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(11 Luglio 2024)
Una delle caratteristiche prioritarie, dei regimi totalitari e del fascismo in Italia, fu la tendenza a permeare e modellare, a proprio uso e consumo, tutti gli aspetti della vita delle persone, in pratica dalla nascita fino alla morte. Lo studio, l’educazione giovanile, la vita sociale, familiare, lavorativa, la propaganda finalizzata alla costruzione del perfetto “bravo italiano” fedele ai valori patriottici e identitari (Dio, Patria e Famiglia), di presunta “etnia italica” (scientificamente inesistente, ma spacciata con pseudo criteri razionalistici …sic), svolsero una funzione che nell’immaginario mussoliniano, doveva essere la base di consenso popolare, per la perpetuazione di determinati valori ai quali tutti e tutte, dovevano assoggettarsi, facendo al tempo stesso opera di isolamento, condanna, repressione fino alla sparizione fisica, di tutti coloro che si opponevano al regime. Questo avvenne anche nella condizione lavorativa, in quella abitativa specie a Roma, nella “capitale dell’Impero”, attraverso un programma di edificazione edilizia e di costruzione di veri e propri “villaggi” in quella che divenne la prima periferia della città, anche come variazione con “piani particolareggiati” del Piano Regolatore dell’epoca (datato 1931), dove furono nei fatti collocati (i maligni dicono ”deportati”, con lusinghe, sussidi e incentivi di varia natura, come la promessa di case popolari e di occupazione stabile), i “rimpatriati” e gli “italiani all’estero”, di fatto gli emigrati o come fu per chi abitava nelle adiacenze del centro storico, sottoposto a profonde opere di ristrutturazione, esaltate anche in questo aspetto, la città-vetrina del regime fascista, verso zone lontane, come avvenne con i progetti edificatori a Torre Gaia (Villaggio Breda), al Quarticciolo, alla Garbatella, al Tufello, nonché al Trullo, con la “Borgata Ciano”, intitolata a Costanzo Ciano, “l’eroe della beffa di Buccari”.
Il ruolo e la funzione degli Istituti per le case popolari (IFACP): gli Istituti furono strumentalmente utili e funzionali alla causa fascista, in ogni occasione in cui fu richiesto, anche con finanziamenti disposti dalla Cassa Depositi e Prestiti (al Trullo con un finanziamento pari a 300 milioni di lire dell’epoca), mutui agevolati, finanziamenti con leggi ad hoc promosse dal Ministero per Gli Affari Esteri (come la legge 965 del maggio del 1939, con l’Istituzione di una Commissione speciale permanente per il rimpatrio degli italiani all’estero, la CO.R.I.), con un coinvolgimento che non si limitò alla mera accettazione e acquiescenza ai desideri del Governo fascista, ma ne divenne strumento per la loro realizzazione. Come fu per i programmi di “deurbanamento”, la campagna per “l’autarchia dei materiali e delle forme architettoniche”, quella per lo sviluppo delle nascite e della prolificità, tramite sussidi, incentivi economici e appunto, agevolazioni sulle assegnazioni nelle case popolari nei quartieri, villaggi, borgate di nuova progettazione e costruzione.
La questione dei RIMPATRIATI” e gli aspetti di selezione, ri-collocazione lavorativa e di quella abitativa: fu una delle campagne su cui il regime mussoliniano, fece molto leva, soprattutto nella prima fase del suo insediamento in Italia, nella fase di consolidamento del regime e in quella pre-bellica, con attività di impulso nelle varie comunità italiane sparse nel mondo. Già nel 1923, con l’istituzione dei FIE (Fasci Italiani all’Estero), fu programmata la fase di collegamento e mantenimento di contatti con l’Italia fascista, delle persone che, con famiglia a carico, avevano lasciato il nostro Paese in cerca di fortuna, lavoro, integrazione in altri contesti per sfuggire alla miseria, alla disoccupazione, se non alle varie persecuzioni politiche e successivamente, razziali (dopo le leggi del 1938). I FIE, divennero gradualmente lo strumento di diffusione a livello propagandistico dell’immagine del regime e del modello e stile di vita “fascista” nel mondo e nelle comunità italiane all’estero (nel 1939, si contavano all’estero 487 fasci italiani all’estero, 42 istituti sanitari, 212 Case d’Italia, 332 Dopolavoro, 148 scuole materne, 143 scuole elementari, 43 scuole medie,202 doposcuola, da Il Messaggero 17giugno 1939).
