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Eric Hobsbawm

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LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL’”ISTRUZIONE E MERITO”

(12 Novembre 2022)

Claude-Adrien Helvétius

Claude-Adrien Helvétius

Caro Ministro, Prof. Giuseppe Valditara,

pur consapevoli delle limitate possibilità di diffusione che avrà questa nostra “lettera aperta” rispetto a quelle di una circolare ministeriale, da marxisti accogliamo il Suo invito a “riflettere e discutere” sul comunismo, dando per scontato che per Lei la riflessione non debba impegnare esclusivamente gli studenti e che la discussione non debba rimanere confinata nelle aule scolastiche.

Il contenuto della Sua missiva indirizzata agli studenti delle scuole italiane ha suscitato meraviglia, sconcerto e numerose reazioni di disappunto nel variegato ambito della “sinistra”. Qualcuno si è sentito persino in dovere di rievocare il “minculpop” per esprimere il proprio dissenso da un’aperta presa di posizione politica da parte di un importante rappresentante delle istituzioni.

Noi, per contro, non siamo né meravigliati né sconcertati, né del merito né del metodo.

Di fronte a quella che si configura come una sostanzialmente assoluta continuità delle politiche dell’attuale “governo della discontinuità” con quelle dei precedenti governi, in materia di attacco alle condizioni di esistenza dei lavoratori, di repressione legislativa degli spazi di protesta sociale e per quanto concerne la proiezione estera degli interessi della borghesia nazionale, l’esigenza di manifestare una certa alterità è costretta a concentrarsi sugli accenti, sulle sfumature, sulle pose.

Ecco allora che, conclusasi la parentesi pandemica, torna il “pericolo” dell’“invasione” dei migranti, affrontato nel concreto con la stessa “sensibilità” dei governi precedenti ma con un diverso battage pubblicitario; si sventolano con maggiore vigore i colori nazionali senza prendere “lezioni da nessuno”, e si stemperano le rituali condanne del fascismo – solo di quello che “nasce” nel 1938, s’intende – con una buona dose di sano e liberatorio anticomunismo.

Ci verrebbe persino da ridere nel vedere un’opposizione di “sinistra”, che da anni ha rinnegato il proprio “falso” comunismo e che non può certo condannare le politiche sul lavoro e sull’immigrazione dell’attuale governo – dal momento che differiscono dalle sue soltanto in quanto affermate apertis verbis –, privata di qualsiasi argomento da contrapporre all’esecutivo. Ci verrebbe da ridere se in questo gioco delle parti in cui l’“antagonista” è rimasto comicamente senza copione, il finale fosse meno drammatico. Purtroppo non lo è, e gli spettatori paganti pagano un biglietto sempre più salato.

La Sua circolare, egregio Ministro, rientra a pieno titolo tra le trovate sceniche di chi deve approfittare quanto possibile delle luci della ribalta.

Ad ogni modo, per chi si sforzi di intendere correttamente il marxismo non può far meraviglia che un rappresentante dello Stato della classe dominante esprima apertamente la propria avversione nei confronti di una teoria sociale e di una prassi politica che riconosce la transitorietà dell’attuale sistema socio-economico e che si prefigga di coadiuvarne il necessario tramonto storico. Da marxisti lo riteniamo non soltanto legittimo ma pienamente giustificato.

Perché dovremmo indignarci? Noi non abbiamo mai creduto che lo Stato sia un’entità posta al di sopra del conflitto sociale che vede contrapposto il proletariato, la classe dominata, al capitalismo e ai suoi funzionari e rappresentanti. Al contrario, riteniamo che lo Stato si definisca precisamente come il principale “strumento” di difesa degli attuali rapporti di dominio e del privilegio sociale; quello che nella vostra lingua, signor Ministro, viene definito con la parola recentemente accostata alla definizione del suo ministero.

Detto con molta franchezza, ci saremmo potuti indignare se nella circolare di un ministero, un organo dello Stato borghese, l’accostamento del comunismo ai diversi regimi che ancora oggi ad esso abusivamente si richiamano fosse stato accompagnato da sperticati elogi del comunismo stesso. In quel caso avremmo dovuto impegnarci a fondo nel demistificare una menzogna che tanto danno ha causato e continua a causare alla classe operaia internazionale.

