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Foibe e scuola – Di che cosa non vuole parlare Valditara?

(10 Febbraio 2023)

17 partigiani fucilati

17 partigiani fucilati a Laze, provincia di Lubiana, 1942

Quest’anno, per la prima volta da 12 anni, un governo di destra si cimenterà col Giorno del Ricordo e siamo sicuri che Valditara non mancherà l’occasione di utilizzare la data del 10 febbraio per diffondere propaganda anti-comunista e anti-partigiana.

Dal 2004 ad oggi il Giorno del Ricordo, nato per commemorare i “massacri” delle foibe e il dramma dell’esodo giuliano-dalmata, ha rappresentato l’istituzionalizzazione di un’interpretazione storica (siamo gentili a definirla tale) della questione del “confine orientale” orientata a screditare la resistenza partigiana italo-jugoslava, minimizzare i crimini del fascismo italiano e riabilitare criminali di guerra, gerarchi e collaborazionisti ora commemorati come “martiri delle foibe” (come l’allora prefetto di Zara, Vincenzo Serrentino). L’etichetta di “infoibato”, al di là delle dinamiche reali della tragedia jugoslava, è diventata così il modo facile per presentare i carnefici come le vere vittime dell’odio etnico che, secondo questa lettura, fu il vero propulsore del movimento partigiano, dipinto nelle tinte fosche di una massa contadina, troglodita ed assetata di sangue.


La rimozione dei crimini nazi-fascisti


Da quando lo Stato italiano, col consenso del centro-sinistra, ha promosso questa interpretazione come verità di fede, il percorso politico per la marginalizzazione di un approccio critico ha conosciuto stagioni alterne. Nello spirito di chi ha capito che non è sparando a caso cifre iperboliche (“il milione di infoibati” evocato da Gasparri) che si crea il consenso, il governo Draghi prima di dimettersi ha creato uno strumento che, siamo sicuri, sarà particolarmente utile al nuovo ministro. Con la stesura delle “Linee guida per la didattica della Frontiera Adriatica”, l’ex ministro dell’Istruzione Bianchi ha messo nero su bianco l’interpretazione della storia che si pretende venga insegnata nelle scuole.

Il fine è chiaro: senza smentire le esagerazioni di questi ultimi vent’anni, l’obiettivo rimane quello di ridimensionare il peso del contesto generale per presentare le foibe e l’esodo come l’epilogo di una storia di violenza nazionale anti-italiana. Nel testo, l’ingiunzione ai docenti è chiara: “Se nell’ambito di un’unità didattica sulle Foibe la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia, questa non va considerata come corretta contestualizzazione, bensì quale mera elusione.”

Dal documento spariscono le cifre delle violenze nazifasciste durante i 4 anni di occupazione della Jugoslavia (che subì 1,8 milioni di morti durante la guerra) e la complicità italiana nello sterminio dei serbi per mano degli Ustascia, ultranazionalisti croati nei cui campi di concentramento trovarono la morte quasi 350mila tra serbi ortodossi, bosniaci musulmani ed ebrei croati. Atrocità che si affiancarono ad una politica di occupazione durissima fatta di rastrellamenti, deportazioni, fucilazioni e rappresaglie contro la popolazione civile che smentisce il mito sempreverde degli “italiani brava gente”: nella sola “Provincia di Lubiana”, occupata per 29 mesi dall’Esercito Italiano, si contano 900 partigiani uccisi, 5mila civili fucilati per rappresaglia e 7mila civili morti nei campi di concentramento.

La politica anti-slava del regime fascista nella Venezia Giulia e in Istria, invece, viene ridimensionata dal ministero scrivendo che “nella medesima epoca la maggior parte dei Paesi europei dimostrò scarsissimo rispetto per i diritti delle minoranze etniche presenti sul proprio territorio”, mentre si dimentica di citare che dalla fine degli anni ’20 questa assunse i connotati di una vera e propria sostituzione etnica che favorì l’insediamento di coloni italiani politicamente fedeli al regime a scapito dei contadini sloveni e croati, che furono espropriati e assoggettati non solo politicamente, ma anche economicamente ai nuovi proprietari italiani.

La politica fascista è un elemento centrale per comprendere non solo lo scoppio del risentimento “anti-italiano” che, nel 1943, prese le forme di una rivolta contadina spontanea e non organizzata (le cosiddette “Foibe Istriane”) – repressa poi nel sangue dai nazisti – ma anche l’elemento politico dell’esodo. Dei 300mila italiani che abbandonarono l’Istria e la Dalmazia dopo il 1945, quasi la metà erano, infatti, immigrati di recente stanziamento, ovvero proprio quegli elementi scelti per “italianizzare” il Litorale adriatico.

Quello che invece resta nel “manuale” del ministero è il vittimismo centrato su un presunto tratto anti-italiano della violenza partigiana.


Il movimento partigiano


Ma perché questa storia, quella della resistenza partigiana in Jugoslavia e sul confine orientale, ancora oggi è oggetto di distorsioni, polemiche ed esagerazioni così forti da indurre un intero schieramento politico e pezzi dello Stato borghese a prendere misure politiche di questo tipo?

La verità è che quell’esperienza ha un contenuto rivoluzionario ancora così forte da indurre la classe dominante a non risparmiare nessuno strumento per provare a nasconderlo o infangarlo. La resistenza jugoslava, che fu assieme guerra di liberazione nazionale, lotta politica anti-fascista e lotta di classe per la costruzione di una società democratica e socialista, riuscì su queste basi a raccogliere un consenso di massa tra i contadini, i lavoratori, le donne, la gioventù e i popoli balcanici oppressi, andando ben oltre agli angusti limiti nazionali nei quali si vorrebbe oggi rinchiuderla. All’incubo dell’odio etnico, dello sterminio e dell’oppressione che i nazifascisti alimentarono manovrando tra le borghesie nazionali di ciò che restava del Regno di Jugoslavia, i partigiani seppero opporre una visione internazionalista, solidale e progressista di una nuova Jugoslavia da conquistarsi con una lotta rivoluzionaria. Attorno a questa idea organizzarono 800mila combattenti, di cui 200mila donne e oltre 40mila italiani che scelsero di lottare fianco a fianco coi loro fratelli jugoslavi.

Per i marxisti difendere nelle scuole l’eredità di quell’esperienza dalla propaganda della destra senza per questo cadere in letture nostalgiche del socialismo jugoslavo e del titoismo significa imparare dalla storia del movimento operaio una lezione importante per la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria tra gli studenti. Proprio ciò che Valditara non vuole. Proprio quello che continueremo a fare.

Davide Fiorini - rivoluzione.red

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