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(22 Giugno 2010) Enzo Apicella
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Il nuovo governo arcireazionario di Netanyahu

(8 Febbraio 2023)

netanyahu

“L'unica democrazia del Medio Oriente”: così i borghesi liberali di ogni conio e tutti gli stati imperialisti sono soliti chiamare lo stato d'Israele. Una spudorata menzogna, parlando di uno Stato coloniale nato manu militari dalla cacciata dei palestinesi e dall'impedimento del loro ritorno. Ma ora la menzogna diventa impresentabile di fronte al nuovo governo Netanyahu, il governo più reazionario che lo Stato sionista abbia mai avuto.

Il nuovo governo coinvolge al proprio interno tutti i partiti ultraortodossi di ertrema destra. Sia quelli nazionalreligiosi di Potere Ebraico (Ben-Gvir) e del Partito Sionista Religioso (Bezalel Smotrich), sia quelli per così dire “etnici” dello Shas sefardita (Aryeh Deri) e degli askenaziti di Torah Unita. I nazionalisti rivendicano la millenaria Torah come fonte di legge per il XXI secolo. Gli “etnici” chiedono il riconoscimento formale delle proprie regole immutate nel corpo legislativo dello Stato. Uno Stato che peraltro già nel 2018 si è codificato come «Stato dei soli ebrei».

“Una metà della Nazione studierà la Torah, l'altra metà servirà nell'esercito”, ha dichiarato un deputato della nuova maggioranza di governo. Una sintesi programmatica compiuta di confessionalismo e militarismo, di sacerdoti e di guerrieri. E anche una divisione dei ruoli: i militari difenderanno il privilegio di chi può limitarsi alla preghiera senza prestare servizio e senza pagare le tasse. Già oggi peraltro gli israeliani laici pagano il 90% delle tasse del paese, gli haredim il 2%.

Cosa significhi tutto questo è scritto nero su bianco nella dichiarazione programmatica del nuovo governo: «Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le Terre d'Israele». Il governo «promuoverà e svilupperà gli insediamenti in ogni parte della Terra d'Israele». Il riferimento ovviamente è ai territori palestinesi occupati. Il programma del nuovo governo è dunque dichiaratamente un programma di guerra contro la popolazione araba. Quella dei territori, già privata dei più elementari diritti umani (terra, acqua, abitazioni, libertà), ma anche quella che vive entro le mura di Israele, oltre il 20% della popolazione del paese. Per tutti suona la campana della guerra.

Netanyahu, sotto processo per tre gravi casi di corruzione, ha visto nell'accordo con l'estrema destra un possibile salvacondotto, mentre Biden e Putin si sono affrettati a riconoscere il nuovo governo e a complimentarsi con Netanyahu. Nessuna meraviglia. La più grande potenza imperialista è da sempre il baluardo storico del sionismo. Il regime reazionario dell'imperialismo russo e il patriarca Kyrill trovano sintonia con il sionismo e cercano con questi buone relazioni.

Eppure secondo il New York Times il nuovo esecutivo di Gerusalemme è una minaccia significativa per il futuro d'Israele, alla sua direzione, alla sua sicurezza, e persino all'idea di una patria ebraica. È la riprova che gli ambienti più avveduti dell'imperialismo temono che il nuovo governo arcireazionario di Gerusalemme possa favorire il contraccolpo di una rivoluzione palestinese e araba. Ciò che rovinerebbe i piani dell'imperialismo USA in Medio Oriente.

Di certo tanto più ora la rivoluzione palestinese e araba è l'unica risposta vera alla reazione sionista. Le vecchie litanie su “due popoli, due Stati”, cari al liberalismo borghese progressista e alle sinistre riformiste di tutto il mondo, sono tanto più oggi carta straccia. Solo la resistenza palestinese può fronteggiare l'onda d'urto del nuovo governo israeliano. Solo la distruzione di uno Stato sionista che si regge sull'annientamento dei palestinesi può restituire loro terra e diritti. Solo una rivoluzione palestinese e araba può realizzare la prospettiva di una Palestina unita e indipendente, laica e socialista, che riconosca i diritti nazionali della minoranza ebraica, dentro una federazione socialista araba e del Medio Oriente.

Partito Comunista dei Lavoratori

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