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29 novembre

29 novembre

(29 Novembre 2011) Enzo Apcicella
Giornata internazionale di Solidarietà con il popolo palestinese, istituita dall'ONU nel 1977 con la risoluzione 32/40b

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    (Imperialismo e guerra)

    Chi aggredisce l’“Europa”?

    Seconda parte

    (4 Ottobre 2022)

    Guerra all'Europa con obiettivo Eurasia
    Ci preme ora tornare all'articolo di Prometeo del 1949, sorprendente per la lucidità quasi profetica nel tracciare le direttrici storiche lungo le quali si sarebbero effettivamente posti gli eventi nello scontro tra imperialismi. Alla base di quelle previsioni, non v'era nulla di intuitivo e geniale, ma una visione storica che, su fondamento marxista, supera le visioni immediatiste e proietta la prospettiva sul lungo periodo. L'attuale crisi ucraina conferma la fondatezza di quelle previsioni, comprese quelle attinenti alle caratteristiche che avrebbe assunto la guerra a venire. Ci sono voluti oltre settant'anni? Okkei!

    Alla domanda “che razza di guerra sarebbe la eventuale prossima dell'America per la quale si votano crediti militari immensi... “, si risponde dunque che sarebbe stata “la più clamorosa impresa di aggressione, di invasione, di oppressione e di schiavizzamento di tutta la storia”. Non solo, ma si aggiunge che “essa è già in atto, essendo tale impresa legata da stretta continuazione con gli interventi nelle guerre europee del 1917 e del 1942, ed essendo in fondo il coronamento del concentrarsi di una immensa forza militare e distruttrice in un supremo centro di dominio e di difesa dell'attuale regime di classe, quello capitalistico, la costruzione dell'optimum delle condizioni atte a soffocare la rivoluzione dei lavoratori in qualunque paese.” (“Aggressione all'Europa”, cit.)

    La guerra in Ucraina ha fornito alla potenza atlantica l'occasione, fortemente cercata, di riaffermarsi padrona indiscussa del consesso occidentale a scapito degli alleati-rivali d'Europa a cui ha imposto la linea su tutti i fronti decisivi (informazione, politica interna, energia, guerra, economia). Quella in corso si presenta pertanto come la nuova tappa di quella “aggressione all'Europa” iniziata nel lontano 1917, che la nostra corrente ha riconosciuto essere la direttrice fondamentale dei rapporti inter-imperialisti. Se ieri castrare l'Europa significava annientare l'unico potenziale avversario imperialista nell'impresa di conquista del mondo, oggi – dopo averne favorito la nullità politico militare ingabbiandola in un non Stato (la UE) – l'aggressione continua con il tentativo di demolirne la forza produttiva, di annullare le condizioni alla base del surplus tedesco e, dopo averne reciso i legami strutturali con i vasti mercati eurasiatici, ridurla a una succursale anche economica del centro imperialista atlantico. (9)

    Con la guerra in Ucraina, la completa subalternità dell'Europa si è manifestata in modi che avrebbero del sorprendente se non ne fossero chiari i presupposti storici. Lo sciagurato e incondizionato supporto offerto dalla borghesia europea – in alcuni settori con ostentata convinzione, in altri digrignando i denti – alla volontà americana di una guerra prolungata contro la Russia sancisce il declino e il completo asservimento dei vecchi capitalismi d'Europa, che si negano perfino l'esercizio di una politica autonoma di difesa dei propri vitali interessi economici. Spezzare il naturale legame tra l'economia dell'Europa occidentale e le fonti energetiche russe colpisce prima di tutto l'apparato industriale tedesco e le sue vaste ramificazioni continentali. È un attacco diretto alle basi stesse del capitalismo europeo ruotante attorno al magnete tedesco, dove l'assoggettamento politico militare svolge in prospettiva la stessa funzione dei bombardamenti a tappeto che rasero al suolo la potenza produttiva dell'Asse.

