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L'amavo troppo

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(22 Ottobre 2012) Enzo Apicella

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L’internazionale nera colpisce ancora, e colpisce con particolare veemenza le donne

(6 Marzo 2023)

Abortion is healthcare

Manifestanti per la “libertà di scelta” protestano in seguito alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare la sentenza Roe v. Wade – Los Angeles, California, 24 giugno 2022

La campagna antiabortista scatenatasi negli Usa, all’avanguardia nell’esportazione della democrazia nel mondo, va ben al di là di qualche setta di fanatici oscurantisti che vorrebbero far girare all’indietro la ruota della storia. È di qualche settimana fa la notizia del licenziamento di un giudice della Florida per essersi espresso contro le provocatorie leggi antiabortiste e discriminatorie contro i giovani LGBTQ firmate dal governatore dello stato, rifiutandosi di perseguire chi “cerca, fornisce o sostiene gli aborti”. Essa vede scendere in campo con sempre maggiore convinzione il grande capitale, che è ben consapevole della gravità della crisi che il mondo intero sta attraversando.

Una crisi che non si risolverà da sé, ma che richiede misure drastiche, già messe in atto con la guerra in Ucraina e il suo inarrestabile sviluppo. La possibilità che questo macello (di proletari di ambo la parti) prosegua, risiede nel disciplinamento e nello schiacciamento della massa della popolazione, in primis le donne, gli immigrati e la grande massa dei lavoratori salariati.

Le donne in particolare, devono essere blindate nel loro ruolo di super-sfruttate, di fattrici, di cura e sostegno di tutti quei settori di popolazione che saranno sempre meno sostenuti dallo stato, oltre che di oggetti sessuali e di premio ai vincitori nelle guerre. Perciò dovranno chinare la testa e stare zitte. Per realizzare questo obiettivo che è presente a livello mondiale, con l’avanzare della destra che non ha scrupoli di “politicamente corretto”, non basterà certo qualche predica in chiesa o qualche cartellone pubblicitario sulle gioie della maternità: stanno da tempo scendendo i campo i poteri forti.

E’ il caso delle cliniche antiabortiste degli Stati Uniti, note come “centri di crisi della gravidanza”, sponsorizzate da Google, il colosso della tecnologia avanzata, che pretende di dominare il nostro sapere e i nostri pensieri (un settore che sta iniziando a mostrare il suo lato oscuro di dispositivo subalterno al grande capitale globale. Altro che strumento di progresso ed uguaglianza universale!).

Dai dati emersi dall’esperimento di ricerca del Tech Transparency Project, le donne a basso reddito sarebbero il bersaglio privilegiato di una cricca di consultori antiabortisti.

Accade che quando una donna fa una ricerca su Google per trovare l’indirizzo di un centro dove si pratichi l’interruzione di gravidanza, viene indirizzata dall’algoritmo verso uno di questi centri anziché verso un consultorio o un ambulatorio dotato di personale professionalizzato e rispettoso della volontà delle pazienti. E la ricerca dimostra che a cadere in questa trappola sono le donne più povere, quelle che non possono permettersi di andare ad abortire nei pochi stati in cui questo è ancora consentito. L’attrattività di questi centri è data dalla loro maggiore diffusione sul territorio, per cui una persona disoccupata o a basso reddito è maggiormente persuasa a recarvisi potendo risparmiare sui costi del viaggio.

Arrivate in questi centri le malcapitate scoprono loro malgrado che si tratta di luoghi affiliati a centri religiosi e che quanto di buono hanno da offrire si limita ad un sostegno di tipo materiale (pannolini e test di gravidanza), ma quella che viene pubblicizzata come consulenza clinica si rivela essere una strategia dissuasoria rispetto alla decisione di abortire. Il risultato sarà la mancanza totale di sicurezza sanitaria e l’aborto “fai da te”, comprando magari un kit su Amazon, la solita soluzione individuale di emergenza, che, oltre ad essere ad alto rischio sul piano della salute, depotenzia l’azione collettiva delle donne per difendere i diritti conquistati con le lotte.

E’ un tipico esempio di come povertà e isolamento individuale si alimentino a vicenda, e di come sia necessario rilanciare un’azione generale e organizzata per la difesa del diritto all’autodeterminazione e ad un lavoro che possa garantire l’autonomia economica.

Dobbiamo batterci per i nostri interessi come donne e come parte della classe internazionale degli sfruttati, al di là delle ricorrenze, che ricordano, una volta ogni tanto, la condizione che subiamo 365 giorni all’anno!

Comitato 23 Settembre

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