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(13 Novembre 2023)
Le riforme le fanno i padroni, e i loro servi al governo, per i loro interessi, per rendere funzionale, veloce, efficiente ed adeguato al vincolo europeo il loro sistema.
E l'architettura sovrastrutturale di questo.
Gli operai, sfruttati, non sono interessati ad alcuna riforma dello stato, ma alla sua demolizione.
Premierato, europee, referendum.
INDIFFERENZA DI CLASSE.
In ultima analisi, in tutte le formazioni economico-sociali,
la sovrastruttura, l'impianto costituzionale, giuridico, legale e parlamentare si adegua alla struttura, al movimento reale della società, e ai mutevoli rapporti di forza tra le classi.
In Europa, e in Italia in particolare, questo processo di corrispondenza vive una storica sfasatura a produrre ritardi, difficoltà, e reiterati rinvii nell'aggiornamento della macchina burocratico-repressiva dello stato.
Oggi, a fronte delle velocizzazioni di mercato imposte dalla competizione globale e dall'accelerazione nel processo compositivo della U.E., c'è la necessità sistemica di una funzionalizzazione degli apparati di comando e controllo, dentro un riequilibrio dei poteri tra governo e presidenza della repubblica, e tra magistratura e politica, nella prospettiva di un rafforzamento e stabilizzazione dell'esecutivo, e di una ulteriore marginalizzazione del parlamento.
A questo movimento reale profondo risponde l'ennesimo, “originale”, tentativo di riscrittura costituzionale del governo Meloni, condito in salsa elettoralistica Europea, e venduto ideologicamente nello “scontro” tra il populismo della “democrazia diretta” del premier eletto dai cittadini, e la difesa dell'”istituzione di ciance”, della costituzione antifascista e del manuale Cencelli contro l'”autoritarismo”.
Il testo presentato da Giorgia Meloni, destinato ad essere ampiamente rimaneggiato in parlamento e forse anche oggetto di referendum, ha dato la stura ad un fuoco di sbarramento (pronto per altro a spegnersi con qualche transumanza o accordicchio sottobanco) degli urlatori al “golpe” di fronte ad un”cancellierato” che rosicchierebbe poteri al capo dello stato trasferendoli al 1° ministro.
Al netto del tentativo evidente di “coalizzare la coalizione” di governo con lo slogan unitario della “democrazia in mano al popolo” in vista delle Europee 2024, resta la storia pluridecennale di referendum puntualmente persi dai governi.
Una sorta di boutade propagandistica inetta ad affrontare la sfasatura reale tra struttura e sovrastruttura, con l'auspicio prudente che la proposta si areni nell'iter burocratico delle camere.
Un lancio iperpoliticista a cementare crepe intergovernative, e contemporaneamente a soddisfare la voglia di “uomo forte e solo al comando” della propria base elettorale.
Resta l'esigenza di una sburocratizzazione complessiva del sistema paese in linea con le cooperazioni rafforzate Franco-Tedesche e con i 4 cerchi concentrici di adesione alla nuova U.E. dei 27.
Tematiche e riforme comunque intime alla conferma storica della democrazia borghese migliore involucro allo sviluppo capitalistico, e dello stato come organizzazione della classe dominante.
Lo scontro tra ideologie dominanti populiste-reazionarie e costituzional-progressiste è solo il riflesso di questo processo profondo ed ineluttabile, probabimente ancora una volta rinviato.
Problemi dei padroni, e dei loro lacchè, comunque mascherati.
I proletari non sono interessati a scegliere il potere migliore, o tra gli intercambiabili campi progressista e conservator-reazionario, o ancora a difendere una costituzione antioperaia figlia del lavoro salariato e del finto ripudio della guerra.
Gli sfruttati, anche se inconsapevolmente, lo hanno capito,
non votando più da anni.
Si tratta di fare un passo avanti, deciso, trasformando una disaffezione individualista alla delega in lotta di classe, in organizzazione autonoma.
SOCIETA' INCIVILE
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