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Terremoto in Turchia-Siria

Potenza della tettonica - Impotenza del capitale

(26 Febbraio 2023)

Da "Il Partito Comunista" n. 420

Erdogan

Il Destino e gli uomini

“Quello che è successo è successo. Era nei piani del Destino” - Erdogan


Nella letteratura islamica, il destino, incluso tra i precetti della fede durante il periodo omayyade, è definito approssimativamente come la convinzione che tutto ciò che è accaduto e accadrà proviene da Allah, che nulla può accadere al di fuori della volontà e della onniscenza di Allah. Secondo l’Islam sunnita chi non accetta i precetti della fede non è considerato musulmano.
Parole simili a queste pronunciate da Erdogan ai terremotati in una delle tendopoli sono spesso usate dalla borghesia turca, in un Paese che sulla carta è musulmano al 99,8%, anche se in realtà la metà, forse più, della popolazione è musulmana non osservante, agnostica o atea. Per questo tirare in ballo il destino dà l’impressione di voler nascondere la propria negligenza e fomenta le contrapposizioni ideologiche fra le componenti religiose e quelle laiche della società.
Erdogan soffia sul fuoco equiparando le aspre critiche dei suoi oppositori ad inficiare il precetto di destino, impedendo a metà della società di contestare la inevitabilità della distruzione e della morte. Insomma, queste decine di migliaia di uomini sarebbero morte anche senza il terremoto, perché erano destinate a morire! Quel che sarà sarà, le precauzioni non contano. La televisione turca mostra i salvataggi di bambini miracolati dal fantasma della madre che guida i soccorritori sotto le macerie. Il bilancio di questo terremoto si avvicina a 50.000 morti e potrebbe arrivare a 100.000: lo sa il destino!
Se ci addentriamo a considerare la natura materiale del “destino”, delle costruzioni inadeguate, del processo migratorio incontrollato e non assistito, della discriminazione razziale e della prepotenza contro i curdi e le altre minoranze della regione, della corrotta amministrazione e meccanismi di controllo, vedremo come il “destino” ha tessuto le sue reti senza nulla di sovrannaturale. È vero, è “destino” che gli edifici, costruiti sulle linee di faglia, senza tenere conto delle conoscenze scientifiche, senza ispezioni e prove di resistenza ai terremoti, crollino come castelli di carte. Questo “destino” non cambierà finché non se ne cambieranno le premesse terrene.

La Tettonica

Il terremoto che ha colpito dieci province della Turchia e le contrade di Aleppo e Idlib in Siria, è valutato il più distruttivo di questo secolo, dopo quello di Haiti. La Turchia è attraversata da 550 faglie attive e tali disastri non sono una sorpresa. Il 66% del Paese si trova in zone sismiche di primo o secondo grado. Con il terremoto del 6 febbraio si è attivata una delle due principali faglie che l’attraversano, quella che separa la penisola arabica dall’Africa e che, insieme a quella del Mar Morto, è una delle più attive del Medio Oriente. Gli esperti si attendevano che la faglia di Pazarcik si muovesse, ma non quella di Amanos, in corrispondenza di Hatay. Né era previsto il distacco della faglia di Sürgü, avvenuto 9 ore dopo.
Si prevede un terremoto nella regione compresa fra la pianura di Amik fino al Mar Rosso in un periodo tra i 10 e i 30 anni, che interesserà parte della Turchia ma soprattutto Siria, Libano, Israele e Giordania. E gli scienziati avvertono da tempo che è in arrivo un terremoto di simile intensità ad Istanbul, proprio come quello che ha colpito la Turchia meridionale e la Siria. A Istanbul, come nelle altre 10 città in cui si è verificato il terremoto, continuano a essere rilasciati condoni urbanistici per regolarizzare edifici illegali. Il 90% degli edifici non è adatto a resistere alle sollecitazioni sismiche previste nella regione. Entro il 2023 si prevede che gli abitanti di Istanbul raggiungerà i 18 milioni. La sovrappopolazione sta rendendo questa gigantesca città sempre più decrepita e caotica. Dalla gestione di questo terremoto si può prevedere come sarà gestito il prossimo: anche il destino di Istanbul, permanendo il capitalismo, è già scritto.

