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Pace, lavoro e libertà

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È il grande giorno delle tute blu

(3 Dicembre 2005)

«Vogliamo il salario». Non ci ferma nemmeno il freddo, dicono i meccanici da Torino a Melfi. Una notte in pullman, il cappuccino e un cornetto. E poi il grande corteo per il contratto

«A noi meccanici non ci ferma neanche il freddo, vogliamo il nostro contratto e lo avremo». Orgoglio operaio made in Venaria: Ugo Bargiacchi lavora per la Automotive Lighting Marelli, nel torinese, dove si fabbricano i fari delle Peugeot e del Ducato Fiat. E' delegato della Fim Cisl. «Noi illuminiamo la città», ci dice mentre si prepara a prendere il pullman che lo porterà questa mattina a Roma, per partecipare al grande corteo delle tute blu. «Noi siamo Cipputi - spiega ridendo - Quelli duri, quelli che non ci fermi. In pullman ci sono i giovani, sui 25 anni, e i più vecchi. Tutti per lo stesso motivo: vogliamo il salario. Ma con mille euro al mese che cosa ci fai?». Ugo spiega in poche parole quello che è il nodo del contendere: «Federmeccanica ci chiede la flessibilità in cambio dell'aumento: ma non ha senso, perché dobbiamo dare qualcosa in cambio? Quelli sono i soldi che ci spettano, stiamo parlando del biennio economico, del recupero del potere d'acquisto.

Noi offriamo sempre il nostro lavoro, ma adesso il costo della vita è molto più alto». Sulla stessa linea è Pina Imbrenda, che ci parla dall'altra parte della penisola: delegata Fiom Cgil alla Fiat di Melfi, insieme ai tantissimi colleghi in tuta amaranto ha animato gli ormai mitici «21 giorni» della primavera 2004. «Si parla tanto di quella rivolta, del protagonismo operaio, dell'opposizione ai metodi Fiat. Tutte cose vere. Ma alla fine, la scintilla da cosa è partita? Dal fatto che l'azienda ci ha messo "in libertà", a casa senza paga perché non c'era lavoro. E' la perdita di salario, l'impoverimento attuale, il fatto che in Fiat non abbiamo l'integrativo da dieci anni: sono tutti questi i motivi, quelli concreti, che ci spingono in piazza». E così tutti alla grande manifestazione della capitale: pullman da Rionero in Vulture, Potenza, Melfi; e dalla piana di San Nicola, proprio dall'ingresso B, che ha visto tante assemblee e i recenti scioperi della domenica notte.

Oggi Roma sarà piena di questo entusiasmo in tuta blu: i pullman e i treni si fermeranno nei tre nodi di Termini-Repubblica, Ostiense e Tiburtina, da dove partiranno tre cortei. Tutti confluiranno in piazza San Giovanni, dove diversi delegati saliranno sul palco a raccontare le proprie storie: i ritmi pesanti, la precarietà, la cassa integrazione e le delocalizzazioni, la fatica di arrivare a fine mese. Concluderanno i tre leader Antonino Regazzi (Uilm), Giorgio Caprioli (Fim) e Guglielmo Epifani (Cgil). Parteciperanno al corteo i ragazzi di Locri, in piazza anche il popolo anti-Tav.

Otto ore di sciopero per dare una svolta a una delle vertenze più difficili degli ultimi anni: i sindacati, unitariamente, chiedono un aumento di 130 euro, composti da 105 base e 25 di produttività, per tutte quelle fabbriche che non firmano integrativi. Ma Federmeccanica piange miseria, e mette sul piatto la convenienza del lavoro nei paesi emergenti, affermando che in Francia e Germania i sindacati hanno già accettato di cedere flessibilità in cambio di salario. Quello a cui punta, sostenuta dalla «casa madre» Confindustria e dal governo, è di poter gestire gli orari di lavoro senza doverli più contrattare con le Rsu: si lavora quattro giorni a settimana, o si sta a casa, quando c'è più richiesta di mercato, e sei giorni quando la domanda tira. E questo lo decide solo l'impresa. In cambio di questa «concessione», offre circa 70-80 euro al posto dei 60 messi precedentemente nel piatto. Ieri tutti i partiti del centrosinistra, da Rifondazione ai Ds, dalla Margherita ai Verdi al Pdci, hanno ribadito il loro sostegno, e molti leader oggi saranno in piazza. Dal fronte del governo, il solito, puntualissimo comunicato del sottosegretario al welfare Maurizio Sacconi: chiede per l'ennesima volta «lo scambio salari-produttività» e fa un grande elogio della legge 30.

Antonio Sciotto (IL Manifesto 2 Dicembre 2005)

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