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(31 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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(Il saccheggio del territorio)

Ex Ilva di Taranto, le motivazioni della sentenza del processo “Ambiente svenduto”

(4 Dicembre 2022)

ex ilva

Il 30 novembre scorso sono uscite le motivazioni con cui la Corte di Appello ha condannato 26 persone (dirigenti e manager dell’ex ILVA di Taranto, politici) nell’ambito del processo “Ambiente svenduto”.
In esse emergono, con agghiaccianti particolari, quanto i comitati della città martire denunciavano da decenni.

Il processo si è occupato della morte di un operaio gruista, Francesco Zaccaria, e la sua storia è emblematica. Egli morì perché bisognava produrre, anche nel bel mezzo di un uragano. Scendere dalla cabina della gru alta 50 metri e risalirvi una volta calmatosi il vento costava troppo. Così, il 28 novembre 2012, mentre l’uragano si abbatteva su Taranto Zaccaria rimase nella cabina. Il suo corpo venne recuperato, ancora nella cabina – strappata dal vento e finita in mare – il 30 novembre, a 30 metri di profondità. Dopo la sua morte le pratiche operative per i gruisti vennero modificate, ma il 10 luglio 2019 un altro operaio, Cosimo Massaro, morì sulla stessa gru dove era morto 7 anni prima Francesco Zaccaria.
Come dissero nel processo i suoi compagni di lavoro, “bisognava produrre, non si poteva perdere tempo”.
E non importa se così si perde la vita.

Già nel 2012 una perizia epidemiologica rilevava numeri spaventosi: 90 morti l’anno, e per quel che riguarda gli operai un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%); in particolare per tumore dello stomaco (+107%), della pleura (+71%), della prostata (+50%) e della vescica (+69%);. tra le malattie non tumorali risultavano in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato presentavano eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%).

Per farla breve, secondo il tribunale a Taranto – durante tutta la gestione Riva - ci fu “razzismo ambientale” in cui “zone economicamente arretrate” vengono individuate “come luoghi dove realizzare grandi impianti industriali, senza che le istituzioni preposte ai controlli esercitino efficacemente le proprie prerogative. E senza alcuna considerazione per la popolazione costretta a vivere in un ambiente gravemente compromesso ed esposta a maggiori rischi per la salute”.
Parole che valgono per molti padroni, non solo i Riva, per moltissimi luoghi di lavoro, non solo per Taranto, ieri come oggi.

Sorvoliamo sui soldi presi da tutte le istituzioni, dai partiti e dai sindacati per tacere e accettare lo sfruttamento selvaggio della carne da macello.

Vogliamo solo ricordare quanto scrivevamo anni fa.
“Delegare il posto di lavoro e la salute al sindacato, alle istituzioni e al padrone, è il modo migliore per perderli. La difesa del posto di lavoro e della salute si realizza solo nella critica all’organizzazione capitalistica del lavoro, quando gli operai manifestano la loro autonomia di classe concretizzandola con scioperi contro il padrone e i dirigenti responsabili della brutalità delle condizioni di lavoro nocive.
Delegare al padrone e agli istituti specializzati il controllo della nocività e dell’inquinamento ambientale sul lavoro e sul territorio è come legarsi al collo una corda sperando nella buona fede del boia che l’ha in mano” (Michele Michelino, 22 agosto 2018).

A condizioni di morte non si lavora.

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto S.Giovanni

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