    È anche la prosecuzione dell'attacco all'Euro come sfida all’egemonia del dollaro. Alla sua introduzione, infatti, gli Stati Uniti “reagirono come d’uso, cercando di creare isole di destabilizzazione, tra le quali in Medio Oriente spiccò la vicenda irachena ed in Europa quella Jugoslava. Il bombardamento del paese europeo comportò, in particolare, una immediata svalutazione del 30% dell’Euro (che era partito molto bene) mentre l’invasione dell’Iraq del 2003 provocò un vertiginoso incremento del prezzo del petrolio e quella della Libia la fine del progetto di una moneta pan-araba ancorata all’oro”. (A. Visalli, Krisis, cit. in nota 2).
    Gli esempi sarebbero molti, ma si tratta di quella che l’autore chiama con formula di effetto “la geopolitica del caos”.
    Tra i primi effetti della guerra in Ucraina e delle sanzioni comminate alla Russia non vi è stato, come prevedevano invece i “sanzionatori”, il crollo del rublo – che, anzi, si è apprezzato in parallelo all'esplosione dei prezzi energetici – ma dell'Euro, precipitato in breve tempo sotto la parità col dollaro.

    Quella in Ucraina è dunque in tutta evidenza una guerra per procura tra Stati Uniti e Russia, ma è combattuta sul suolo europeo, con carne da cannone europea, con ricadute devastanti sulle strutture economiche europee, sulle condizioni di vita dei proletari europei. È quindi, ancora una volta e in primo luogo, una guerra contro l'Europa. Nonostante i rovinosi precedenti storici – da Napoleone a Hitler – l'Europa ripete l'errore di guardare alla Russia come una minaccia da Oriente, come tale da sottomettere e depredare, anziché considerarla essa stessa Europa e ponte verso l'Oriente asiatico. Così, come nelle precedenti guerre mondiali, il “gregge dell'imbecillità borghese d'Europa” (vedi “Ancora America”, Prometeo, n.8, 1947), cui nel secondo conflitto si unì l'URSS di Stalin, contribuisce grandemente al proprio declino affidando le proprie sorti all'ingombrante alleato atlantico, generosamente disposto a rifornire i gonzi europei di crediti, bombe e oggi anche costosissimo gas (di pessima qualità).

    Per gli Stati Uniti, stringere la presa sull'Occidente è anche la condizione per accelerare la manovra di accerchiamento dell'Eurasia. L'obiettivo è, nell'ordine, arruolare l'Europa a dominanza tedesca in posizione subordinata, per poi procedere a schiacciare la Russia, e di seguito la Cina. La nuova tappa è l'ultima “di una unica invasione, passata da Versailles nel 1917-18, diretta a Berlino. Solo a Berlino? No, insensati ancora plaudenti, diretta anche a Mosca...” (“Aggressione all'Europa”, cit.).

    Oggi la platea di insensati ancora plaudenti si estende alla vastissima pletora di un ceto politico più che mai miserabile e corrotto che ancora tiene nelle mani le leve dei governi per conto del padrone atlantico, anche se oggi con meno sicurezza di ieri, dopo aver disceso di molti scalini “nella vendita dell'onore del suo Stato” (“America”, Prometeo, n.7, 1947) – fatto che per i comunisti non è motivo di sdegno, giacché in regime capitalista tutto si riduce a una questione di prezzo. (10)

    La potenza della capacità predittiva del marxismo si conferma quindi a oltre settant'anni dalla pubblicazione di “Aggressione all'Europa” e Mosca – poco importa se non più “sovietica”, visto che è ancora lì a interporsi al nuovo slancio imperialista di conquista del mondo – rimane l'obiettivo di una nuova ondata che ambisce a completare il progetto di sottomissione eurasiatica.

