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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Raggruppiamo le forze internazionaliste per dare una soluzione rivoluzionaria alla barbarie capitalista

Per fermare la corsa verso l’abisso, organizziamo l’opposizione alla guerra e all’economia di guerra!

(5 Luglio 2024)

palestina milano pungolo rosso

Le organizzazioni che si sono riunite nell’incontro internazionale di Buenos Aires del 24 e 25 giugno e che sottoscrivono il presente appello, inviano le seguenti conclusioni ai lavoratori e giovani di tutto il mondo.

A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, il conflitto tra i due blocchi reazionari che si affrontano in questa guerra imperialista è ancora lontano dall’essere risolto. Sia il regime di Putin in Russia che il regime fantoccio della NATO di Zelensky in Ucraina riflettono interessi capitalistici di dominio sociale e nazionale.

Almeno 110.000 persone sono state uccise nella guerra e più di mezzo milione sono rimaste ferite. Ma i combattimenti continuano in una situazione di impantamento. E al permesso delle potenze occidentali di usare il loro equipaggiamento militare per attaccare obiettivi in Russia ha corrisposto la risposta di Putin secondo cui gli obiettivi europei potrebbero essere colpiti con armi nucleari.

Macron e altri leader europei stanno avanzando l’idea di inviare le proprie truppe sul fronte dei combattimenti per evitare il collasso delle forze ucraine, che sembra sempre più probabile. Biden, Putin, Macron, Scholz e Zelensky stanno portando l’umanità a una dinamica di azioni e reazioni che ci sta avvicinando più che mai alla Terza Guerra Mondiale.

I miliardi di dollari investiti dalla NATO, che sono stati richiesti dai cosiddetti democratici e dalla sinistra, non hanno rafforzato – è evidente – la libertà, l’indipendenza e l’autonomia dell’Ucraina, ma hanno rafforzato la sua subordinazione economica, politica e militare agli Stati Uniti e all’Europa, che è il risultato finale di un furioso scontro tra gli oligarchi ucraini filo-Russia e quelli pro-NATO che, anche attraverso la guerra, ha trasformato l’Ucraina in uno stato fallito. Il recente “vertice per la pace e la ricostruzione dell’Ucraina” ha avuto come suo contenuto reale, più che i profitti della ricostruzione (che sono ancora lontani), quello di spingere i Paesi europei a rafforzare il più possibile il loro impegno diretto nella guerra.

Da entrambi i lati del confine, i regimi repressivi usano lo sciovinismo e la militarizzazione per perseguitare coloro che osano protestare contro questa folle guerra, e quanti si organizzano per difendere le condizioni di vita e di lavoro del proletariato. La tesi di Lenin del disfattismo rivoluzionario è la sola posizione che si contrappone alle mire reazionarie di entrambe le parti. Una pace che fosse nelle mani di Zelensky-NATO e del gruppo di potere di Putin avrebbe come suo costo ulteriori sottomissioni e imposizioni contro i due popoli. Solo ribellandosi contro la continuazione della guerra e insorgendo contro questi governi, i lavoratori ucraini e i lavoratori russi potranno conquistare la loro libertà dall’oppressione capitalistica e una vera pace.

Il genocidio in Palestina e la tendenza ad una guerra regionale [in Medio Oriente]

L’orrendo processo di pulizia etnica condotto dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza ha pochi precedenti nella storia. Bisogna risalire almeno alle vicende del Ruanda o dei Balcani, tutti casi che l’ipocrita “comunità internazionale” degli imperialisti non ha esitato a bollare come crimini di guerra contro le popolazioni civili.

I bombardamenti israeliani, che hanno già sganciato 75.000 bombe e granate su Gaza, hanno distrutto città, scuole, ospedali, moschee, università, e massacrato 40.000 palestinesi, per la disperazione di una massa crescente della popolazione mondiale commossa dal genocidio che [il governo] Netanyahu sta portando avanti, finanziato e assistito dagli Stati Uniti e dall’Europa occidentale. Ogni presunto limite di cui Biden ha parlato si è rivelato una bugia, ed è stata tale pure l’affermazione che un’invasione di Rafah avrebbe comportato il taglio degli aiuti americani. Anche la grande città di Rafah è stata distrutta, e gli aiuti occidentali continuano a sostenere Israele. Né i voti dell’ONU, né le sentenze della Corte internazionale dei diritti dell’uomo hanno cambiato la situazione.