Si ricorda che l’istruzione elementare era divenuta obbligatoria, già nel 1882, con la “legge Coppino” ma nelle scuole del Regno, la dispersione scolastica e l’abbandono dopo i primi anni di scuola elementare, di molti ragazzini per essere utilizzati al lavoro e dare sostegno economico alle famiglie, portò a percentuali elevate di abbandono degli studi elementari obbligatori; il regime fascista, anche tramite i FIE, cercò di colmare questa carenza, nell’ambito del processo di ideologizzazione dell’educazione, anche istituendo scuole e dopolavoro, soprattutto nella fase pre- bellica e nel contesto di campagne coloniali (“libro e moschetto”). Anche nel linguaggio, era stata vietato il termine “EMIGRATI”, si doveva utilizzare quello di “ITALIANI ALL’ESTERO” e di “rimpatriati”, con una funzione di riconciliazione con i nuovi valori del regime, con le persone che per varie cause, in varie epoche, avevano lasciato l’Italia, con una selezione dei soggetti, basta su criteri di gradimento politico, occupazionale-lavorativo, familiare e condotta morale, ovviamente secondo i valori incardinati dal regime stesso. In questa seconda fase, dal 1929 in poi, più che alla repressione e isolamento degli antifascisti considerati “italiani traditori”, si puntò al loro CONTROLLO e al loro ISOLAMENTO dal contesto delle comunità, anche se non mancarono i classici episodi di violenza anche omicida, come fu il caso famoso dell’assassinio in Francia, dove erano molto attivi nella comunità italiana in esilio a Parigi e Marsiglia, i fratelli Rosselli. La valutazione discrezionale, in base a quei criteri che attribuivano una specie di “patente di buon italiano”, era fatta dalla CO.R.I., che valutava le persone, secondo l’aspetto della identità e fedeltà ai valori fascisti, l’iscrizione al FIE non era considerato elemento essenziale ma importante per l’accettazione dei nuovi valori e stile di vita del modello fascista, quindi dal punto di vista politico, dal punto di vista familiare con condotta valutata come ”irreprensibile”, “dignitosa”, moralmente e “cristianamente coerente” (ndr i Patti Lateranensi, il primo accordo tra STATO ITALIANO E MONARCHIA SABAUDA E LO STATO PONTIFICIO e la CHIESA CATTOLICA, dal 1870 congelati dopo la liberazione di Roma, fu infatti stipulato nel febbraio del 1929), dal numero di componenti della famiglia regolati da legale matrimonio (viste con sospetto convivenze o regimi di separazione di fatto “more uxorio”, anche in presenza di figli-figlie riconosciuti…) e con favore sia per le famiglie numerose, che per l’occupazione e attività lavorativa, specie in settori strategici (tra cui guarda caso, quelli collegati al settore della produzione a fini militari, figure di operai specializzati, con attività commerciali o nel mondo dei trasporti, specie ferroviari e marittimi). Ciò in caso di esito positivo avveniva tramite SUSSIDI e incentivi economici e provvidenze, per i rimpatriati o italiani provenienti dall’estero, che accettavano di tornare in Italia, con una valutazione che aveva la seguente graduatoria: rimpatrio immediato (chi aveva valutazione positiva su tutti e tre i criteri politico, lavorativo-occupazionale e specializzazione, familiare con condotta morale coerente con i valori fascisti), rimpatrio rimandato (connazionali che senza eccellere nei 3 requisiti, si erano comportati da “buon e bravo italiano” e potevano riprendere il loro posto di lavoro in Italia) e rimpatrio ritardato (coloro che risultavano i c.d. “indesiderati” e che per ragioni politiche, morali o per lo stato di difficoltà lavorativa, ne veniva sconsigliato il rimpatrio).
La concreta possibilità occupazionale dei rimpatriati e quella abitativa: la CO.R.I., trovò malgrado le aspettative e i fondi disponibili, la campagna di propaganda per il ritorno degli italiani dalle comunità estere in Italia (si stima che si trattò, tra persone fuoriuscite e contattate quantificate in circa 1.300.000 connazionali e le persone non rientrate che si erano parzialmente integrate con i Paesi di emigrazione, di un movimento di circa 500.000 italiani, famiglie comprese), EBBE MOLTE DIFFICOLTA’ NEL GARANTIRE UN’OCCUPAZIONE AI RIMPATRIATI E UNA CASA ALLE LORO FAMIGLIE.