    La Russia rappresenta ancora oggi l'estremo baluardo europeo contro l'espansione dell'imperialismo USA dall'Atlantico agli Urali, superati i quali si apre l'immenso spazio dell'Eurasia, delle sue immense ricchezze da contendere al nuovo grande nemico, la Cina. La forza attuale della Cina è prodotto della stessa espansione dell'imperialismo americano e occidentale da quando, con l'avvento del mondo “unipolare”, i capitali in eccesso cominciarono ad affluire dai centri imperialisti d'Occidente agli immensi bacini asiatici di forza lavoro a basso prezzo, alimentando lo sviluppo impetuoso del capitalismo cinese. Man mano che esso – sotto la guida dello Stato centralizzato – si sviluppava fino a contendere e superare nelle statistiche economiche i record del vecchio padrone atlantico, man mano che riforniva di merci e capitali il mercato americano in cambio di dollari si è fatta via via più evidente e insostenibile la realtà di un interscambio che a un polo forniva forza lavoro, merci e capitali frutto di processi produttivi, e all'altro pagava in moneta fiduciaria internazionale garantita da un debito pubblico crescente e finanziato dagli stessi fornitori di capitali e di beni. Con lo sviluppo del processo, sono necessariamente mutati i rapporti di potenza economica, che se a un capo vedevano aumentare a dismisura i valori finanziari – in parte crescente fittizi – all'altro vedevano l'enorme montare delle forze produttive, cioè del requisito fondamentale alla base di quella potenza.

    Gli stessi processi economici di espansione del capitale, che avevano logorato l'assetto protezionistico dell'area di influenza “sovietica” fino a disgregarlo, hanno minato in modo irreversibile le fondamenta della potenza economica statunitense. Nell'assetto “unipolare” a baricentro americano si era stabilita un'interdipendenza da cui tutti i principali attori hanno tratto frutti. I capitali, per quanto con difficoltà crescente entro la tendenza generale alla caduta del saggio di incremento della produzione, trovavano modo di valorizzarsi nella fucina produttiva dell'Asia orientale per poi rifluire ai centri finanziari dell'imperialismo dominante. Il meccanismo ha funzionato fino alla crisi della cosiddetta globalizzazione innescata dal crollo del 2008-2009. Sola garante dell'interdipendenza funzionale all'ordine capitalistico mondiale si poneva e si pone tuttora la potenza militare USA, ineguagliabile quanto a finanziamenti, tecnologie, dispiegamento di forze in ogni area del mondo, strategie di intervento diretto o tramite partigianerie reclutate direttamente sul campo.

    L'espansione della Nato in Europa orientale rappresenta uno dei principali movimenti strategici americani nell'ambito di una manovra a tenaglia che punta all'accerchiamento dell'Eurasia, dove si concentrano le minacce alla perpetuazione dell'influenza globale dell'imperialismo americano. Siamo al punto in cui gli schieramenti della futura (o presente?) guerra sembrano ormai definiti: mondo anglosassone, Giappone e UE da un lato, Cina, Russia, Iran dall'altro. Il resto del mondo è alla finestra, in attesa di valutare l'evolvere dei rapporti di forza. Vecchi capitalismi in declino, ma estremamente aggressivi, contro capitalismi emergenti. Per la Cina, fautrice di un'espansione “pacifica” della propria influenza, l'Ucraina costituiva uno snodo fondamentale del progetto di creazione di infrastrutture di interscambio terrestri e marittime (Vie della Seta) in direzione della vecchia Europa. La penetrazione cinese in Ucraina è avvenuta attraverso ingenti investimenti, nella classica modalità di un imperialismo in espansione. La si chiami pure “pacifica”, ma la via cinese rientra nella dinamica del confronto-scontro tra imperialismi e come tale facilmente può volgere in guerra, dal momento che viene brutalmente ostacolata dall'imperialismo dominante che la legge a sua volta come un'”aggressione” al vecchio ordine.

    Se l'Ucraina rappresenta uno snodo vitale per tutti e tre i principali concentramenti di potenza (Stati Uniti, Russia e Cina), la sua invasione è una sfida alla secolare egemonia occidentale sul mondo, come tale inaccettabile da parte dei vecchi dominatori. Il fatto stesso che la Russia abbia osato sfidare il colosso atlantico sul terreno della guerra è segnale che quell'egemonia è messa in discussione. O si riafferma su nuove basi di forza o scompare.

    La posta in gioco è il capitalismo
    A una visione superficiale, il quadro generale propone l'alternativa tra il rafforzamento del predominio mondiale atlantico e l'affermazione di un nuovo ordine che si vorrebbe multipolare, articolato lungo le diverse silk roads che si snodano dai centri produttivi cinesi, grandi infrastrutture terrestri di integrazione eurasiatica con prolungamenti marittimi in direzione dell'Africa e dell'America latina.