L’operazione, tuttavia, non è considerata un successo neppure dai suoi stessi esecutori. Non ha salvato tutti gli ostaggi detenuti dalla resistenza palestinese negli ultimi otto mesi, e soprattutto, nonostante le devastazioni su larga scala, non è riuscita a spezzare la capacità operativa di questa resistenza. La continuazione della lotta palestinese tra le macerie, nonostante l’assedio militare impedisca gli aiuti umanitari più essenziali, il carburante e le forniture energetiche, alimenta in tutto il mondo le iniziative per sostenere la lotta dei palestinesi e la sua enorme dignità ed eroismo.

La tendenza di Israele a trasformare il genocidio di Gaza in un conflitto regionale, comprese le operazioni in Iran, Libano, Siria e Yemen, è solo in parte in linea con l’ obiettivo dell’imperialismo statunitense di riorganizzare i rapporti di forza in tutta la regione, come si è cercato di fare, in altro modo, con i cosiddetti “accordi di Abramo”. Lo scambio di missili tra Israele e Iran, per quanto limitato o di bassa intensità possa essere stato, mostra senza dubbio quanto la situazione sia vicina allo scoppio di una guerra più ampia. Le forze statunitensi ed europee hanno funzionato e funzionano anche come ausiliari di Israele negli scambi missilistici con l’Iran o negli scontri con gli Houthi. Finora hanno limitato lo scoppio di una guerra aperta a causa dei limiti posti dallo stesso imperialismo statunitense, timoroso per il possibile esito di una tale guerra. Il fatto è che la causa palestinese è abbracciata dalle masse [medio-orientali], nonostante l’atteggiamento apertamente collaborazionista della maggior parte dei regimi politici borghesi del Medio Oriente. Un conflitto generalizzato può destabilizzare gli stessi alleati dell’Occidente nell’area.

Non esiste alcun campo capitalista democratico, multilaterale o antimperialista.


Un altro punto che caratterizza l’azione degli Stati Uniti, così come la recente riunione del G7, è la preparazione delle ostilità con la Cina, l’armamento di Taiwan per rafforzare la sua difesa e fungere da eventuale base navale e militare delle operazioni contro la Cina, e la formazione di un accerchiamento navale [della Cina] insieme ai paesi alleati – primo fra tutti il Giappone, con il suo piano di riarmo accelerato.

Questi tre Paesi – Israele, Ucraina e Taiwan – sono stati definiti da “Genocide Joe” Biden i punti centrali della riorganizzazione internazionale che [la sua amministrazione] ritiene necessaria per garantire “libertà e democrazia”, il che è un eufemismo per indicare il sistema malato delle relazioni internazionali che ha come centro il suo Paese. Il dominio degli Stati Uniti nel mondo sta conoscendo una ritirata. Sono stati costretti ad innalzare barriere protezionistiche sempre più alte per cercare di preservare ciò che resta della loro industria, e per cercare di rendere l’America “Great Again”. Il dollaro sta perdendo forza come valuta comune mondiale, come è espresso dall’apprezzamento relativo dell’oro. Le obbligazioni del debito statunitense perdono valore. Anche la loro quota del prodotto mondiale lordo è diminuita. Gli Stati Uniti hanno subito battute d’arresto politico-militari in aree di intervento prolungato come l’Iraq, l’Afghanistan e la Siria. Ma, nonostante ciò, rimangono ancora la più grande potenza capitalista del mondo, e non intendono rinunciare pacificamente alla loro posizione di potenza dominante.

L’aumento delle guerre segna la tendenza verso una guerra mondiale. Un secolo dopo, la storia dà ancora ragione al rivoluzionario Lenin, che vedeva nel sistema imperialista una situazione crescente di catastrofi, guerre e rivoluzioni, e torto al riformista Kautsky, che immaginava una globalizzazione imperialista pacifica, che avrebbe superato le tensioni tra nazioni. Le grandi potenze capitaliste stanno cercando di trovare una via d’uscita dalla crisi capitalistica, dalla sovrapproduzione e dalla caduta del loro saggio di profitto attraverso il saccheggio attuato con mezzi militari. La spesa bellica è ai suoi massimi storici. Ma ci possono essere ancora molte crisi, e l’attuale configurazione delle forze [a scontro] non è affatto l’unica possibile.