La gestione capitalista dell’emergenza

Il rapporto preliminare del terremoto, che si è verificato nel distretto di Pazarcik di Kahramanmaras alle 4:17 del mattino, alle 5 era già nelle mani dei funzionari dello Stato. Il primo comunicato stampa arrivava un’ora e mezza dopo e affermava che le squadre di soccorso erano partite.
Ma, secondo i dati del governo, 40 ore dopo il terremoto soltanto 7.035 soldati erano al lavoro nella regione. Si dice che solo alla 57ª ora 16.785 militari erano presenti ai soccorsi. A quel punto, già circa 6.000 uomini, provenienti da altri Paesi con cani da ricerca e salvataggio, erano attivi a soccorrere. L’esercito era come sempre presente a Malatya, con distaccamenti a Diyarbakir e Adana, e con una brigata a Kahramanmaras. Quindi, se i reparti fossero stati inviati senza indugio, insieme alle forze locali della Direzione per la gestione dei disastri e delle emergenze (AFAD) e della Mezzaluna Rossa, molte vite avrebbero potuto essere salvate già entro le 6 del mattino. Migliaia di soldati avrebbero potuto iniziare a scavare nelle loro città.
Le squadre inviate dal governo sono arrivate ad Hatay – città che i volontari raggiungevano con i loro veicoli personali – due giorni dopo il terremoto perché le strade, dicevano, erano impraticabili. Molti intrappolati sotto le macerie non potevano essere raggiunti ed estratti, anche se la loro posizione era nota. Migliaia hanno perso la vita dopo giorni di attesa, nonostante i loro cari invocassero disperatamente le squadre di soccorso.
Ma il dolore dei sopravvissuti non si limita ai lutti. Molti edifici pubblici, ospedali, aeroporti e scuole sono inutilizzabili. In molte province i danni alle strade rendono i trasporti molto difficili. Non c’è accesso all’elettricità, all’acqua e al gas.
Le scosse di assestamento saranno forti quasi quanto le maggiori e quelle di minore intensità si faranno sentire ancora per un anno. Ci vorrà del tempo per valutare i danni e predisporre i piani di emergenza. Nel frattempo gli abitanti dovranno restare fuori dalle loro case perché anche gli edifici con danni minori potrebbero nel frattempo crollare. I superstiti della popolazione della regione, che ammonta a 13 milioni e mezzo più i migranti non registrati, sono ora senza casa e bisognosi di tutto. Le tendopoli allestite per i milioni di senzatetto non bastano.
Mobilitazione spontanea della classe operaia
Se non ci fosse stata una grande solidarietà di classe fin dai primi momenti del terremoto, la situazione oggi avrebbe potuto essere ancora peggiore. Molti da sotto le macerie chiedevano aiuto. In assenza di risposta delle istituzioni, i civili si sono riuniti in scuole e palestre comunicando tramite i social e hanno iniziato immediatamente a coordinarsi e a lavorare con efficacia. I lavoratori di molti settori, dagli operatori sanitari ai minatori, sono accorsi spontaneamente.
Proletari hanno fatto pressione sui padroni per essere inviati a soccorrere, ma spesso non è stato loro consentito. Chi disponeva di ferie annuali le ha utilizzate per consegnare aiuti alla regione o identificare i lamenti dei sopravvissuti sotto le macerie.