    Il solo porsi di tale alternativa rivela un fronteggiarsi di concentramenti di forze che può tradursi in uno scontro diretto e volgere in una nuova guerra generale. La tensione sale nell'intero emisfero settentrionale: in Europa, è ancora una volta cruciale l'atteggiamento della Germania, fino a ieri con i piedi in due staffe: quello economico rivolto a oriente, quello politico stabilmente schierato ad occidente. La situazione le impone una scelta. Sembra che il prezzo che gli Usa siano disposti a pagare per la fedeltà dell'alleato-nemico sia il via libera al suo riarmo in funzione antirussa, ma al momento è proprio la Germania a pagare il prezzo più alto delle sanzioni imposte alla Russia in termini economici e sociali. Su scala più ampia, e in una fase assai più avanzata dell'”aggressione all'Europa”, si ripropone lo scenario della guerra per il Kosovo quando, col pretesto della discriminazione della popolazione albanese kosovara, la Nato attaccò la Serbia, con la Russia impotente a reagire. Non a caso al confine tra Kosovo e Serbia si sta pericolosamente riaccendendo il focolaio di tensione, dai cui possibili sviluppi bellici oggi difficilmente la Russia potrebbe tenersi fuori. La guerra della Nato alla Serbia è stata prima di tutto un argine alla presenza della Germania nei Balcani dopo che la guerra civile jugoslava aveva spalancato le porte ai capitali tedeschi nell'area. Fino ad oggi l'allargamento della sfera di influenza tedesca a Est rientrava in un orizzonte economico e solo di riflesso politico. Oggi, se gli sviluppi lo confermeranno, la guerra potrebbe rilanciare la Germania come imperialismo attivo anche militarmente, per quanto in un ruolo ancora subordinato.

    Anche nell'area del Pacifico la tensione evolve pericolosamente, alimentata dalle provocazioni USA (ultima, la visita della Pelosi a Taiwan). La linea del fronte è tracciata tra la costa orientale della Cina e il Giappone a Nord, Formosa e, più a sud, lungo tutto l'arco costiero e insulare che marca le vie marittime di transito tra gli oceani Pacifico e Indiano. Anche il Giappone è in fase di deciso riarmo, e potrebbe avere il via libera dagli Usa a sviluppare l'atomica (se non l'ha già avuto).

    Lo scenario presenta un mondo sull'orlo dello scatenamento di una guerra generale, ma dobbiamo tener presente che lo scontro in atto è effetto della crisi terminale del modo di produzione capitalistico. Se le ricorrenti crisi economiche, con la brutale svalorizzazione di capitale fisso, licenziamenti, ecc., creano le premesse per la ripresa su basi più avanzate in termini di composizione organica e concentrazione capitalistica, la guerra procede all'opera radicale di distruzione fisica di capitale fisso e forza lavoro eccedente. Ma le crisi economiche oggi sono sempre più potenti e prolungate, tanto che il mondo capitalistico non si è ancora ripreso dagli effetti della Grande Crisi del 2008-2009 e affronta una durevole stagnazione. Quanto alla guerra, essa esprime nei sistemi d'arma il livello raggiunto dallo sviluppo delle forze produttive, che si traduce in una corrispondente potenza distruttiva. Oggi, una guerra generale, specie se gli schieramenti oppongono capacità militari simmetriche, rappresenta una soluzione troppo rischiosa per tutti. Nonostante le scarse probabilità che qualcuno possa uscirne vincitore sul campo e goderne i vantaggi, questa non è un’eventualità da escludere, vuoi perché non si può certo contare sulla sanità mentale delle classi dirigenti di un sistema in decadenza, vuoi per la forza incontrollabile che le vicende belliche acquistano una volta messe in moto. Se ciò, com'è da augurarsi, non accadrà, è verosimile l'intensificarsi di quella guerra permanente in atto ormai dalla caduta dell'URSS, in cui, accanto alle iniziative militari e alla esibizione di armamenti sempre più potenti e sofisticati, svolgono un ruolo sempre più importante le sanzioni economiche, il confronto tra le monete, gli attacchi cibernetici, la guerra dell'informazione, il controllo totalitario dello Stato sulle popolazioni. Se non sarà guerra generale in senso classico, la guerra che si profila si estenderà a tutti gli aspetti della vita sociale, coinvolgerà pesantemente la popolazione civile: sarà pertanto una guerra totale, essenzialmente politica, fortemente ideologica (11) e destinata a durare. Le politiche emergenziali adottate durante la pandemia Covid-19 possono essere viste come modello sperimentale in scala assai ridotta di che cosa potrebbe comportare una simile guerra per le popolazioni civili in termini di controllo sociale, condizionamento, repressione, restrizioni e razionamenti. Il fronte interno assumerà un ruolo decisivo, sarà il terreno in cui riprenderà vigore la lotta di classe:

    “Se la guerra trova la sua base di partenza nella sconfitta della classe operaia, se le imprese dell'imperialismo trovano la strada segnata dalla parabola discendente della rivoluzione internazionale, nella sua dinamica sono contenute le ragioni della ripresa rivoluzionaria del proletariato. La bomba atomica potrà essere o non essere usata dall'imperialismo, come strumento tecnico di guerra; quella che l'imperialismo non potrà evitare di tirarsi addosso, per quanto grande possa apparire e sia oggi la sua strapotenza, è l'atomica della rivoluzione internazionale ed internazionalista della classe operaia.”
    (“Corea è il mondo”, Prometeo, n.1, 1950).

    Nulla di nuovo. La guerra è connaturata al capitalismo, inestirpabile come la lotta di classe, anche se per lunghi periodi essa covante sottotraccia, sopita da transitorie condizioni di illusoria pace sociale. Se il Capitale si dispone stabilmente alla guerra e persegue l'accumulo di violenza dei suoi arsenali, è perché sa che prima o poi dovrà affrontare il suo nemico storico. Riportiamo ancora da “Corea è il mondo”:

    “Su scala mondiale la più violenta forza di espansione e di aggressione, poco importa se tradotta in armi o in dollari o in scatolette di carne conservata, è quella che cova nelle viscere del gigantesco apparato produttivo degli Stati Uniti”.

    Vale ancora questo primato? Gli Stati Uniti si muovono per riaffermare il ruolo di gendarme del mondo, ma oggi l'esibizione di potenza e arroganza che traspare dalla loro azione internazionale, militare e diplomatica, non ha l'efficacia di un tempo. Il ridimensionamento del loro ruolo mondiale, la rinuncia a essere il perno dell'integrazione capitalistica mondiale, all'“esorbitante privilegio” del dollaro, potrebbe portarli a una crisi interna senza precedenti, di cui si vedono già alcuni segni. Non potendo fermare il processo di integrazione eurasiatica, gli Stati Uniti si arroccano arruolando i Paesi-chiave della Nato e i più stretti alleati del Pacifico (Giappone, Australia, Nuova Zelanda), ma l'atteggiamento aggressivo e provocatorio cela l'incapacità di piegare gli avversari alla sua volontà con la sola forza di chi tiene saldo il primato.

    La reazione mondiale all'invasione russa dell'Ucraina non è stata affatto nel segno della condanna unanime e dell'adesione alle sanzioni. Nel contesto internazionale, non è la Russia ad essere isolata, ma sono piuttosto gli Stati Uniti e i loro vassalli occidentali con le loro pretese sanzionatorie e il loro atteggiamento guerrafondaio. Gran parte del “Sud” del mondo è contraria alle sanzioni, persegue una politica di pacificazione, non è disposta a seguire servilmente il vecchio capobastone. Guardiamo con grande interesse alle difficoltà in cui si dibatte il colosso americano, che se rimane superdotato in armi e in dollari, non lo è più nel gigantesco apparato produttivo, in buona parte smantellato per ricavare più alti tassi di profitto all'estero, e non più in grado di sostenere nel lungo periodo né le armi né il dollaro. Lo spasmodico attivismo americano ha questa base oggettiva maturata nel processo di sviluppo del capitalismo mondiale dalla crisi degli anni Settanta, e all'origine delle gravi difficoltà attuali. Non è solo la Russia a rischiare la sopravvivenza, ma anche e forse ancor più l'America.