Trump, che è favorito nei sondaggi per tornare alla Casa Bianca, è favorevole ad un accordo con Putin, a dividere l’Ucraina in aree di influenza per concentrarsi sul conflitto con la Cina. Lo stesso vale per l’estrema destra, che è cresciuta nel Parlamento europeo ed è coinvolta dai partiti tradizionali in accordi parlamentari di governo al di là e al di sopra dei supposti “cordoni sanitari” [contro le destre estreme]. Gli Stati Uniti hanno agito negli ultimi anni per rompere l’Unione Europea, hanno accolto la Gran Bretagna della Brexit come partner preferenziale e fatto saltare in aria il gasdotto Nordstream, con un atto di guerra contro l’industria tedesca e l’economia tedesca come parte della guerra contro la Russia. Che la presidenza della prima potenza mondiale sia ancora una volta contesa tra due vecchi criminali di guerra con una lunga storia di corruzione personale, che hanno avuto ampie opportunità di mostrarsi nemici del loro popolo e del mondo intero, è anche un segno fisico del carattere senile e decadente della democrazia imperialista.

L’arretramento delle forze che hanno guidato l’Unione europea per decenni è una conseguenza dell’esperienza accumulata dalle masse. L’Unione europea è stata ed è un meccanismo istituzionale per la protezione degli interessi capitalistici, contro i proletari di tutti i paesi membri, con un di più di oppressione riservato ai paesi più deboli, come abbiamo visto in Grecia con la crisi del debito e le imposizioni della Troika alla Grecia, e cioè alla massa dei lavoratori greci di allora. Oggi, l’orientamento dell’austerità e dell’inflazione imposto dalla politica guerrafondaia dell’UE ha logorato la maggior parte dei partiti e dei governi che l’hanno promosso. Il rafforzamento della pressione imperialista da parte della Francia e di altre potenze europee per trovare una via d’uscita dalle loro difficoltà, ha portato a nuovi scontri militari con i governi che rifiutano il colonialismo francese in Africa, così come ad una ribellione nella colonia della Nuova Caledonia. Respingiamo l’Unione europea come organismo imperialista, non dal punto di vista del “sovranismo” che promuove una politica imperialista maggiormente autonoma [dagli Stati Uniti], ma dal punto di vista della lotta contro di essa per i governi operai e per l’unità internazionale dei lavoratori in Europa e nel mondo intero.

La divisione del mondo in “democrazie” e “totalitarismi” è pura propaganda. Ciò che esiste nella realtà sono le rivalità inter-imperialiste e gli scontri per la spartizione del mondo, a cui partecipano tutti gli Stati capitalisti. È in difesa dei loro profitti che si combattono le guerre e si scatenano catastrofi, non per ragioni riguardanti ideali o valori.

Bisogna chiarire che immaginare i cosiddetti paesi “emergenti” o BRICS come un centro di trasformazione dell’ordine internazionale contro i paesi imperialisti [storici] è un errore. Questi paesi non costituiscono un fronte omogeneo. L’India è un partner militare degli Stati Uniti nelle sue azioni militari preparatorie contro la Cina, in teoria il suo partner all’interno dei BRICS. Il Brasile di Lula ha accantonato qualsiasi piano di cooperazione regionale in un momento di estrema pressione degli Stati Uniti sull’America Latina.

Gli oligarchi della Russia e i burocrati della Cina hanno creato enormi imprese capitaliste in collaborazione con gli imperialisti dell’Occidente e i loro attuali scontri [con i paesi occidentali] riguardano solo il modo in cui vengono realizzati e divisi i profitti. Associare le potenze capitaliste governate dal Partito Comunista cinese o dall’oligarchia di Putin a un’impronta antimperialista o al passaggio a un mondo “multilaterale” di relazioni orizzontali tra le nazioni e di minore oppressione nazionale, è completamente falso. Questi regimi sono profondamente oppressivi nei confronti delle loro classi lavoratrici, delle minoranze nazionali e delle nazioni vicine.

