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(27 Giugno 2023)
Da "Il Partito Comunista" n. 423
Cosa si aspettavano i tifosi dello “Stato di diritto” e dell’Ucraina? Pensavano che in Russia ci sarebbe stata la riconquista della “vera democrazia” per mezzo delle truppe mercenarie guidate da Prigozhin? Detta così suona come un’affermazione assai improbabile.
Eppure, per quanti odiano la rivoluzione, il crollo del fronte interno nemico in una guerra è possibile soltanto in termini di un’esplosione improvvisa e inaspettata di anarchia militare.
Seguendo la logica del male minore, molti si sono convinti, almeno per poche ore, che fra Putin e Prigozhin si dovesse scegliere fra uno dei due, magari pensando che il secondo fosse soltanto un male passeggero, affinché l’Ucraina, l’Occidente e la democrazia prevalessero a spese della Russia, anche a costo di farne “coriandoli” come prevedono e auspicano certi esperti di geopolitica e di questioni militari.
Nella guerra, il capitalismo giunto alla fase imperialista, al di là del belletto democratico e parlamentare, rivela la sua autentica natura fascista dietro ogni fronte in lotta.
Noi comunisti non scegliamo tra due fazioni in lotta per il potere in uno Stato imperialista. Certo ci rammarichiamo di non vedere il proletariato insorgere contro questa guerra, infame su entrambi i lati del fronte: in mancanza del partito questa soluzione è impossibile.
Mentre i borghesi atlantici si dispiacciono di non avere visto Prigozhin battere Putin, i partigiani di Putin vedono in quest’ultimo il traghettatore a un mondo “multipolare”, in cui sperano non ci sarà spazio per l’egemonia statunitense.
Ma devono prendere atto dell’ultimo episodio della serie in stile televisivo in cui si è svelata la progressiva abiura della rivoluzione russa dell’Ottobre 1917, la “coltellata alle spalle”, giustamente attribuita da Putin ai bolscevichi, contro la prima guerra mondiale imperialista, dello zar prima, e dei borghesi dopo Febbraio.
Diventa sempre più impossibile per il governo moscovita adottare un’ideologia di Stato che riesca ad armonizzare il presente di una federazione di repubbliche con il passato storico della Russia madre dei popoli, rivendicato in toto a partire da Ivan il Terribile, passando per Pietro il Grande e arrivando fino allo sbiadito e inetto Nicola II.
Putin non potrà cessare di essere repubblicano e zarista a un tempo, quanto il suo omologo turco Erdogan continuerà a essere moderatamente kemalista nelle forme ma ottomano nel cuore e nelle proiezioni imperialistiche della Turchia.
Non a caso entrambi i capi di Stato hanno dovuto difendersi da colpi di Stato e non a caso ogni volta che questo è successo hanno dovuto sostenersi vicendevolmente, con buona pace della secolare retorica della storia patria, che da una parte voleva sottrarre i fedeli cristiani al sultano, dall’altra difendere i buoni credenti musulmani dagli odiati “moskof”.
L’adozione di truppe mercenarie è sempre un’arma a doppio taglio. Se si riesce a rassicurare la propria popolazione mettendola almeno in parte al riparo dai lutti della guerra, i soldati di ventura sono sempre infidi e pronti a cambiare casacca: versati nel mestiere delle armi, si vendono al miglior offerente e prima del tempo abbandonano al suo destino chi non ha speranze di vittoria.
Gli equilibri di potere interni alla Russia restano instabili. La guerra si dovrà continuare con truppe decimate da pallottole nemiche e defezioni.
La ragion di Stato continuerà a essere quel paravento dietro cui nascondere l’abominio della violenza organizzata della classe dominante. Ma è possibile che un giorno la coonestata ragion di Stato, fra guerre, rivolte e stermini, venga a scadere nell’anarchia militare. Le sovrastrutture statali, istituzionali e militari mostrano già crepe e cedimenti.
Allora che cada a terra questo immondo Behemoth del capitale, il proletariato vibrerà allora il suo fatale colpo di grazia e il futuro comunista sarà di nuovo davvero a portata di mano dell’umanità.
Partito Comunista Internazionale
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