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(3 Aprile 2010) Enzo Apicella
Il Ministro della Giustizia Alfano dichiara che entro giugno verrà approvata la nuova legge sulle intercettazioni

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Lo cercavano, lo cercavano, lo cercavano senza tregua, ovunque: due note sulla “cattura” di un boss della mafia, e 12 tesi su criminalità organizzata, capitale e stato

(20 Gennaio 2023)

la farsa

Evento nazionale. Di più, internazionale. Celebrato sulla stampa di tutto il mondo (occidentale, che – in tanti lo dimenticano – non è affatto il mondo, lo è sempre meno). Congratulazioni alla Meloni fioccano da ogni parte, a cominciare dalla Metsola, presidente del parlamento europeo, noto covo di malaffare dal quale allontanare i riflettori.

Che colpo storico. Che professionalità. Che miracolo investigativo. Quando si dice un apparato di stato integro e irriducibile nella caccia ai suoi “nemici” mafiosi! Chiamato in causa anche il Beato Livatino, chi sa che non sia stato lui ad intercedere con il Padreterno. Quando si è davanti a simili miracoli, nulla va escluso.

Lo avevano cercato ovunque per decenni, notte e giorno, feriali e festivi, senza tregua, l’inafferrabile, la primula nera, il boss dei boss, il tutore di “tutti i segreti” della mafia (e dello stato). L’avevano cercato ovunque salvo che a casa sua, o nelle vicinanze di casa. Sputato identico al caso-Riina, anche lui braccato furiosamente nei cinque continenti e nel circuito satellitare per 23 anni, poca roba rispetto ai 38 di tranquilla latitanza del suo sodale Provenzano…

Lo sceneggiatore, però, non è stato all’altezza del mirabolante evento storico-mondiale. Trasmettere in tv l’arresto (rigorosamente senza manette) di un “criminale stragista” alla testa di un’armata di picciotti Capaci di far saltare per aria alti funzionari dello stato iperprotetti, senza dover sventrare bunker segreti a prova di atomica, senza sparatorie, senza alcuna resistenza da parte del candidato al 41 bis, come se si trattasse di un’appuntamento tra conoscenti piuttosto amici, ha lasciato intendere anche a spettatori sprovveduti che la “cattura” del Messina Denaro non è stata altro che una consegna da parte dei nuovi padrini nel quadro di una nuova intesa con gli apparati statali. Oppure un’auto-consegna per godersi la meritata pensione, mettendosi anche al sicuro da eventuali regolamenti di conti interni al suo onorevolissimo ambiente. Comunque sia, questa “cattura”-farsa non può essere che il frutto di una trattativa con lo stato, tra finti nemici solo concorrenti, in vista di superiori interessi comuni alla conduzione con polso fermo della guerra e dell’economia di guerra che incombono su tutti i settori della classe borghese. Del resto, Messina Denaro, nomen omen, il destino è già scritto nel nome, essendo la mafia null’altro che una banda di famelici accumulatori di denaro – come potrebbe essere davvero nemica dello Stato del Denaro, e viceversa?

Molto indicativo che la Meloni si sia precipitata a dichiarare just in time: “non c’è stata nessuna trattativa”. Lo stesso spergiuro ripetuto sulle colonne del Corriere dal ministro Piantedosi (per gente di questa risma lo spergiuro è un gargarismo). Fatto sta che, nello stesso giorno (18 gennaio), l’editorialista del Corriere Antonio Polito si è lasciato andare ad un’amara riflessione su un dato di realtà della massima importanza: “in ampi settori dell’opinione pubblica si è diffuso, al posto del dubbio, un pregiudizio di sfiducia sistematica nei confronti dello Stato e dei suoi apparati. Che ha trasformato spesso l’ansia di verità in presunzione di menzogna“. Ben detto. E molto interessante, per niente amaro, per noi che vediamo in questo stato lo stato del capitale, legale o mafioso che sia, che implacabilmente, senza tregua, notte e giorno, feriali e festivi, questa volta per davvero, non è una farsa, vigila nei luoghi pubblici e nel privato, con le sue decine di milioni di occhi elettronici, sui lavoratori e sulle lavoratrici affinché non abbiano a sgarrare né tanto né poco verso le leggi scritte e non scritte del Supremo. Polito fa soltanto finta di giustificare quello che spregiativamente definisce “pregiudizio”, ma la “sfiducia sistematica nei confronti dello Stato e dei suoi apparati” è una delle attitudini più giudiziose che siano in circolazione date le infinite “trame oscure” e “false verità” della storia repubblicana.