Il processo di restaurazione capitalista a Cuba non ha portato ad alcuno sviluppo economico. Al contrario, si sta mettendo in atto un tremendo piano di austerità contro i lavoratori, che contrasta con i privilegi dei burocrati, degli uomini d’affari e dell’industria turistica. Ci opponiamo all’embargo degli Stati Uniti e agli attacchi imperialisti contro Cuba, che non possono essere, però, una scusa per fare passi verso un’economia capitalista e per l’oppressione del popolo [cubano]. Sosteniamo le autentiche esplosioni sociali contro la miseria e gli abusi avvenute a Cuba, e chiediamo la liberazione di quanti sono oggi in prigione per la ribellione contro la fame dell’11 luglio 2021.

L’unità e la solidarietà dei popoli sfruttati dall’imperialismo non verranno certo per mano dei governi del capitale. Come hanno dimostrato i governi capitalisti oppressivi dell’America Latina o del Medio Oriente, i capitalismi e le borghesie nazionali non sono in grado di affrontare le potenze imperialiste, né di portare a termine i compiti democratici. Solo l’unità socialista degli oppressi e del proletariato internazionale può adempiere davvero a questi doveri storici.

Crisi capitalistica, guerre e offensive antioperaie

La fase delle guerre, delle offensive contro la classe operaia e delle politiche di austerità che è in corso nel mondo non è una versione moderna delle dieci piaghe bibliche. Tutti questi fenomeni hanno un’origine comune nella crisi aggravata del sistema capitalista.

La crisi capitalistica del 2008, che ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti, a differenza delle precedenti crisi con epicentro in periferia, non è mai stata completamente superata. Stiamo assistendo a una lunga recessione, che ha avuto solo dei temporanei momenti di pausa. Gli enormi salvataggi di banche, fondi finanziari e società private da parte dello stato nel 2008 e nel 2020, hanno lasciato un livello estremo di indebitamento negli Stati e nelle aziende, senza ripristinare i precedenti livelli di profitto e produttività. Gran parte delle aziende capitaliste negli Stati Uniti sono zombie, con livelli di debito tali da non poter essere restituiti, tenute in vita da una politica di sussidi statali e di veri e propri salvataggi.

Questo indebitamento è la radice delle politiche di austerità che colpiscono i servizi pubblici, le pensioni e i salari. Lo stesso vale per l’enorme spesa militare, che è un respiratore artificiale che guida l’economia capitalista a spese dello Stato.

La crescita economica e il commercio mondiale sono diminuiti drasticamente, mostrando una tendenza alla recessione alla scala internazionale. A questo si aggiunge la forte inflazione internazionale che ha preceduto la guerra [in Ucraina]. Il rallentamento dell’economia domina il mercato mondiale. La crescita economica cinese, che per molti anni ha agito come una “locomotiva”, si sta progressivamente sgonfiando. La possibilità di una depressione economica internazionale è esacerbata dalla ripresa di politiche protezionistiche su scala sempre più ampia.

Le guerre sono il metodo per eccellenza del sistema capitalista, perché sono in grado di distruggere la sovrapproduzione di merci e la capacità produttiva in eccesso esistenti a livello globale. La guerra è l’estensione dell’azione degli stati in difesa delle rispettive borghesie nazionali, attraverso l’intervento statale nell’economia, le guerre commerciali e il protezionismo, fino al saccheggio e al controllo della ricostruzione delle nazioni devastate.

Polarizzazione sociale e volatilità politica

I governi capitalistici di tutti gli orientamenti politici, siano essi conservatori, populisti, “progressisti” o reazionari, stanno cercando di scaricare la crisi capitalista sulle condizioni di vita dei lavoratori. Questa polarizzazione sociale e concentrazione economica ha portato a crescenti scontri sociali, che hanno dato origine anche a cicli di ribellioni popolari. Abbiamo avuto cicli di forti scontri sociali in Francia nelle periferie delle grandi città, che hanno fatto seguito alle grandi rivolte contro la polizia razzista negli Stati Uniti nel 2020, alla primavera araba, alle eroiche rivolte in Iraq e in Iran e alle ribellioni latinoamericane del 2019-2022. Abbiamo anche fenomeni di grandi scioperi operai come non si vedevano da anni in Francia, Germania, Inghilterra o Stati Uniti, anche se si è trattato di scioperi rimasti al livello sindacale. Recentemente, una straordinaria rivolta popolare in Kenya è riuscita a rovesciare una legge fiscale aggressiva dettata dal FMI che il governo aveva approvato in parlamento.

