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Morto un papa ne rimane un altro

La continuità di una monarchia assoluta, da Ratzinger a Francesco

(5 Gennaio 2023)

ratzinger pastore 2

La retorica a reti unificate in occasione della morte del Papa emerito ha pervaso anche gli ambienti liberali e laici, persino quelli che a suo tempo avevano criticato il “pastore tedesco”, mentre i gruppi dirigenti della sinistra cosiddetta radicale manifestano la preoccupazione di un indebolimento del papa attuale, da cui da tempo sono stati sedotti. L'unica sinistra rimasta senza papa è la sinistra rivoluzionaria.

Ai tanti liberalprogressisti che piangono Ratzinger sarà bene ricordare chi era Ratzinger. Ex guida del Sant'Uffizio divenuto papa, Ratzinger è stato il guardiano della tradizione cattolica più reazionaria contro ogni soffio di modernità e contro le confessioni religiose concorrenti, al punto da lodare nel 2006 l'imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo che aveva denunciato l'Islam come malvagio e inumano. Ratzinger fu il Papa del ritorno alla tradizione preconciliare, della riconciliazione con la corrente ultrareazionaria lefebvriana, del ritorno della messa in latino, della condanna dei cosiddetti teologi della liberazione in America Latina, del massimo centralismo romano contro ogni tendenza autonoma delle conferenze episcopali. Fu il papa che denunciò il 1968 come trionfo della dittatura del relativismo contro cui ergere il Verbo assoluto delle verità della Chiesa, e che condannò l'omosessualità quale perversione diabolica contro la natura creata da Dio.

Le sue dimissioni in compenso non furono dettate da Dio ma da fattori terribilmente terreni: lo scandalo ingovernabile della pedofilia del clero a tutte le latitudini del pianeta lungo l'intero arco del dopoguerra, e l'autentica guerra per bande che investì il Vaticano in ordine agli affari immobiliari e al controllo del suo potere finanziario.
Il combinato dei due fattori costrinse Ratzinger alla resa e spianò la strada al nuovo papa Bergoglio, rapidamente verniciato come papa progressista in contrasto col papato precedente.

In realtà papa Francesco ha cercato di elevare il suo pontificato al di sopra dello scontro interno fra le cordate vaticane, attraverso una propria relazione diretta col popolo dei fedeli capace di scavalcare le gerarchie. E ha usato la forza così ricavata quale leva negoziale all'interno dello stesso apparato ecclesiastico nel rapporto coi diversi interessi e pressioni che lo attraversano. In un certo senso un papato bonapartista e “populista” che ha messo a frutto la scuola peronista di Bergoglio vescovo di Buenos Aires. Di certo il contrasto con la gelida ortodossia dottrinaria di Ratzinger ha contribuito a conferire a Francesco un'immagine di papa dal volto umano e “vicino agli umili”.

Ma come la postura populista di un governante borghese non cambia la natura dello Stato che questi amministra, così l'immagine di un papa umano dal profilo social-popolare non cambia di una virgola la natura reazionaria della teocrazia vaticana, una monarchia millenaria retta da un sovrano assoluto in abito bianco, a capo di un gigantesco patrimonio immobiliare, azionario, finanziario su scala planetaria. Una componente organica del capitalismo internazionale. In Italia la principale concentrazione di proprietà terriera e immobiliare, per di più assistita ovunque da ingenti risorse pubbliche pagate dai salariati: esenzioni fiscali, donazioni, prebende. Un potere protetto dal Concordato, con i relativi privilegi clericali nella scuola, nella sanità, nell'amministrazione pubblica, nell'esercito, nell'apparato giudiziario, in ogni ambito della vita pubblica.

Capita così che il cosiddetto papa progressista non solo difenda, e ripetutamente, i confini invalicabili della dottrina cattolica di Stato (vaticano), con l'esclusione ad esempio del sacerdozio femminile e la difesa del principio della (improbabile) castità dei preti, ma rivendichi la figura del papa precedente nel nome della comune difesa della Patria (clericale). Basta leggere l'encomio di Francesco nella introduzione dell'antologia Dio è sempre nuovo di Ratzinger, dove presenta quest'ultimo addirittura come papa del dialogo e del confronto «nel suo incontro con Gesù Cristo, il Vivente, il Logos incarnato, la rivelazione piena e definitiva di Dio, che in Lui si manifesta Amore fino alla fine». E via discorrendo, in un delirio retorico imbarazzante.

In realtà Francesco teme che la morte di Ratzinger possa liberare un'offensiva ostile della parte clericale a lui avversa, e per questo si premura di intestarsi l'eredità del predecessore. Un modo di bruciare l'erba sotto i piedi di chi vorrebbe liquidarlo. Ma certo la rivendicazione della continuità istituzionale con Ratzinger da parte di Francesco è il tributo obbligato alla monarchia assoluta vaticana che Francesco gestisce. È la difesa della continuità dello Stato. Le sinistre cosiddette radicali che ogni giorno esaltano papa Francesco sono smentite una volta di più dal sommo sacerdote che esse venerano.

Quanto a noi, da comunisti e rivoluzionari, non abbiamo santi in Vaticano, né vecchi né nuovi, ma un capitalismo clericale da rovesciare assieme alla società borghese di cui è baluardo, e all'oppressione patriarcale che si porta dietro.

Partito Comunista dei Lavoratori

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