Scambio? trattativa? Di indizi ce ne sono parecchi. L’assicurazione che il ponte sullo Stretto si farà. Le miliardate di euro del PNRR. La cointeressenza nelle forniture belliche. I regali fiscali per tutte le stazze d’impresa (i boss mafiosi sono titolari di molteplici imprese). Il programma di “riforma della giustizia” di Nordio. E perché no? Soffermiamoci solo su quest’ultimo utilizzando un intervento pregevole del senatore 5 stelle Scarpinato che, da uomo delle istituzioni borghesi, finisce inevitabilmente con il ruzzolare in un elogio della magistratura e della polizia (posizione che è agli antipodi della nostra), ma mette bene in luce la natura organicamente classista, e favorevole alla mafia, del programma di “riforme” della giustizia di Nordio, “forte con i deboli, debole con i forti” (dove collocate i capi mafiosi?). Un programma da realizzare in due tappe. In una prima fase approvare una serie di leggi ordinarie volte all’unico comun denominatore di “garantire l’impunità degli appartenenti alle “classi superiori”, “ridimensionando o depenalizzando i reati dei colletti bianchi” a protezione del “mondo dell’economia, della politica, dell’alta finanza”. In un secondo momento, abbattere l’obbligatorietà dell’azione penale così da blindare a priori questi settori privilegiati della società da qualsiasi rischio. Quanto invece alla “giustizia” verso le classi subalterne, dice tutto – sostiene Scarpinato – l’introduzione di autorità, per decreto legge n. 162/2022, del nuovo reato dell’art. 434 bis del codice penale (contro i cosiddetti rave, reato + rave), esempio di legislazione “anti-garantista, illiberale, classista”, che prevedeva pene severissime per gli organizzatori e i partecipanti a manifestazioni non autorizzate con una “artiglieria giuridica impressionante”, analoga a quella esistente contro la criminalità organizzata – esempio di “legislazione di stampo neo-fascista”, “formidabile strumento di repressione anche contro centinaia di comuni cittadini partecipanti a manifestazioni non autorizzate di dissenso contro le politiche del governo”. All’opposto escludere dall’ergastolo ostativo i reati di associazione per delinquere tipici dei colletti bianchi finalizzati a fatti gravi di corruzione, attaccare in quanto “pletoriche” le intercettazioni per le indagini di mafia e prevedere il taglio dei relativi fondi, abolire d’urgenza o lobotomizzare i reati di abuso d’ufficio e altri reati contro la pubblica amministrazione, il traffico di influenze illecite… Nel suo discorso di insediamento, Draghi provvidenzialmente “dimenticò” l’abituale formula di rito della “lotta alla mafia”; la Meloni ha fatto di meglio, scegliendo il programma di “riforma della giustizia” targato Nordio che viene generosamente incontro a tutte le fondamentali richieste della mafia.

E’ il momento di una pacificazione a tempo indeterminato tra stato e criminalità organizzata. Ben altre guerre sono cominciate o sono in arrivo. E questa pax anti-proletaria è assolutamente necessaria in quell’Italia che i soci della NATO e dell’UE considerano un possibile anello debole della loro catena.

Sul rapporto tra criminalità organizzata, capitale e stato, riprendiamo dal n. 3 della rivista “Il cuneo rosso” (aprile 2019) un testo intitolato “Dodici tesi su capitalismo e criminalità oggi”

Ovvero perché i governi del capitale non possono, né potranno mai fare alcuna seria lotta contro la criminalità organizzata, e cercano di deviare l’attenzione e la rabbia del “pubblico” sulle piccole illegalità. Proprio come fa in modo sempre più scoperto il governo Salvini-Di Maio, che si è rifiutato perfino di essere presente a Padova alla XXIV giornata nazionale in ricordo delle vittime della mafia. A quando l’introduzione del reato di “vilipendio alla criminalità organizzata”?

1. All’alba del ventunesimo secolo, in piena epoca di capitalismo globalizzato, la criminalità è essenzialmente criminalità organizzata a mezzo di grandi imprese transnazionali.