Molti dovettero accontentarsi dei sussidi e delle provvidenze economiche, anche a titolo di sussidi straordinari. Solo con la guerra, tale rigida selezione fu abbandonata, allargando le maglie dei rimpatri, con un aggravio di costi per il mantenimento, anche perché per far fronte alle spese familiari e anche con tenore di vita modesto, come fu anche per l’esperienza della borgata – villaggio Ciano o borgata del Trullo, una parte degli affitti per delle case popolari e di quelle, ancora più modeste di case popolarissime, era in gran parte a carico dei rimpatriati, con una percentuale che decresceva a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare. Anche per l’assegnazione delle case, diventava difficile con il solo sussidio, pagare l’intero affitto pure per le case “popolarissime” e mantenere la famiglia per il vitto e le spese minime di vestiario.
Quindi la propaganda fascista che idealizzava come un privilegio tale condizione di rimpatriato o proveniente dall’estero, era solo una finzione, più a livello di immagine che di corrispondenza alla realtà e questo avveniva anche e, soprattutto per la vicenda abitativa, oltre al citato problema occupazionale. Tale fallimento divenne evidente con il R.D.L. 703 DEL 1941, dove il SERVIZIO DI ASSISTENZA E COLLOCAMENTO DEI RIMPATRIATI e famiglie al seguito, passò alle DIPENDENZE DIRETTE DEL COMMISSARIO PER LE MIGRAZIONI E LA COLONIZZAZIONE. Al punto tale che poi l’intera operazione del rimpatrio di connazionali nel nostro Paese, fu gestita direttamente da Mussolini, preoccupato dall’andamento negativo a livello di immagine, della tenuta e mantenimento dei valori incarnati dal regime da lui creato, specie nel concetto di “Patria”, dove MAI SI SAREBBEROA BBANDONATI I “FRATELLI” (ndr…i FRATELLI D’ITALIA…) al proprio destino “in terra straniera”.
Le politiche edilizie e le prime assegnazioni degli alloggi, anche di nuova costruzione: nel 1939, furono assegnati nei primi mesi 138 alloggi popolari e 130 popolarissimi, di fattura più modesta e in economia rispetto a quelli definiti “popolari”, in tutto divennero 468 alloggi. Anche destinati prioritariamente ai rimpatriati o a coloro che furono di fatto deportati dai quartieri smembrati del centro storico dell’epoca alla città di Roma, tra cui 240 alloggi di DONNA OLIMPIA 2. Il piano programma di IFACP, con Presidente dell’Istituto Calza Bini, prevedeva investimenti e acquisizioni di terreni a Torre Gaia, Quarticciolo e STAZIONE DELLA MAGLIANA, (39 ettari tra fosso di Affogalasino e la marrana di Papa Leone), sulla riva destra del Tevere. La località, formata da una serie di vallette nel quadrante sud ovest della città, prese subito il nome di MONTI DEL TRUGLIO O TRULLO, in contemporanea sia per la progettazione che per l’esecuzione, alla zona del Tufello (che prese il nome dal materiale tufaceo utilizzato in via autarchica, come elemento prioritario per la costruzione dei primi alloggi e reperibile sul luogo). Già a luglio del 1939, il nome fu cambiato e intitolato come detto a Costanzo Ciano, prendendo il nome di VILLAGGIO CIANO, con i primi 336 alloggi. La zona del Trullo, era già abitata da poche famiglie di operai e di impiegati, fin dal 1936, stendendosi tra via della Magliana e via Portuense. Dalla caratterizzazione viticola e agricola originaria del luogo (si pensi al nome che prendevano e ancora oggi hanno, alcune vie come VIA DI VIGNA CONSORTI e VIA DI VIGNA GIRELLI…), divenne ben presto modificata verso un assetto INDUSTRIALE, analogamente a Torre Gaia (oggi VI Municipio), dove sorse il VILLAGGIO BREDA, con costruzione di alloggi popolari e popolarissimi per dare abitazione agli operai e impiegati della fabbrica meccanica Breda.