    Siamo ben lontani dal ritenere un'alternativa auspicabile e possibile il mondo di rispettosa cooperazione tra stati sovrani, votati alla crescita comune, prospettato dagli ideologi del nuovo multipolarismo, dalla visione eurasiatica di Putin e dai “pacifici” progetti cinesi. (12) A essere in crisi non sono soltanto gli Stati Uniti, ma l'intero assetto che ha garantito finora la tenuta del capitalismo mondiale, e credere che ad esso possa succedere una pacifica cooperazione tra Stati è, finché vivrà il capitalismo, una pia illusione.

    Con la crisi della leadership statunitense l'ordine capitalistico mondiale è andato in stallo. All'orizzonte si profila un nuovo scossone finanziario che potrebbe preludere a una nuova pesante recessione mondiale, mentre si moltiplicano le aree dove divampano proteste di massa contro gli effetti già visibili della crisi economica. Sono tutti segni di un cambio di scenario, da lungo tempo atteso, che si delinea nel procedere della crisi storica del capitalismo ultramaturo e per lo sgretolamento delle condizioni che stanno a fondamento della supremazia americana.

    La partita tra i nascenti blocchi imperialisti è tutta da giocare, nessun esito è scontato. Ma la soluzione più auspicabile rimane la stessa che la nostra corrente indicava nel lontano 1950:

    “Questo partito [del proletariato rivoluzionario. Ndr.], nella seconda guerra imperialista 1939-1945, avrebbe dovuto parimenti sostenere la rottura della politica e dell'azione di guerra entro tutti gli stati. Un marxista poteva tuttavia conservare il diritto, senza temere che i soliti libertari lo accusassero di simpatie per un tiranno, di fare calcoli e indagini sulle conseguenze di una vittoria di Hitler su Londra e di un crollo inglese. Questo stesso marxista conserverà il diritto, pur dimostrando che il regime di Stalin non è, almeno da venti anni, regime proletario [quello di Putin non richiede alcuna dimostrazione! NdR], di considerare le utili conseguenze rivoluzionarie che avrebbe il crollo – disgraziatamente improbabile – della potenza americana, in una eventuale terza guerra degli stati e degli eserciti”.
    (“Romanzo della guerra santa”, in Battaglia Comunista", n. 13 del 1950, riprodotto in Il proletariato e la guerra, Quaderni del programma comunista, n.3, 1978).

    Possiamo oggi appellarci solo a una “novità”, rispetto al quadro disegnato nell'articolo della serie “Sul filo del tempo”: cioè che l'auspicato crollo dell'allora inarrivabile (e tale per lungo tempo sarebbe stata) potenza americana non sia più così “disgraziatamente improbabile”. Oggi l'attivismo del gigante atlantico può essere letto come sintomo di una crisi mai affrontata prima, all'interno come all'esterno, che apre la possibilità del crollo tanto atteso. Non si tratta né di antiamericanismo ideologico né di concessioni al “terzomondismo”. Nessuna simpatia con la borghesia di qualsivoglia Paese, sempre pronta a schiacciare il proletariato ad ogni suo tentativo di sollevarsi contro l'oppressione e lo sfruttamento; nessuna “fiducia” nella capacità della borghesia di farsi portatrice di interessi “nazionali”, se non nei ristretti limiti dei propri interessi di classe, sempre contrapposti a quelli proletari. Tuttavia, non possiamo che rallegrarci se giungono a maturazione le condizioni perché il vecchio bestione si ritiri finalmente con la coda tra le gambe, a vedersela col proprio proletariato, privato delle briciole della rendita derivante dallo sfruttamento del mondo. Allora si aprirebbero scenari del tutto nuovi e promettenti. A settant'anni di distanza suona ancora attuale la risposta lapidaria di Alfa a Onorio: “la rivoluzione perde il tempo se non fa fuori lo Stato di Washington”.