L’atteggiamento dei sindacati combattivi


Mentre la base più combattiva delle confederazioni sindacali come DISK e KESK è stata attivamente coinvolta nella mobilitazione, il sindacato dei lavoratori della salute di KESK e Gida-Is di DISK si è opposto, come sempre, agli attacchi razzisti contro i rifugiati. Invece gli interventi dei dirigenti opportunisti di queste confederazioni e dei loro sindacati federati in genere non sono andati oltre le visite di rito nella regione.
L’Umut-Sen, un’organizzazione di sindacati di base combattivi, ha dichiarato lo stato di emergenza e si è recata nelle zone terremotate con tutti i lavoratori disponibili. L’Umut-Sen ha avanzato le seguenti richieste: «Fare il possibile per subito salvare chi è ancora sotto le macerie; informare la popolazione sulla situazione, senza diffondere il panico né ingannare; le società telefoniche riattivino le linee agli utenti morosi; i gruppi di soccorso, istituzionali e volontari, non siano in concorrenza, senza costrizioni legali; i fondi dello Stato devono essere utilizzati senza limiti; i lavoratori delle zone terremotate siano messi in congedo amministrativo finché dura il rischio del terremoto».
Soprattutto nelle regioni con un basso potenziale di voti per l’attuale governo, gran parte della classe operaia, già diffidente, si è resa conto che lo Stato stava lasciando morire i sinistrati.
Molti lavoratori hanno donato quello che potevano, ma per lo più hanno ritenuto opportuno affidarsi a un’associazione di beneficenza fondata da un artista di musica alternativa, piuttosto che alle organizzazioni statali appositamente create.
Costruire per il profitto
Gli interi distretti di Hassa a Hatay, Islahiye e Nurdagi a Gaziantep sono costruiti su faglie. Nessuna norma edilizia lo impedisce. Secondo le indagini dei geologi si è avuta la liquefazione del terreno in parte della pianura di Amik verso Hatay e sulla costa di Iskenderun. Le strutture costruite su questi terreni non avrebbero potuto resistere a un simile terremoto.
Ma quando la natura del terreno fosse ben individuata, e le strutture correttamente progettate e costruite, e nei posti giusti, sarebbe stato assai più contenuto il numero dei morti.
La Turchia è un paese popoloso nel quale negli ultimi anni si è riversata una grande immigrazione. La popolazione è aumentata a un ritmo che le infrastrutture delle città non sono state in grado di accogliere. La difficoltà della situazione non è difficile da comprendere, ma attribuire al disastro naturale l’unica causa del gran numero di vittime, suscita indignazione in chiunque abbia studiato i terremoti altrove nel mondo e le loro conseguenze. I dati dimostrano che in regioni con la stessa densità di popolazione e simili intensità di terremoto, i tassi di mortalità aumentano in modo proporzionale alla potenza economica del paese! Cioè più capitalismo uguale più morti!

Eccessi immobiliari


L’Amministrazione per lo Sviluppo Abitativo (TOKI), un’istituzione di cui Erdogan ha assunto la direzione poco dopo essere andato al governo, si è trasformata in un centro di potere a partire dal 2004. Il TOKI ha acquisito terreni di valore a costo zero o simbolico e li ha messi in vendita con gare d’appalto.
Negli anni successivi il settore immobiliare si è sviluppato molto rapidamente. Altri paesi hanno dimostrato che un’economia basata sulla rapida crescita del settore immobiliare è destinata ad entrare in crisi. Infatti nel 2014 si è registrata un’enorme eccedenza di unità abitative in tutta la Turchia, in particolare a Istanbul. Quando le banche hanno aumentato i tassi di interesse, i lavoratori a medio e basso reddito hanno cessato di acquistare case. Ci si è quindi rivolti ad acquirenti dall’estero. Mentre i corpi vengono ancora estratti dalle macerie, i funzionari del TOKI annunciavano che offrivano trentamila appartamenti “la cui costruzione sarà già completata in un anno”.
Si sapeva che la tensione della faglia, la quale non aveva prodotto un forte terremoto da molto tempo, stava aumentando. Ma non lo sapevano gli abitanti. Il fabbisogno di alloggi per la popolazione, in rapida crescita anche a causa dell’immigrazione, faceva gola alle imprese edili. Le case di bassa qualità erano state vendute o affittate a prezzi esorbitanti agli immigrati, in fuga da condizioni impossibili. Molti immigrati erano inoltre costretti a sopravvivere in condizioni di grave povertà in strutture malsane.
La situazione della classe operaia indigena non è molto migliore, con salari che non crescono nonostante l’aumento dei prezzi. Questo ha causato un grande afflusso di masse povere nelle città. Nessuna infrastruttura istituzionale era sufficientemente finanziata per gestire un arrivo di profughi siriani di ampia portata. In molte città della Turchia tutti i servizi, dai trasporti, alla sanità e all’istruzione, è gravemente insufficiente. Le scuole sono sovraffollate, i trasporti pubblici inadeguati e insufficienti, le opportunità di lavoro limitate. Le code per i posti di lavoro sono interminabili. C’è bisogno di medici negli ospedali, di insegnanti e bidelli nelle scuole, ecc. Non sono coperti moltissimi posti di operatori in quasi tutti i settori. Le città, malsane, provocano epidemie e i disastri naturali divengono estremamente letali.
Ma il capitalismo non si preoccupa della perdita di vite umane pur di perseguire il profitto. Accomunati dalla stessa sorte in molte città, i lavoratori abitano nella case peggiori e più vulnerabili.

