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Euromance 2011

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(17 Agosto 2011) Enzo Apicella
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    (20 Febbraio 2023)

    La marcia su Roma, Risi

    Fascisti e borghesi sostituiscono i netturbini in sciopero a Milano nel 1920. Immagine dal film La marcia su Roma di Dino Risi, 1962.

    Giovanni Berlinghieri: [urlando] Lo sciopero è una prepotenza intollerabile! È contro ogni principio civile. […] Senti un po’ qua [legge un bollettino ufficiale degli agrari della Bassa padana]: “Rotte le trattative tra la Camera del Lavoro e l’Associazione Agraria. I luoghi dello sciopero presidiati da un reggimento di lancieri. Colpiti dal boicottaggio, boicotteremo la Lega [dei braccianti agricoli]. Colpiti dallo sciopero risponderemo con la serrata, alla violenza contrapporremo la violenza. Lo diciamo apertis verbis: per certi bestiali istinti sovvertitori ci vuole la frusta!”

    Romolo Valli in Novecento, di Bernardo Bertolucci, 1976.

    Il sito del quotidiano Il Foglio, il giorno stesso della messa in atto dello sciopero indetto da alcune sigle sindacali delle aziende del trasporto pubblico a Roma e a Milano, titola così la brillante riflessione fornita da un suo “giornalista”: L’Atac è pacifista. Autobus e metropolitane ferme a Roma e Milano: “Basta armi all’Ucraina”.

    L’autore inizia a descrivere il proprio disappunto per essere “rimasto a piedi” in questi termini:

    L’autobus è spento […]. Sulla porta a bussola si affaccia un autista in semi uniforme (giubba sdrucita nonché macchiata di sugo), e ci consegna un foglietto: “Proclama di sciopero nazionale”. Anvedi. Superata l’immediata impressione che lo sciopero non abbia molto senso in quanto, in primo luogo, a Roma, non sanno proprio nemmeno farli partire gli autobus né i vagoni della metro (sicché semmai lo sciopero lo dovrebbero fare gli utenti), ecco che spingiamo la nostra dissipazione fino a leggere il contenuto del proclama.


    Cominciamo male, ci verrebbe da dire. Prescindendo dal fatto che per non prendere un cinque-meno-meno in terza media la frase “a Roma, non sanno proprio nemmeno farli partire gli autobus né i vagoni della metro” dovrebbe quantomeno suonare: “a Roma, gli autobus e i vagoni della metro non sanno nemmeno farli partire”, il “giornalista” non ci risparmia il mantra dell’“homo quisquis” – un binario morto, benché indubbiamente prolifico, dell’evoluzione dell’homo sapiens: “lo sciopero lo dovrebbero fare gli utenti”. Sciopero di che? Del pagare il biglietto del metrò? Dell’utilizzare il mezzo pubblico? Ma quello si chiama “boicottaggio”, non sciopero. Lo si può riscontrare anche nei peggiori dizionari a disposizione delle peggiori redazioni di giornale…

    È interessante poi soffermarsi sulla descrizione del lavoratore che porge all’indignato “professionista” delle belle lettere un volantino con le motivazioni dell’indizione dello sciopero: un autista con mezza uniforme, perdipiù chiazzata di sugo. Che bella immagine. Riportata – o inventata, chi può dirlo? – per suggerire al lettore l’idea che il lavoratore medio del trasporto pubblico romano sia una figura semibestiale e poco pulita. Viene da chiedersi se l’illustre “giornalista” avrebbe mitigato il suo giudizio complessivo sullo sciopero se il lavoratore in questione avesse indossato una livrea in perfetto ordine e pulizia…

    Il “giornalista” ci informa che spinge la propria “dissipazione” (cosa vorrà intendere? La propria disperazione? Lo spreco di “preziose” energie? La propria oziosità? Non sappiamo) fino al punto di leggere il volantino. E qui viene il bello:

    “Punto numero due. Motivazioni dello sciopero. Blocco delle spese militari e dell’invio di armi in Ucraina, nonché investimenti economici per tutti i servizi pubblici essenziali”. Ecco. Passi la questione degli investimenti economici per i servizi pubblici essenziali. Va bene. Ma esattamente – ci chiediamo – che cosa c’entra l’invio delle armi in Ucraina con quel carrozzone caracollante e strapieno di persone che ci deve portare, se sopravviviamo ai miasmi ascellari, da via Taranto a via del Tritone?

    Eccoci al punto – al netto delle considerazioni da “nasino delicato” circa i cattivi odori che emanerebbero le classi meno abbienti che fanno uso in prevalenza dei mezzi pubblici: perché mai le motivazioni di uno sciopero non si limitano a questioni meramente economiche ma comprendono richieste politiche? Il “giornalista” è disorientato, e anche leggermente irritato:

    Il fatto è che i sindacati dei trasporti pubblici, a quanto pare, fanno politica estera. A guardare l’autista in semi uniforme sdrucita (nonché macchiata di sugo) non si direbbe. Ma è proprio così. Questi pensano di fare politica estera.