2. La criminalità organizzata costituisce, con l’insieme delle proprie attività (traffico di droghe, di persone, di armi, di organi, industria della prostituzione, della pornografia, della “pedofilia”, traffici di rifiuti tossici, doping sportivo, produzione in nero di merci contraffatte, riciclaggio, ricettazione, estorsioni, usura illegali, etc.) la prima “industria” capitalistica del pianeta, un vero e proprio pilastro del capitalismo globale.

3. Questa industria ha la sua massima corposità, il suo massimo peso e i suoi centri direttivi in Occidente, nei paesi ricchi e dominanti del Nord, non in quelli poveri dominati e controllati del Sud. L’Italia ha in questa industria un ruolo di primissimo piano a scala mondiale, che non ha in nessun altro ramo di attività.

4. Le attività dell’industria della criminalità organizzata non sono una “anti-economia”. Sono, al contrario, specie in Italia, parte integrante dell’economia nazionale, dell’economia globale e della finanza mondiale, di cui le organizzazioni criminali, con la grande disponibilità di capitali liquidi di cui godono, sono un prezioso socio in affari.

5. Le organizzazioni criminali sono essenzialmente imprese capitalistiche, in quanto il loro primo e ultimo scopo è l’accumulazione di capitali.

6. La criminalità organizzata, l’industria e la finanza che fanno capo ad essa sono fenomeni universali. Non hanno nulla di “etnico”. Nate in Occidente, si stanno espandendo ovunque se ne creino le condizioni favorevoli, sia per mezzo del processo di delocalizzazione, sia per impulso accumulativo “locale”.

7. Le organizzazioni criminali non sono un “anti-stato” che minaccia gli stati esistenti; sono invece intrecciate con gli stati capitalistici, dall’alto in basso, dal basso in alto, in modo tale da essere da loro inseparabili. Il che non toglie, come per ogni altra frazione del capitale, che ci possano essere, e ci sono, conflitti parziali con altri rami del capitale o delle istituzioni, e con questa o quella politica di questo o quel governo.

8. Le imprese criminali svolgono attività ad altissimo tasso di profitto. E costituiscono, nel loro insieme, una controtendenza alla caduta tendenziale del saggio di profitto, in quanto specializzate in affari ad alta redditività. Ciò spiega anche perché la concorrenza tra loro ricorra a metodi brutali (sebbene in Italia, da tempo, preferiscano la corruzione e gli accordi di non belligeranza agli omicidi).

9. Le imprese criminali sono profondamente radicate nel tessuto sociale delle società capitalistiche più ricche in quanto sono specializzate nel dare risposte devianti (droga, prostituzione, violenza sui minori, lavoro forzato, etc.) a bisogni insoddisfatti dalla società e dall’economia ufficiali.

10. La microcriminalità (in cui sono coinvolti di solito gli immigrati che delinquono) costituisce, nella maggior parte dei casi (v. lo spaccio di droghe), una propaggine visibile della macrocriminalità che predilige, invece, stare al coperto. L’ingresso nella micro-criminalità ha la sua causa prima nella crescita della povertà e dell’emarginazione all’interno delle quali le organizzazioni criminali cercano la propria manovalanza. Nel caso degli immigrati gioca un ruolo fondamentale l’essere senza un permesso di soggiorno.

11. Da tutto ciò deriva che nessuna seria lotta per sradicare la criminalità organizzata può essere condotta né dalle forze legali dell’economia di mercato, né dagli stati e dai governi capitalistici – e men che meno dal governo Lega-Cinquestelle. Il pugno di ferro contro la “criminalità” di strada, oltre che ad attizzare la guerra contro gli immigrati, serve a coprire questa scomoda verità. Ma anche lo sradicamento della micro-criminalità è, per questi stati, impossibile perché non sono in grado di estirpare né la povertà, né i processi di marginalizzazione che al contrario stanno dilagando in molti paesi del Sud del mondo, e si allargano anche in Italia e in Europa.

12. La sola forza sociale che potrà realizzare questo doppio sradicamento è quella dei proletari e degli sfruttati del Sud e del Nord del mondo, autoctoni e immigrati, organizzati e decisi a dare insieme una formidabile ripulita rivoluzionaria alle proprie società (avete presente la scopa di Vladimir Ilič?), “ripulendo” nella lotta al capitalismo anche sé stessi.

Il pungolo rosso

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