    Con la guerra in Ucraina, la direttrice storica indicata dall'articolo di Prometeo “Aggressione all'Europa” (1949) riemerge prepotentemente alla luce. Gli Stati Uniti sono passati all'incasso: o con noi o contro di noi, unici garanti della sicurezza militare dell'Occidente e dei principi cardine del mondo libero, ma soprattutto eterni creditori dell'Europa rinata sulle rovine dell'ultima guerra mondiale. L'Europa paga un prezzo esorbitante, ma la posta in gioco è la sopravvivenza del capitalismo. L'assetto unipolare è evidentemente saltato, e “l'aggressione” russa all'Ucraina – la si chiami pure così – ne è la definitiva sanzione.


    NOTE

    1- Per gli epigoni del gruppo Damen, “La traduzione politica dell’assioma ‘tendere al Capitalismo’ doveva poi riapparire, abbandonati i drastici termini della distinzione tra ‘capitalismo n.1 e n.2’, in una forma quanto mai vaga ed ipocrita”, che è quella da noi riportata. Il giudizio fortemente negativo, che ovviamente respingiamo, è esattamente la traduzione politica dalla diversa valutazione dell'evoluzione dell'URSS, che andava verso il capitalismo ed era ben lontana dall'aver raggiunto il livello di sviluppo capitalistico degli USA. Che la tendenza dell'URSS al capitalismo non costituisse un assioma – lo è qualunque tesi non sottoposta a verifica scientifica – lo ha dimostrato con ampia visione storica e documentazione economica lo studio contenuto nella Struttura economica e sociale della Russia d'oggi (Edizioni Il programma comunista, 1976).

    2- “In quegli anni di radicale ristrutturazione ci saranno anche violenti e terminali contraccolpi in Russia che venne sottoposta, sotto la consulenza di Jeffrey Sachs, a una radicale cura neoliberale d’urto. La shock therapy prevedeva misure tali da far perdere il 17% del Pil nel 1991, il 19% nel 92 ed il 11% nel 1993. Alla caduta di Gorbaciov (alla quale l’intelligence Usa potrebbe non essere estranea), Eltsin fece seguire un’immediata riconversione di tutta l’economia che passò in pratica in mani private (o meglio oligarchiche) sulla base dei pressanti “consigli” occidentali. La dollarizzazione dell’economia nazionale fece il resto, si trattò di una vera e propria spoliazione (nel 1998 gli scambi in Russia all’84% erano ormai tenuti in dollari, per effetto della crisi del rublo). Questo è il contesto del Piano Brzezinski [...] un acuto insieme di pressioni e incentivi per circondare completamente la Russia, espandendo la Nato ad Est, integrando l’Ucraina, spingendo sull’indipendentismo ceceno e il fondamentalismo islamico” (A. Visalli, Krisis, reperibile in Sinistrainrete).

    3- Per una ricostruzione storica di come in Ucraina il “banderismo” sia sopravvissuto e sia stato alimentato a scopi di destabilizzazione dai servizi di intelligence americani, si rimanda al seguente articolo reperibile su sinistrainrete: Annie Lacroix-Riz, "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo".

    4- https://www.treccani.it/enciclopedia/la-transizione-nell-economia-russa_%28XXI-Secolo%29/

    5-
    Solo come esempio recente di tali manovre, si legga quanto riportato in I piani americani che hanno indotto Mosca alla guerra, di Davide Gagliano, reperibile in Sinistrainrete del 25 luglio 2022.

    6– Sui piani di saccheggio della nazione ucraina risulta istruttiva la lettura sul blog di M. Roberts dell'articolo “Ukraine, the invasion of capital”. https://thenextrecession.wordpress.com/2022/08/13/ukraine-the-invasion-of-capital/

    7- https://www.treccani.it/enciclopedia/la-russia-e-i-progetti-di-integrazione-eurasiatici_%28Atlante-Geopolitico%29/

    8- https://www.marxist.com/l-imperialismo-oggi-e-il-carattere-di-russia-e-cina.htm

