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(20 Giugno 2011) Enzo Apicella
Il destino del governo Berlusconi è nella mani della Lega Nord

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Le «camicie verdi», paravento di poltrone e affari

Roberto Maroni: il giovane Bobo militava nel Movimento studentesco varesino

(24 Novembre 2022)

Gian Antonio Stella, nel volume «Dio Po. Gli uomini che fecero la Padania» del 1996, scrive che il Maroni studente al liceo classico Cairoli di Varese si forma intellettualmente con un professore marxista, Cesare Revelli, legge il Manifesto, partecipa alle contestazioni del Movimento studentesco varesino, si fa crescere i capelli alla Jimi Hendrix.

dio po

Un passato che Maroni non ha mai rinnegato, anzi. Da ministro dell’Interno del primo Governo Berlusconi, nel 1994, Bobo scrive la postfazione del libro di Giovanna Pajetta del Manifesto «Il grande camaleonte» in cui liscia un po’ il pelo alla “sinistra”: ricorda l’eskimo sessantottino che ancora tiene romanticamente nell’armadio, rivendica di aver conquistato il Viminale in qualche modo sulla scia della battaglie giovanili («volevamo scardinare il regime e per prima cosa abbattere il sistema fondato sulla Dc e su Psi») e conclude: «Ho mantenuto la coerenza di chi vuole fare la rivoluzione».
L’ex ministro dell’Interno (del disordine) e del lavoro (schiavistico) ci ha lasciato e non ne sentiremo certamente la sua mancanza. Nel 2012 si prese la guida della Lega, ma durò solo un anno. Il rapporto stretto di una vita con Bossi, fino alla «notte delle scope» in cui gli dà il benservito. La «notte dei lunghi coltelli»...

Giornale e murale storico di classe diffuso e affisso in prov. di Varese nella primavera del 2012 di RIVOLUZIONE COMUNISTA.

Il tonfo della «Lega Nord»
Le «camicie verdi» paravento di poltrone e affari.


Il «Carroccio» ha cavalcato il delirio di sicurezza e la xenofobia per acquisire posti di potere e soldi pubblici. L’arricchimento personale, perseguito con ogni mezzo, passione assoluta di tutti i politicanti di regime. Il processo ai caporioni del «Carroccio» deve essere fatto dagli operai che ne sono stati strumentalizzati.
Stralcio:
Famiglia capitale lavoro, il trinomio subalterno delle piccole e medie imprese bisognose di protezione.

La «Lega» nasce col nome di «Lega lombarda» nel 1984 mediante il deposito presso un notaio dell’atto costitutivo. Per 18 anni fino al 5 aprile scorso essa ha avuto come capo indiscusso Umberto Bossi. Nei suoi primi passi il piccolo gruppo raccoglie consensi a Varese e Gallarate. Bossi predica la triade: famiglia capitale lavoro. E nel 1987 diventa senatore. Due anni dopo egli trasforma la Lega lombarda» in «Lega Nord» col progetto di inglobare la «Liga Veneta». Inventa il mito della «Padania», attacca il centralismo, bolla la capitale come «Roma ladrona» e giunge a minacciare la secessione. Tutti questi sbandieramenti federalisti sono per il leader lombardo mezzi per acquisire potere. Nel 2001, in un momento di ristrettezza finanziaria dell’organizzazione (dovuta alla crisi della banca «Credieuronord»), stringe un patto di ferro con Berlusconi, materiato da forti interessi personali; e, in pratica, si pone a rimorchio di «Forza Italia»; e successivamente, quando quest’ultima si fonde con «Alleanza Nazionale», del Pdl. E vi resta anche dopo l’ictus del marzo 2004 che lo rende succube solo della cerchia familiare (la quale diviene un centro di affari ora noto come «cerchio magico»). Egli rimane fedele al «patto di Arcore», anche negli ultimi anni in cui la «Lega» procede spaiata alle elezioni. Quindi politicamente essa naufraga col Pdl, di cui è stata per un bel pezzo un’appendice. Vediamo ora le ultime battute di questo squallido tonfo. Invitato a farsi da parte da un vecchio compagno di cordata per mettere al riparo la «Lega» dalle inchieste il 5 aprile, in un «consiglio federale di emergenza», Bossi si dimette da segretario e al suo posto viene costituito fino al congresso un triunvirato formato da Maroni, Calderoli, Dal Lago. Al dimissionario viene però conferita la carica di presidente. In questo «consiglio», che si svolge in via Bellerio, viene nominato nuovo tesoriere, al posto del bruciato Belsito, Stefano Stefani. Da furbacchione, nel dimettersi, Bossi sbofonchia: «Ho sbagliato a fare entrare i miei figli in politica. Se qualcuno ha sbagliato deve pagare. Il cognome non conta. Lascio per proteggere la Lega». La sua uscita di scena, per intanto, è solo per scena. Ritornando infatti l’indomani in via Bellerio egli rispolvera il suo vecchio frasario e afferma «è un complotto di Roma farabutta e ladrona». Difende Maroni dagli attacchi dei fedelissimi dicendo che non è un traditore e che ha solo formato una propria corrente. Invita poi Rosy Mauro a dimettersi da vice-presidente del Senato. Ma queste abili mosse del vecchio leader non frenano la resa dei conti interna. Il 12 aprile, al consiglio federale in cui è convocata la Mauro, la brindisina viene espulsa per volere di Maroni (che pone l’aut aut: o io o lei) non rinunciando alla carica. Nello stesso consiglio viene fissato il Congresso per il 30 giugno. Renzo Bossi viene indotto a lasciare il Consiglio Regionale Lombardo. Giorgetti, segretario lombardo già sfiduciato dalla segreteria, viene messo sotto controllo dai «maroniani»; ed in parte lo stesso Calderoli. La «notte dei lunghi coltelli» è ora in pieno svolgimento. L’ultima mossa di Bossi per limitare i danni è quella di santificare Maroni come «il bene della Lega».
Da questi primi effetti dello squallido tonfo si vede quindi che la «Lega» non c’è più; e che i capi e capetti che invocano pulizia sono immersi fino alle midolla nella politica affare.

Il crollo del «Carroccio» un aspetto della dissoluzione del sistema politico della Seconda Repubblica … leggi tutto dal giornale di R.C. pag. 3 - 5 LINK: https://archive.org/details/rivoluzione_comunista_2012.04-05

CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO

Fonte

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