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Allora cadeva il governo

I metalmeccanici di ieri e di oggi. Ricordi del '77, quando uno sciopero buttò giù Andreotti

(4 Dicembre 2005)

Bella e incoraggiante la giornata di ieri a Roma. Dopo giorni di pioggia c'era uno splendido sole invernale e, soprattutto, tantissimi metalmeccanici; classe operaia si diceva. Al mattino, verso le nove, sono andato a piazza Esedra, davanti a Santa Maria degli Angeli. C'erano già affollamenti di bandiere, non solo rosse, e si stava formando la testa del corteo. Presenti molti dirigenti politici e sindacali che conosco da tempo. Io stavo con Aldo Tortorella, che cercava di mettersi sempre dalla parte battuta dal sole. Sono stato anch'io alla testa del corteo per via Cavour, fino allo spiazzo di Santa Maria Maggiore, dove mi son detto che non essendo dirigente di niente avrei fatto meglio a fermarmi e osservare il corteo: meglio essere un osservatore che un finto dirigente. Sono stato lì, fermo, fino alle 11,30: il corteo era veramente lungo. Mi sono ghiacciato, ma contento di aver visto.

Vedere gli striscioni dei metalmeccanici siciliani, di Messina, di Catania, di Palermo, mi ha un po' emozionato anche se non c'erano striscioni di Agrigento, la provincia dei miei nonni e dei miei genitori. Poi tutte le province di Calabria, Catanzaro, Cosenza, Reggio. E poi ancora - erano sbarcati anche loro alla stazione Termini, tante rappresentanze della Toscana, non solo le province, ma anche Figline Valdarno, la Versilia e con qualche interruzione pugliese, anche Siena. E poi ancora Cassino. A un certo punto appare anche Savino Pezzotta, il leader della Cisl, festeggiatissimo. Le bandiere rosse e verdi spesso si confondono e fanno pensare che in questa occasione ci sia una vera unità sindacale, o, almeno, una forte convergenza.

I dirigenti che a piazza Esedra stavano alla testa del corteo, mi dicevano che questo corteo era molto meno rappresentativo di quelli in partenza dalla stazione Ostiense e dalla Tiburtina. Quei due cortei non li ho visti, ma questo di piazza Esedra non era niente male. Mentre stavo a infreddolirmi davanti a Santa Maria Maggiore, un compagno si stacca dal corteo e mi dice, «ma non ti ricordi della manifestazione metalmeccanica del 2 dicembre del 1977, giusto ventotto anni fa? Quella che era piuttosto contrastata dal Pci e dalla stessa Cgil?»

Con quel freddo non ricordo bene. Torno al giornale e mi tuffo in archivio, chiedo aiuto a trovare la raccolta del secondo semestre del 1977, anno terribile. Trovo il giornale del 3 dicembre 1977 (28 anni oggi) e rivedendo la prima pagina (che riproduciamo) mi dico che a essere stati «vent'anni dalla parte del torto» molte volte abbiamo centrato il bersaglio. Uno stralcio del titolo di testa: «La più grande manifestazione operaia di questi anni rompe gli equilibri al vertice... annuncia la crisi di governo». C'era allora, con Giulio Andreotti, un governo di quasi unità nazionale, che chiedeva di non disturbare il manovratore. I metalmeccanici disturbarono e il 14 gennaio del 1978 il governo Andreotti diede le dimissioni.

Ventotto anni fa fu lo sciopero dei metalmeccanici, reparto avanzato di tutti i lavoratori, che contrastò una unità nazionale, che diceva di voler salvare la democrazia facendone pagare il prezzo ai lavoratori.

Oggi, ieri, non siamo ancora a questo punto, ma i programmi che le forze del centro-sinistra stanno elaborando per il dopo elezioni, quando il paese si sarà liberato di Berlusconi (obiettivo primario) tuttavia non convincono molto.

Commentando lo sciopero di 28 anni fa, Rossana Rossanda, sulla prima pagina del manifesto del 3 dicembre 1977 concludeva il suo commento scrivendo: «I metalmeccanici non rompono con nessuno, ma per quanto li concerne hanno ritirato la delega. Nelle prossime settimane, la sinistra - tutta, vecchia e nuova - dovrà rispondere loro».

Il grande sciopero di ieri - con tutte le distanze da Bush - è stato uno «sciopero preventivo». Le sinistre, vecchie e nuove che siano, dovranno tenerne conto. Anche il candidato leader, Romano Prodi, dovrà farci un pensierino e, magari, dire qualcosa di impegnativo.

Valentino Parlato (IL Manifesto 3 Dicembre 2005)

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