In Siria


Il governo di Assad non ha praticamente inviato nelle città colpite gli aiuti ricevuti da diverse parti del mondo. Si trattava di aree che il governo ritiene controllate da forze “terroristiche”. Centinaia di donne e bambini rapiti dai gruppi estremisti islamici sono stati lasciati morire sotto le macerie. Assad ha anche proseguito a sganciare bombe sulle vittime del terremoto.
Alla popolazione dell’area, che aveva già un disperato bisogno di aiuti, le Nazioni Unite hanno inviato i rifornimenti di sempre, appena sufficienti a mantenerli in vita, molti di questi nemmeno utili per far fronte all’emergenza del terremoto.
Attualmente si stima che in 5,3 milioni siano senza casa e abbiano bisogno di aiuto.
I profughi siriani
Milioni di profughi in fuga dalla guerra, entrati in Turchia legalmente e illegalmente, i quali vengono utilizzati come manodopera a basso costo e vivono in condizioni di estrema miseria, hanno subito anch’essi gli effetti del terremoto. Molti di loro sono stati sottoposti a manifestazioni di razzismo, anche da parte della polizia che li accusa di saccheggi. Si trovano a contendersi le tende con i terremotati. Essi non possono nemmeno beneficiare degli aiuti elementari che lo Stato fornisce in misura limitata e con grande ritardo. Se aggiungiamo i morti fra i migranti non registrati, che non verranno nemmeno contati, a quante migliaia assommerà il totale delle vittime?

Lezioni e conferme

Nel capitalismo, un regime sociale, nel quale i conflitti di interessi economici e gli attriti politici prendono il sopravvento su tutto il resto, la gestione delle catastrofi è sempre impostata nel modo più redditizio per il capitale.
Su entrambi i lati del confine è stato chiaro che l’urgenza di soccorrere la moltitudine di sopravvissuti era un fatto secondario. Nei primi giorni del terremoto, quando si sarebbe potuto effettuare il maggior numero di salvataggi, i due Stati interessati dal sisma, e anche altri che promettevano di aiutare, hanno ridotto al minimo i loro sforzi.
La borghesia di Turchia – che, per ridurre il numero dei disoccupati, spinge i giovani a invecchiare nelle università, negli “stage”, o a morire nelle guerre in patria e all’estero – ha tratto qualche beneficio dal fatto che migliaia di uomini sono spariti dalle statistiche a causa del Destino. Solo il partito al governo si lamenta che le sue chances alle elezioni si sono ridotte. In Siria, il regime di Assad non ha motivo di lamentarsi se un terremoto colpisce i gruppi di combattenti a lui avversi. Accaparra aiuti internazionali, e assiste a un massacro che può compiere senza sprecare bombe.
Queste catastrofi dimostrano che l’unica forza su cui tutti gli strati inferiori della società possono fare affidamento è la classe operaia. Questo terremoto ci lascia un insegnamento: sarebbe stato possibile salvare molte più vite se i lavoratori in grado di offrire aiuto professionale (tecnici, minatori, edili, sanitari, insegnanti...) fossero stati messi in grado di lasciare i loro luoghi di lavoro e avessero potuto partecipare prontamente ai soccorsi. Una organizzazione di veri sindacati di classe delle diverse categorie, se esistesse, avrebbe permesso di prepararsi in anticipo e mobilitarsi rapidamente. Ma tutto questo sotto il regime del capitale è impossibile.
Contro il razzismo, contro le condizioni di vita insalubri, contro la crisi abitativa, contro la persecuzione dei lavoratori stranieri, i proletari si devono organizzare in sindacati di classe. La risposta della classe operaia turca e siriana, schiacciata giorno dopo giorno nelle sue condizioni di vita, ai borghesi, che si disinteressano della loro stessa vita, non può che essere la lotta di classe, che ha come naturale caratteristica quella di agire collettivamente. Questa attività sindacale potrà adempiere in positivo ai suoi obiettivi sociali solo sotto il potere dello Stato proletario.
Il Partito Comunista Internazionale, che ha appreso le lezioni tratte dal dramma storico, alla luce della dottrina marxista, è la guida che alla classe operaia occorre per vivere come classe e per come classe vincere.

Partito Comunista Internazionale (il partito comunista)

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