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(Di lavoro si muore)

MUORE OPERAIO DI 30 ANNI

All’APS Arosio di Mariano del Friuli

(24 Maggio 2023)

La necessità di una nuova stagione di protagonismo operaio nella gestione diretta della sicurezza e della salute

no morti sul lavoro

Neanche 24 ore dopo l’incidente mortale accaduto nella zona di Ovaro, nella Carnia, all’operaio camionista Manuel Di Giusto, 49 anni di Gemona, un nuovo caduto sul lavoro in Friuli-Venezia Giulia. E sono sei le vittime dall’inizio dell’anno in regione, in aumento rispetto il medesimo periodo dell’anno scorso.
Torna il sangue proletario nell’industria. E sangue giovane. L’operaio 30enne Nicholas Nanut, residente nell’isontino, a Cormòns, è stato ucciso da una pressa che l’ha impigliato nella fase di chiusura. Era al turno di notte (l’incidente mortale è avvenuto alla 1:30 circa di martedì 23 maggio). Era in staff leasing. Lo stabilimento è quello di Mariano del Friuli del gruppo APS Arosio Extrusion, azienda che opera nel settore degli estrusi in alluminio.
Ucciso da una pressa, o ucciso dal ciclo produttivo? Le cause dell’incidente sono ancora sotto investigazione ma quando si parla di presse che annientano il corpo dell’umano mercificato come forza-lavoro non si può non andare a calibrare il pensiero sospettoso su quell’aspetto che è venuto a galla persino giudiziariamente nel fatto mortale di Montemurolo, nel distretto tessile di Prato, in quell’orditura dove perse la vita Luana D’Orazio due anni fa, anche lei, gioventù proletaria di 22 anni. E quell’aspetto si chiama disattivazione dei sistemi di sicurezza per far andare più veloce il macchinario, il ciclo produttivo, per realizzare gli obiettivi di produttività e dei tempi di consegna sui quali si fondano valorizzazione degli investimenti (e remunerazione di azionisti e del capitale di credito) e competizione nel segmento di mercato. E la neutralizzazione dei sensori di sicurezza non è certo un segreto per coloro che passano le ore monetizzate della loro vita nella postazione davanti alla “macchina”, specie nella catena della sub-fornitura, quel decentramento produttivo che alimenta il tessuto aziendale di Pmi di cui è pieno l’apparato industriale italiano e che ne caratterizza pure la debolezza strutturale.
Vi è anche l’aspetto della condizione di lavoratore in somministrazione, che richiama la questione dell’esperienza e delle abilitazioni operative, o il peso della turnazione notturna, queste in ogni caso sono responsabilità in carico alla direzione aziendale.
Presso lo stabilimento di Mariano si era già registrato qualche incidente al personale operaio, senza esiti nefasti. Inoltre, in occasione di un incendio ad una pressa per fuoriuscita di materiale oleoso accaduto nel 2013, l’azionista di riferimento Claudio Arosio aveva sottolineato come il fermo attività, anche per pochi giorni, volesse dire “fermare il mercato”. Una dichiarazione illuminante per quanto riguarda il senso della ritmica ergonometrica del ciclo produttivo. L’APS Arosio Extrusion, che conta una quarantina di addetti nello stabilimento di Mariano, ha in dotazione due siti produttivi in Italia (l’altro è a Porzano di Leno, nel bresciano) e un certo livello di internazionalizzazione attraverso consociate presenti sia in Europa (Germania) che negli USA.
Ma la vera questione ruota attorno al punto focale: come arginare questa genocidio silenzioso? L’Inail ci ha detto che nel primo trimestre infortuni e malattie professionali sono in aumento nel Friuli-Venezia Giulia. Nazionalmente, dall’inizio dell’anno sono morti 505 lavoratori, di questi quasi 300 in itinere. Arginare l’ecatombe delle morti e degli infortuni. Introdurre nel codice penale la previsione di omicidio per i morti sul lavoro. Sicuramente questa è una rivendicazione centrale per togliere il potere padronale dal piedistallo di eventuali impunità. Ma non è solo questione di adeguamento legislativo. Anzi, è impossibile ottenere concreti risultati in termini legislativi senza ricostruire la forza motrice capace di cambiare le relazioni tra le parti del rapporto di lavoro: la soggettività operaia. Sicurezza e salute debbono tornare ad essere gestite direttamente dalla classe operaia e lavoratrice, il soggetto direttamente interessato. Nessuna azione istituzionale di tipo ispettivo potrebbe sostituire efficacemente il ruolo del controllo operaio sul luogo di lavoro. Ricostruire aggregazioni di unità omogenee per fasi lavorative, raggrupparle a livello aziendale attraverso delegati eletti e revocabili da queste stesse unità (ci sarebbe persino la “copertura” legale con l’articolo 9 della suddetta L.300), allargare l’azione sul territorio (coinvolgendo le maestranze escluse dalla Legge 300/70), a livello di gruppo aziendale, di comparto produttivo ecc. Il sindacalismo di classe e combattivo, ovunque collocato, per essere conseguente dovrebbe iscrivere questa ipotesi di intervento nel proprio programma. Tutto questo significherebbe iniziare un percorso di mutazione di paradigma, un percorso che richiamerebbe in forma naturale il controllo dei lavoratori sull’organizzazione del lavoro e sulla produzione di ricchezza. Un processo di ricomposizione di classe, dal luogo di lavoro ad una soggettività politica di massa, una classe lavoratrice che si fa classe dirigente. Il protagonismo di classe del proletariato richiama sempre, implicitamente, l’esigenza della prospettiva di un governo delle lavoratrici e dei lavoratori.

PCL - nucleo isontino

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