In questa sequenza di scontri sociali, è stata erosa la capacità dei regimi politici e in particolare dei partiti borghesi tradizionali di governare e contenere le spinte di massa. Pochi governi sono stati in grado di rinnovare i loro mandati o addirittura, in molti casi, di portarli a termine. Tra ribellioni, colpi di stato e caduta di governi, si sono messe insieme nuove forze, in molti casi improvvisate o incentrate su singoli candidati o outsider. Abbiamo assistito all’ascesa di forze di centro-sinistra e dei nazionalisti “popolari” nelle successive “onde rosa” latinoamericane, che oggi hanno un punto forte nella vittoria di Claudia Sheinbaum in Messico.

La decomposizione del sistema politico borghese tradizionale ha anche generato un crescente movimento di ultradestra o di una destra sempre più aggressiva, che ha un forte interesse nel ritorno di Trump alla Casa Bianca, nella vittoria di Milei in Argentina, o di Meloni in Italia così come nei risultati del partito di Marine Le Pen in Francia, che ha portato Macron a indire elezioni anticipate. Queste forze costituiscono un blocco eterogeneo in termini di posizioni economiche e relazioni internazionali. Ma hanno due punti in comune, che sono intimamente legati.

In primo luogo, l’estrema destra è a favore della radicalizzazione dei metodi repressivi per perseguitare e spezzare il movimento operaio, la sinistra e i movimenti degli oppressi. Non hanno truppe d’assalto civili nello stile del fascismo classico o del nazismo, né sono riusciti a imporre regimi monopartitici. Ma esprimono la tendenza della democrazia capitalista a generalizzare lo spionaggio, la repressione e la persecuzione legale su larga scala. Milei in Argentina è espressione di questa tendenza. Il suo governo vuole distruggere l’avanguardia della classe operaia prima che questa riesca a costruire un’opposizione di massa in grado di sconfiggere il suo governo. Per questo ha instaurato un regime di repressione, spionaggio, persecuzione legale e mediatica contro il movimento piquetero, contro la sinistra e, in particolare, contro il Polo Obrero e il Partido Obrero. L’incarcerazione di militanti operai e di sinistra in Turchia dopo le manifestazioni del Primo Maggio, le decine di procedimenti penali contro il SI Cobas e il movimento dei disoccupati “7 novembre” in Italia, dimostrano che questa tendenza alla persecuzione giudiziaria contro i militanti rivoluzionari della classe operaia è un fenomeno internazionale. Anche in Ucraina, dove il giovane Bogdan Sirotiuk è stato imprigionato da Zelensky, come molti altri, per essersi definito trotskista. Chiediamo di affrontare tutti questi episodi di repressione con una campagna di solidarietà operaia internazionalista contro ogni militante perseguito o imprigionato dallo Stato.

In secondo luogo, tutte le forze della destra estrema, comprese quelle che provengono direttamente dal nazismo e dal fascismo del XX secolo, sono fanatiche sostenitrici dello stato sionista di Israele e del governo Netanyahu, che sta portando avanti la pulizia etnica a Gaza. I partiti di estrema destra sono stati i sostenitori delle ipocrite marce “contro l’antisemitismo” che cercano di intimidire il movimento che si oppone in tutto il mondo al genocidio sionista.

I due aspetti sono collegati. Israele è in sé stessa l’espressione di una reazione assoluta. È l’avanguardia dell’imperialismo. E nelle sue azioni violente contro il dissenso interno e il popolo palestinese, è il modello da emulare per tutti i piccoli candidati dittatori. Non è un caso che Milei abbia chiuso la sua campagna elettorale sventolando la bandiera israeliana. È illuminante che il principale sostenitore di questa esemplare azione militare dell’ultradestra nel mondo sia in questo momento l’ala “democratica” e “progressista” della borghesia imperialista statunitense che fa capo alla amministrazione Biden.

Il carattere apertamente reazionario e concentrato del genocidio in corso a Gaza ha generato anche la reazione opposta. La lotta contro il genocidio in Palestina è stata fatta propria da settori della gioventù e del proletariato in dozzine di paesi dando vita ad un movimento di massa radicalizzato come non si vedeva da decenni. Importanti iniziative operaie sono state intraprese per ostacolare le operazioni militari della NATO in Ucraina e Palestina. L’estensione dell’occupazione delle università negli Stati Uniti a sostegno della Palestina è simile a quella del movimento contro la guerra del Vietnam nel 1968 e si è diffusa anche a settori del movimento sindacale, cosa che non accadeva in passato.

