimi alla realtà, la analizzano per riportarla al centro, e quindi farla diventare terreno di intervento e lotta.

Questa configurazione monolitico-orizzontale, nel rappresentare una rottura di ogni continuismo ortodosso, preserva il “partito polipo” da lentezze, burocrazie ed autoreferenzialità, rendendolo capace di capire e colpire li dove necessario, quando e come necessario.
Un “partito” della rivoluzione, non dei c.c. né c.c.c., non delle segreterie o federazioni piu' o meno giovanili o di genere, ma dei senza volto riconoscibili oltre che dalla loro appartenenza di classe, dalle sue posizioni politiche e dalla propria azione diretta.

Si tratta di sperimetare il laboratorio del partito della rivoluzione.

Si tratta di scegliere da che parte stare.
Qui, ed ora.

SOCIETA' INCIVILE

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