Vede, Ministro, i marxisti autentici, con i quali Lei probabilmente non ha mai avuto a che fare, sono tra i pochissimi all’interno di questa società a non provare alcun tipo di imbarazzo nel confrontarsi con la storia. Sicuramente molto meno di liberali, democratici, nazionalisti o ex-fascisti, costretti ad una faticosa esistenza politica fatta di “prese di distanza” da mali sempre molto relativamente “assoluti” o di simpatie “mai provate”. È in virtù di questa serenità che non abbiamo nessuna difficoltà a respingere al mittente gli accostamenti del comunismo alle economie capitalistico-statali, alcune persino assurte al rango di grande potenza. Non sono gli operai e nemmeno i marxisti a fare affari con la Repubblica Popolare cinese, signor Ministro, e se ritiene che i milioni di miliardi dei grandi gruppi economici di tutto il mondo (Italia compresa) che impiegano la manodopera sottopagata delle fabbriche-lager cinesi, siano stati investiti con leggerezza – magari perché sbadatamente non si è fatto troppo caso al fatto che all’incirca dal 1949 la Cina si definisce “comunista” – dovrebbe essere sua ansiosa premura mettere sull’avviso gli innumerevoli investitori del “mondo libero”, e in primis quelli della sua stessa “patria”, dei grandi rischi che corrono. Si affretti, signor Ministro, faccia presto! Prima che il “paradiso in terra” degli extra-profitti per Ansaldo, Ferrari, Selex, Ermenegildo Zegna, Maserati, Prada, Benetti, Ferrero, Geox, Campari, Beghelli, Clementoni, Costa, Valentino, De Longhi, Dolce & Gabbana, Ariston, eccetera, eccetera, eccetera, si trasformi in “persecuzioni, povertà, morte” per qualcuno di diverso dagli operai e dalle operaie cinesi che già ne beneficiano; sia sollecito, prima che il “sogno” – molto concreto per gli investitori – dei salari da fame e dei disumani ritmi di lavoro cinesi si trasformi nell’“incubo” di un esproprio collettivista da parte dello Stato cinese… a scoppio ritardato di 73 anni.

Con Lei, signor Ministro, possiamo parlare francamente, a viso aperto. A Lei non dobbiamo certo dimostrare che in URSS, in Cina, a Cuba, in Vietnam, in Corea del Nord ecc., non c’è e non c’è mai stato comunismo. In primis perché probabilmente lo sa meglio di noi, considerando gli specifici interessi di classe che esprime, ed è sempre vero l’adagio che vuole che tra simili ci si riconosca; in secondo luogo, perché se anche dovesse riconoscere apertamente questa realtà, il suo rifiuto del comunismo e di tutto ciò che esso rappresenta non sarebbe meno netto, in quanto ciò che Lei respinge del comunismo è esattamente il suo contenuto reale, l’idea stessa di trasformazione sociale.

Per questo invece di indignarci della Sua circolare ne raccogliamo l’esortazione alla riflessione ed alla discussione. Perché possiamo finalmente discutere di cosa rappresenta effettivamente il comunismo per la classe dominante e perché ci è fornita un’occasione per confrontarci con le Sue banali e grossolane argomentazioni – non si offenda Ministro, gli intellettuali della classe a cui appartiene non sono stati in grado di fornirgliene di molto migliori, in più di un secolo e mezzo di attacchi contro il marxismo.

In fondo, il refrain è sempre poco originale: il comunismo nasce – bontà sua, signor Ministro – come una “grande utopia” la cui “realizzazione concreta” dà vita a “regimi tirannici e spietati”. In sostanza, se abbiamo ben compreso, il comunismo è un’utopia, dunque in quanto tale irrealizzabile, che avrebbe dimostrato la propria irrealizzabilità… realizzandosi. Qualcosa non torna. Ma La togliamo subito dall’impasse costituito da questo paradosso, signor Ministro. Lei forse intendeva dire che i tentativi rivoluzionari di realizzare il comunismo sono stati sconfitti e che queste sconfitte sono costate molto care in termini di vite umane. Con questa formulazione possiamo convenire, a patto di fare alcune precisazioni: la prima è che i regimi di cui Lei parla sono precisamente il risultato di rivoluzioni sconfitte, di rivoluzioni proletarie tendenti al superamento degli attuali rapporti capitalistici di produzione che, per una serie di circostanze oggettive e soggettive, sono state represse con una violenza inaudita dalle forze di quello stesso “ordine politico e sociale imperfetto” che Lei tanto apprezza nella sua forma “liberaldemocratica”; forze che, nell’esercitare quella che noi marxisti chiamiamo controrivoluzione, hanno usurpato il nome e le insegne di quella rivoluzione che Lei con tanto sdegno respinge. Certo è, che seppure di tentativi falliti si è trattato, non si può pretendere che coloro contro i quali questi tentativi sono stati fatti, e che hanno un intero mondo di privilegi da perdervi, possano anche stabilire imparzialmente un termine massimo oltre il quale chi è costretto dalle proprie condizioni di esistenza a rifiutare questo “ordine politico e sociale imperfetto” debba cessare di provare a rovesciarlo. Sarebbe chiedere un po’ troppo, non crede, signor Ministro?

Ci piacerebbe sapere inoltre, Ministro, quale sia il criterio di misurazione da Lei adottato per stabilire quanto siano «ragionevoli» le «garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile» fornite da quello che Lei definisce l’«unico ordine politico e sociale» in grado di farlo.