Data l’esperienza storica che abbiamo alle spalle, è un terribile e ingiustificabile errore usare la minaccia dell’ultradestra per rilanciare fronti di collaborazione di classe con la borghesia “democratica” con la scusa di “affrontare il fascismo”. Infatti i cosiddetti “progressisti” si sono dimostrati [ripetute volte] impotenti a fermare l’ultradestra. Hanno finito, anzi, per proteggerla e arrendersi ad essa, spianando la strada alla sua crescita e al suo accesso al potere. Non ignoriamo [affatto] l’ascesa dell’ultradestra e delle correnti fasciste anche all’interno degli Stati Uniti, con l’appoggio di settori della borghesia alle formazioni fasciste. Ma il fascismo, ovunque riesca a riemergere, può essere sconfitto solo dal fronte unico della classe operaia e delle organizzazioni popolari delle masse oppresse, con scioperi, manifestazioni di massa e unità nella lotta. Il recente tentativo di colpo di stato in Bolivia dimostra che l’unico strumento a nostra disposizione per schiacciare queste offensive è l’appello allo sciopero generale e alla mobilitazione indipendente della classe operaia. Il disastro e la regressione delle condizioni di vita provocati dalle differenti varianti democratiche del dominio borghese sono i fattori che generano l’ascesa dell’ultradestra, non certo i mezzi per sconfiggerla.

La formazione di un Nuovo Fronte Popolare in Francia, che fa rivivere la vecchia formula dei fronti di collaborazione tra le classi, è una nuova proposta per legare la reazione operaia e giovanile contro l’estrema destra ai vecchi apparati riformisti e parlamentari in una prospettiva politica nazionalista e sciovinista. Il Nuovo Fronte Popolare si forma “contro Le Pen” e come tale mira implicitamente a competere con Macron per vedere quale dei due blocchi [che si oppongono al RN] avrà il primo ministro e per formare un governo insieme. Proprio mentre Le Pen è stata in grado di incanalare [la rabbia contro] il logoramento di un regime di austerità, attacchi ai lavoratori, ai pensionati, agli immigrati, impegnato nella promozione della guerra imperialista. Il modo per seppellire l’ultradestra è quello di organizzare i lavoratori in modo indipendente dallo stato, non di promuovere il loro allineamento alla socialdemocrazia e ai partiti tradizionali che sono stati la spina dorsale permanente dell’Unione Europea dell’imperialismo, dell’austerità, della guerra e della NATO.

Raggruppare la sinistra rivoluzionaria e internazionalista

La barbarie generata da questa fase del capitalismo decadente non si limita affatto alla repressione statale, alle guerre e alla povertà. Di fronte alla stagnazione della produttività, la ricerca [a tutti i costi] del profitto capitalista in altri settori trasforma il traffico di droga, la prostituzione e la tratta di esseri umani in grandi industrie, con conseguenze sociali disastrose. Il razzismo, la doppia oppressione delle donne in quanto donne e in quanto lavoratrici, la persecuzione delle persone LGBTQ, riappaiono in forme virulente come l’ideologia della difesa dei privilegi delle classi dominanti e dello status quo capitalista minacciato dalle sue stesse crisi. Sosteniamo le lotte delle donne lavoratrici e del collettivo LGBTQ per i loro diritti lavorativi e civili e per una reale uguaglianza.

L’organizzazione anarchica della produzione [sociale] sulla base del profitto aziendale e della competizione tra aziende invece che della pianificazione della produzione per il bene comune, è il quadro per lo sviluppo del riscaldamento globale e di altre espressioni del disastro ambientale che questo sistema sociale sta generando. Milioni di persone vivono senza le condizioni basilari di urbanizzazione, di trasporto e di igiene che lo sviluppo dell’umanità rende possibili e che un’economia pianificata renderebbe disponibili a tutti.

Ma di fronte a questo presente distopico, tutta la storia del movimento operaio, l’analisi scientifica della realtà e un bilancio della nostra esperienza internazionale di lotta ci danno un ottimismo rivoluzionario che ci rafforza e ci sostiene nella lotta. La forza della classe operaia e degli sfruttati si sta facendo strada, insorgendo contro le condizioni dello sfruttamento e contro i governi dei suoi nemici di classe. Esprime la necessità storica di superare una situazione insopportabile.