    9- “Ma è solo la Russia l’obiettivo della politica bellica statunitense? Ci pare oltremodo evidente che gli USA, all’interno del campo occidentale, tendano ad indebolire e, se possibile, addirittura a liquidare il progetto europeo a base “renana” che, in termini molto generali, possiamo considerare fondato su un approvvigionamento energetico a basso costo e un modello industriale deflattivo. Con il corollario di liquidare ogni duratura possibilità di integrazione tra manifattura e finanza europea ed energia, materie prime, tecnologia e grandi mercati russo e cinese. E di bloccare ogni espansione e radicamento della manifattura tedesca e italiana nei mercati russo, cinese e ‘degli altri’”, Raffaele Picarelli, ”Guerra in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale”, https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/23364-raffaele-picarelli-guerra-in-ucraina-e-nuovo-ordine-mondiale.html.
    10- Anche dall'evidente assenza di una classe politica degna dell'attributo nazionale trovano alimento le varie spinte sovraniste. L'illusione dei sovranisti da vario segno si vanifica nel quadro dell'imperialismo mondiale dove non c'è spazio per le autonome patrie, ma solo per i grandi raggruppamenti di potenza ai quali le singole nazioni – comprese alcune di non poco peso – devono subordinarsi per amore o per forza. Forse l'aver appreso questa lezione ha avuto un ruolo nella poco sofferta conversione del fu sovranista antieuro “Giggino”, passato da venditore di bibite a Gran Ministro, il quale l'ha motivata con la raggiunta consapevolezza che ci sono delle cose che si possono fare e altre che non si possono fare. Quelle che non si possono fare, precisiamo noi, sono quelle che dispiacciono ai padroni. E così, fattosi uomo, il Nostro ha dimostrato di aver compreso la differenza tra valore e prezzo e ha preferito decisamente il secondo.
    11- Gli esempi di guerra ideologica già in corso sono numerosissimi. Sulla guerra ideologica occidentale che contrappone goffamente democrazia a autocrazia russa intenzionata a “soggiogare” l'Europa non è il caso di soffermarsi. Da parte russa rimandiamo a un articolo il cui titolo dice tutto: “Questa è la nostra rivoluzione d'Ottobre”, di Vitalij Tret’jakov, in Limes, La fine della pace, n.5/2022. Ne riportiamo la conclusione:“Concludo il mio articolo con un'affermazione che non dimosterò, ma sulla quale invito a riflettere coloro che sono disposti a riconoscere anche le opinioni divergenti dalle proprie. Gli eventi del febbraio e del marzo 2022 sono paragonabili nella loro importanza storica e nelle loro ripercussioni globali [sic!] a ciò che accadde in Russia nell’ottobre 1917, ossia a quella che io chiamo ancora la Grande rivoluzione socialista d’Ottobre. Qui non si tratta di socialismo, ma del fatto che nel febbraio 2022 la Russia, proprio come nel 1917, si è liberata dal controllo politico, economico, ideologico e, cosa molto importante, psicologico dell’Occidente. In questo momento storico, si tratta dell’«ultima e decisiva battaglia» (parole tratte dall’inno russo dell’Internazionale) per la Russia. La vittoria della Russia è attesa non solo da milioni di suoi cittadini, ma anche da decine di paesi (segretamente, anche da molti europei). L’egemonia globale degli Stati Uniti ha subìto un colpo poderoso. Il colosso sulle gambe di dollaro lo ha capito. Ecco perché è furioso. Ma crollerà. Perderà. Se ora non mi credete, ricordate almeno questa mia dichiarazione. Tra qualche anno, vedrete voi stessi che era tutto vero.” Ora, se è vero, com'è vero, che qui il socialismo non c'entra, allora il richiamo all'Ottobre è solo retorica nazionalista. Per il resto, pur condividendo l'auspicio, ci guardiamo bene dall'affidarci ai gloriosi destini di Santa Madre Russia!
    12- https://www.treccani.it/enciclopedia/la-russia-e-i-progetti-di-integrazione-eurasiatici_%28Atlante-Geopolitico%29/

    Partito comunista internazionale
    (il programma comunista – kommunistisches programm – the internationalist – cahiers internationalistes)

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