    Ovviamente il “giornalista” non si risparmia l’accusa a buon mercato rivolta a chiunque sia contrario alle guerre imperialiste: di essere al servizio, consapevole o meno, del nemico – in questo caso nientemeno che di Putin –; nonché la pelosa retorica della compassione per le vittime ucraine della guerra – compassione che, considerata la sua provenienza, la sua autenticità e i suoi scopi, emana un tanfo più nauseante della somma di tutte le ascelle proletarie di questo mondo.

    Assurdo! “Questi” (i lavoratori sindacalizzati, bifolchi e sporchi) hanno persino la pretesa di dire la loro sulla politica estera italiana! Gente che vive di salario, ignorante, appartenente ad una classe sociale che produce con il proprio lavoro la ricchezza del Paese, vorrebbe mettere il becco negli interessi imperialistici della classe che quel lavoro sfrutta e che di quella ricchezza dispone. Veramente assurdo. Ma non più di quanto lo sia al giorno d’oggi definire “giornalisti” dei pennivendoli che non sanno scrivere un pezzo senza fare 12 errori in una frase di 6 parole; che non rileggono quello che scrivono e che pubblicano la loro immondizia contando sul livello di sciatteria generale. Imbrattacarte a servizio pieno che si arrogano il diritto esclusivo di dissertare su questioni che a loro dire sarebbero “troppo complesse” per dei lavoratori considerati come subumani. Beh, non siamo d’accordo. A nostro avviso i subumani sono i parassiti che vivono sulle spalle della classe operaia e che si convincono che il proprio servile affaccendamento al servizio della classe dominante abbia qualcosa a che vedere con un “lavoro”.

    Ma non si creda che le nostre considerazioni siano rivolte solo al Foglio. Sullo stesso tema il pregiatissimo Corriere della Sera scrive:

    … il sindacato di base Usb, nella sua “piattaforma”, ha chiesto ai lavoratori dell’Atac di scioperare affinché Zelenski non riceva più neanche una cartuccia italiana. L’appello, che potrà sembrare (sempre all’apparenza) [qualcosa che “sembra all’apparenza”? e perché non che “appare all’apparenza” o che “sembra sembrare”? Un bel 4 pieno! – Ndr] un po’ putiniano, per fortuna non è stato raccolto da macchinisti e controllori di bus e metro. […] Roma nel frattempo ha funzionato per lo più come sempre, cioè con una certa confusione e qualche disservizio. Adorabile città[1].

    Pur dovendo riconoscere a tutti gli effetti che lo sciopero non è stato un successo, riteniamo che avrebbe costituito comunque una vittoria se anche solo fosse riuscito ad impedire ai pennivendoli ad un tanto a riga dei giornali borghesi di raggiungere la greppia che chiamano redazione. Ahinoi! In ogni caso esiste Internet… almeno finché i lavoratori, subumani impataccati, permetteranno che funzioni.

    Il clima di disprezzo classista sempre più aperto e ostentato nei confronti della nostra classe è figlio della condizione di debolezza in cui si trova da decenni.

    Un primo passo per rovesciare questa condizione è riconoscerla, e abbandonare i lamenti, le urla e le patetiche coreografie che per decenni hanno accompagnato la disfatta del movimento operaio, semmai accelerandola e approfondendola. È ora di svegliarsi, di mettersi seriamente al lavoro per ricostruire la coscienza organizzata del proletariato.

    Negli “articoli” dei prezzolati della carta stampata per ora prevalgono lo scherno, la derisione, il disprezzo per la classe operaia. Un giorno saranno la rabbia e l’odio di classe a prevalere – lo sappiamo – e nei giornali della borghesia le invocazioni all’uso della “frusta” contro la “prepotenza intollerabile” dello sciopero sostituiranno completamente il sarcasmo da due soldi. Vorrà dire che la nostra classe si sarà ripresa la propria dignità e che le chiacchiere sui padroni del mondo che sono dove sono perché se lo sono “meritato” non la incanteranno più.

    Gli “intellettuali” da caffè letterario la chiameranno “invidia sociale”, ma si tratterà soltanto di un odio di classe speculare a quello che condividono con i loro committenti. Che continuino pure ad alimentarlo nel proletariato, ad istigarlo; si incaricherà il marxismo – in chi non lo tradisce – ad incanalarlo, a temprarlo, a trasfonderlo in quella consapevolezza sociale che agli intellettuali borghesi è preclusa, per farla finita una volta per tutte con il putridume capitalistico dal quale germinano e nel quale si avvoltolano con evidente piacere.

    Rostrum

    NOTE

    [1] Lo sciopero dei conducenti Atac un flop, Zelenski avrà le armi (e si continueranno a pagare le bollette per luce e gas), sito internet dell’edizione romana del Corriere della Sera, 18 febbraio 2023.

    Circolo Internazionalista "Coalizione Operaia"

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