In questi anni centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a battersi, in ribellioni e movimenti di massa. In Francia abbiamo assistito al più importante sciopero generale dal 1936. Le grandi mobilitazioni per George Floyd negli Stati Uniti nel 2020, o quelle che hanno rovesciato Mubarak in Egitto sono tra i movimenti di lotta più massicci nella storia dell’umanità. Migliaia di altre manifestazioni hanno cercato di cambiare il sistema sostenendo forze politiche che parlano in nome del “socialismo”. Le direzioni della sinistra integrata nel sistema, insieme a quelle della burocrazia sindacale integrata nello stato, hanno svolto in modo sistematico il ruolo di smobilitare e integrare nel regime politico le ribellioni e le richieste di trasformazione sociale, e persino di rivoluzione, di queste migliaia di giovani e di lavoratori. I DSA negli Stati Uniti, Boric in Cile, Petro in Colombia, tra molti altri, sono riusciti ad incanalare questi aneliti di trasformazione sociale all’interno del sistema, cooptando organizzazioni di lotta e producendo amare frustrazioni a queste esperienze di ribellione.

Questo processo di integrazione nello stato ha fatto un nuovo balzo proprio nel momento in cui la catastrofe capitalista è stata messa a nudo di fronte a milioni di persone, con l’estensione delle guerre imperialiste di saccheggio.

Nel 2022, di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, gran parte delle organizzazioni che si dichiarano rivoluzionarie ha preso posizione abbracciando uno dei due schieramenti reazionari a scontro. Nascondendosi dietro la menzogna secondo cui le truppe organizzate dalla NATO sono compatibili con la lotta per l’”autonomia” o l’”indipendenza nazionale” [dell’Ucraina], hanno costituito di fatto la gamba sinistra della iniziativa militare dell’Occidente per penetrare nell’Europa orientale, come variante della sua campagna di giustificazioni democratiche. Alcuni fantasticano su una guerra “duale” che sarebbe da un lato imperialista e guidata dalla NATO, che non sostengono, e dall’altro di liberazione nazionale, che sostengono. Ma tale dualità esiste solo nelle loro teste. Il regime di Zelensky è indipendente dalla NATO come il Vietnam del Sud lo era dalle potenze occidentali. Sul fronte opposto, un’altra parte della sinistra ha usato argomenti campisti per sostenere l’invasione russa dell’Ucraina, che chiaramente non ha alcun obiettivo progressista.

Nel 2023 l’insurrezione della resistenza palestinese e il successivo inizio del genocidio nella Striscia di Gaza, che hanno generato una significativa reazione di massa in tutto il mondo, non sono riusciti a trovare una risposta omogenea nelle forze di sinistra. C’è chi ha risposto con il pacifismo, e chi ha preso le distanze dalla resistenza palestinese anche tra coloro che chiedono il cessate il fuoco e la fine dei bombardamenti.

È un grave errore rifiutarsi di dare sostegno ad un popolo oppresso e alle sue organizzazioni quando si scontrano con l’imperialismo e la sua enclave, lo Stato sionista, giustificando la propria posizione in nome delle profonde differenze strategiche e programmatiche che separano i rivoluzionari dalle organizzazioni religiose o nazionaliste. Dove c’è una lotta nazionale, come c’è senza dubbio in Palestina, i rivoluzionari possono battersi per conquistare la direzione di questa lotta e condurla alla vittoria con una strategia socialista, solo sulla base della piena partecipazione a tutte le fasi della lotta. In ogni caso i rivoluzionari mantengono sempre la loro indipendenza dalla classe dominante e usano la propaganda apertamente socialista per essere in grado di costituire, per i popoli oppressi, un’alternativa all’ipocrisia dei leader islamisti e nazionalisti reazionari del Medio Oriente. Noi internazionalisti facciamo parte di un movimento generale e scegliamo di stare dalla parte dei popoli oppressi e del loro diritto di difendersi con tutti i mezzi a loro disposizione per condurre questa lotta contro l’imperialismo e le sue progenie.

In termini di sostegno incondizionato alla resistenza palestinese, molte organizzazioni di sinistra si sono schierate a destra delle migliaia di studenti che occupano le università contro il genocidio in corso. E anche tra i membri delle organizzazioni più solidali con la Palestina, pochissimi capiscono quanto sia decisiva l’insurrezione generale delle masse sfruttate del mondo arabo e mediorientale per la vittoria della causa palestinese.