Rientrano nel computo del “ragionevole” le centinaia di milioni di morti nelle devastanti guerre del ‘900, motivate da quegli scopi che a Lei risulteranno accettabili ma che a noi risultano “ignobilmente” contrassegnati dalla ricerca capitalistica del profitto? Rientrano nel computo del “ragionevole” le centinaia di milioni di esseri umani morti di miseria, di fame e di malattia a causa di un sistema sociale in grado di produrre molto per tutti ma che non fornisce niente di questo molto a chi non può pagarselo? Rientrano nel computo del “ragionevole” tutti gli esseri umani morti di fatiche, di stenti, di violenze – senza che nemmeno una lapide, una croce di legno o un’iscrizione ne ricordi il nome – mentre migravano alla ricerca di un angolo di pianeta in cui qualcuno fosse disposto a sfruttarli piuttosto che lasciarli inoperosi per rendere più a buon mercato il prezzo degli altri sfruttati?

Siamo molto ansiosi di conoscere i criteri di quantificazione del costo umano del mantenimento del “migliore dei mondi possibili”, dopo che con tanta sollecitudine ci sono stati ricordati i costi dei falliti tentativi di rovesciarlo.

Un’ulteriore precisazione, prof. Valditara, si impone per quanto riguarda la Sua definizione degli scopi del comunismo: “uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette”. Crediamo che qui si sia incorsi in un “equivoco”, certamente non “tragico” ma che in quanto Ministro dell’Istruzione e Merito certamente apprezzerà Le venga fatto notare. Il motto “libertà ed eguaglianza” – seguito da “fraternità”, che Lei ha curiosamente omesso – appartiene alle parole d’ordine della rivoluzione borghese di Francia, mentre la “libertà e la ricerca della felicità” fanno parte del preambolo della Dichiarazione d’indipendenza che diede il via alla rivoluzione borghese in Nordamerica.

La riflessione di Blaise Pascal sull’Uomo che non è “né angelo né bestia” ci trova concordi. Circa un secolo dopo Pascal e qualche decennio prima delle rivoluzioni a cui la “sua” classe, Ministro Valditara, deve tutto e le cui parole d’ordine Lei attribuisce con una certa inesattezza al comunismo, un altro pensatore francese, Claude-Adrien Helvétius affermava: «Gli uomini non nascono né buoni né cattivi, ma pronti a essere l’una cosa o l’altra, secondo che un interesse comune li unisca o li divida». Nel “suo” mondo signor Ministro, un mondo diviso in classi, fatto di sfruttamento, di miseria, di guerra, di alienazione, l’Uomo è condannato ad essere sia angelo che bestia. È costretto a farsi bestia in un mondo in cui non è facile essere angeli o ad essere sbranato come angelo se rifiuta di sbranare, mentre potrebbe accontentarsi o aspirare ad essere nient’altro che umano.

Noi comunisti, Ministro Valditara, non aspiriamo a nessun paradiso. Né in terra né nei cieli. Ci accontenteremmo di «ordinare il mondo empirico in modo che l’uomo, in esso, faccia esperienza di ciò – e prenda l’abitudine a ciò – che è veramente umano, in modo che l’uomo faccia esperienza di sé come uomo»; vorremmo «distruggere gli antisociali luoghi di nascita del delitto, e dare a ciascuno lo spazio sociale per l’estrinsecazione essenziale della sua vita», perché riteniamo che «se l’uomo è plasmato dalle circostanze, è necessario plasmare umanamente le circostanze[1]».

È il vostro mondo ad essere un paradiso terrestre per pochi, mentre è un inferno per molti. Comprendiamo benissimo perché quei pochi sentano la necessità di difendere i sacri confini di quel paradiso; oggi, tra le altre cose, dichiarando periodicamente morto il comunismo, anche con delle circolari ministeriali, domani, immancabilmente, con la spada fiammeggiante dell’arcangelo Michele. Pur comprendendola altrettanto bene, non possiamo però condividere l’illusione che il vostro mondo rappresenti il capolinea della storia, che il vostro dominio possa aspirare all’eternità. È la stessa illusione che coltivarono prima di voi i padroni di schiavi e i signori feudali e che non ha reso il loro dominio più eterno di quanto la chirurgia estetica inganni la senescenza e la morte.

Signor Ministro Valditara, l’unico sistema sociale nei confronti del quale il ventesimo secolo abbia emesso la propria inappellabile condanna è quello di cui Lei rappresenta, insieme a molti altri, il “collegio difensivo”. Il verdetto pronunciato contro il capitalismo è di «definitivo fallimento» e fra i capi d’accusa sono presenti anche l’«annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte», commessi in abiti liberaldemocratici, stalinisti e fascisti. La sentenza non è stata ancora eseguita, ma non conteremmo troppo sulla clemenza di una giuria composta dagli sfruttati di tutto il mondo.



NOTE


[1] K. Marx – F. Engels, La sacra famiglia, 1844, Opere complete, Editori Riuniti, Roma, 1972, vol. IV, p. 145.

Circolo internazionalista “coalizione operaia” – Prospettiva Marxista

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