Queste molteplici contraddizioni hanno continuato ad accrescere la frammentazione nel campo dell’estrema sinistra. C’è perfino chi sostiene Zelensky e allo stesso tempo condanna Netanyahu, fingendo di ignorare l’esplicito filo conduttore che lega le due imprese militari sostenute dalla NATO, le cui voci di bilancio vengono discusse congiuntamente nei parlamenti e nei vertici dei paesi imperialisti.

Abbiamo bisogno di uno strumento del proletariato per lottare per una strategia rivoluzionaria che possa condurre alla vittoria le nostre lotte, le nostre prossime ribellioni. Abbiamo bisogno di una forza proletaria che sia in grado di contrastare la violenta campagna di brutalizzazione e di sciovinismo con cui la borghesia vuole intossicare le popolazioni.

Ci siamo incontrati, abbiamo discusso, abbiamo preso risoluzioni e iniziative comuni, praticato la solidarietà proletaria, in un crescente numero di organizzazioni che, pur avendo differenze politiche e provenendo da tradizioni diverse, si riconoscono in un campo comune di internazionalismo e di indipendenza [di classe] davanti ai problemi politici centrali della attuale scena. Possiamo continuare ad avanzare in questa pratica unitaria per compiere un balzo in avanti nel raggruppamento degli internazionalisti. Facendolo, daremo senza dubbio il nostro contributo alla costruzione di partiti di lotta proletari e dell’internazionale rivoluzionaria di cui abbiamo bisogno per trasformare le nostre lotte in vittorie.

– Stop immediato alla guerra NATO-Russia in Ucraina! Il nemico è in casa! Unità dei lavoratori su entrambi i lati del confine. Abbasso i governi responsabili della guerra!

– Stop immediato del genocidio a Gaza, Palestina libera! Sostegno alla resistenza palestinese! Fermare ovunque l’oppressione nazionale, razziale, etnica e religiosa! Per un boicottaggio internazionale dei lavoratori nei confronti di Israele.

– Libertà per i prigionieri politici in tutti i paesi! Fine della persecuzione del movimento operaio, della sinistra e dei movimenti contro la guerra.

– No alla corsa agli armamenti e all’economia di guerra! Salute e istruzione gratuite per tutti!

– Contro le riforme antioperaie del lavoro e delle pensioni!

– Per una scala mobile dei salari in modo da evitare che l’inflazione distrugga le nostre condizioni di vita.

– Nazionalizzazione sotto il controllo operaio delle industrie che chiudono o effettuano licenziamenti di massa. Condivisione dell’orario di lavoro senza intaccare i salari. Lavorare meno, lavorare tutti!

-Abbasso l’Unione Europea imperialista. No al sovranismo nazionalista. Per la fraternizzazione dei lavoratori di tutta l’Europa e della Russia contro la guerra imperialista.

– No alle ingerenze imperialiste in Sudan, nel Congo Kinshasa e ovunque! Condanniamo l’ingerenza colonialista francese nell’Africa occidentale e le ingerenze di tutte le grandi potenze nel continente.

-Indipendenza di Porto Rico, della Nuova Caledonia e di tutti i territori coloniali.

– No all’oppressione dei curdi! Per il diritto all’autodeterminazione di tutti i popoli oppressi!

-Abbasso i dittatori reazionari del Medio Oriente! Lotta di classe contro ogni spargimento di sangue a sfondo razziale e religioso! Viva il Medio Oriente socialista!

– Abbasso il nazionalismo sciovinista e la xenofobia! Viva l’internazionalismo proletario!

– Per una società senza sfruttamento e senza guerre, di armonia tra uomo e natura!

– Per i governi operai, la rivoluzione sociale anticapitalista e il socialismo internazionale.

Proletari di tutti i paesi e oppressi di tutto il mondo, uniamoci!

Partido Obrero – Argentina (PO)

Tendenza internazionalista rivoluzionaria – Italia (TIR)

Corrente della Nuova Sinistra per la liberazione comunista – Grecia (NAR for Communist Liberation)

Partito socialista dei lavoratori – Turchia (SEP)

Forza 18 ottobre – Cile

pungolorosso.com

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