Anche al Trullo, pur in condizioni di tenore di vita e di risorse salariali ed economiche che rimasero sempre modeste, si sviluppò una certa INDUSTRIALIZZAZIONE, con l’installazione della fabbrica e stabilimento MACCAFERRI, imprenditore bolognese, che vi impiantò la produzione di filo spinato, che dava lavoro a cica 500 operai. La stessa zona era favorevole, anche per le vie di comunicazione specie ferroviarie, con la ROMA-CIVITAVECCHIA, LA STAZIONE DI MAGLIANA, LA LINEA DELLA METROPOLITANA FERROVIARIA e della E-42, oltre a vie di comunicazione verso le città del nord Italia, con installazione in Emilia sempre di proprietà dell’imprenditore Maccaferri, di impianti nel settore siderurgico. La zona era poi dotata già di acqua potabile e di energia elettrica, che ebbe ulteriore impulso per gli allacci di condutture per l’acqua e la distribuzione delle acque chiare e del collettore per la raccolta delle acque nere per lo scarico delle fogne (con lavoro di costruzione di un collettore risanando la marrana di Papa Leone), nonché per la costruzione fatta in tempi rapidi malgrado le difficoltà negli appalti e la realizzazione delle opere rispetto al progetto originario, di centralina elettrica. Fu inoltre dato impulso dal Ministero della DIFESA, di spazi con caserme (ancora oggi presenti sul territorio su via del Trullo con possibile recupero e riutilizzo a fini sociali, polifunzionali e di alloggio in assistenza per l’endemica “emergenza abitativa cittadina”) e distaccamento del GENIO MILITARE, CON ANNESSI IMPIEGATI CIVILI DIPENDENTI DAL MINISTERO. Tali caserme furono usate come deposito di materiali rotabili e ferrosi, anche di tipo bellico (cannoni, mezzi cingolati…).
Inoltre la posizione era strategica anche per gli ulteriori collegamenti con la ferrovia ROMA-LIDO, e quella verso TERMINI, anche con la E-42, dove trovarono lavoro parecchi abitanti della borgata e del Villaggio Ciano.
La struttura architettonica della borgata e del Villaggio CIANO: il progetto fu elaborato dagli architetti ROBERTO NICOLINI e GIUSEPPE NICOLOSI. Si basava su criteri per l’epoca innovativi e coerenti con la distribuzione orografica della zona, una serie di vallette anche se con pendenza poco più alta del livello del fiume Tevere (sulla cui riva sinistra, sorse poi il quartiere di Magliana e Magliana nuova, anche al di sotto del livello del fiume) anche se connotata da elevata umidità, utilizzando due modelli tipo base. (QE E CS), riuniti in serie a formare anche accoppiamenti di palazzine di due o tre piani “fuori terra”, con moduli aperti e con favorevoli condizioni di orientamento degli alloggi. I primi 336 alloggi, avrebbero occupato la parte sud ovest del quartiere, tra via del TRULLO e VIA VENTIMIGLIA, INTERSECATE DALLA VIE PITIGLIANO, VIA SARZANA E VIA BRUGNATO. Costruzioni in muratura di tufo, strutture murarie portanti in conglomerato di pomice, solai in cemento armato e pignatte di conglomerato di pomice, con opere di rifinimento accurate, anche nei servizi sanitari e nei bagni di cui erano dotati sia il tipo QE che quello CS (tazza, lavabo e doccia….non ci stava il bidet, considerato un lusso di origine esterofila – francese anche nel nome e contrario al carattere nazionalitario…pure dei bagni e servizi igienico sanitari!). Nel 1940, l’impegno del Presidente dell’Istituto Calza Bini, che fu ricevuto direttamente da Mussolini, portarono ad un consistente investimento della Cassa Depositi e Prestiti, del valore di 300 milioni di lire dell’epoca, con contributo statale del 3% per i mutui, per un progetto finale di circa 11.000 alloggi, più circa 1400 alloggi ulteriori (convenzione Bottai del 1936), oltre a 2000 alloggi con convenzioni con il Governatorato dell’epoca, che furono sottoscritte nel 1941, bloccate da due anni. Il progetto prevedeva nel marzo del 1940, un ulteriore ampliamento della borgata per altri 1700 alloggi, sempre con la copertura di CdP (Cassa Depositi e Prestiti) e del mutuo aperto con fondi statali, operazione che fu osteggiata e in parte bloccata dai proprietari locali dei terreni, che non volevano espropriazioni d’urgenza e rimborsi per loro poco soddisfacenti, anche in virtù del fatto che la zona NON ERA PREVISTA DAL PIANO REGOLATORE CITTADINO DEL 1931, tanto è vero che per aggirare gli ostacoli urbanistici, furono approvati sempre in via d’urgenza, dei PIANI PARTICOLAREGGIATI DI ZONA, revisionando anche il progetto originario del 1940, sul totale degli alloggi. Ampliamento che fu terminato dopo la guerra.
L’INAUGURAZIONE DEL 24 MAGGIO 1940 DELLA BORGATA, LA CERIMONIA UFFICIALE CON MUSSOLINI PRESENTE, IL 27 OTTOBRE 1940: L’inaugurazione fu fatta il 24 maggio del 1940, in tempi velocissimi rispetto all’epoca pre dichiarazione di guerra, ma la cerimonia in pompa magna fu fatta il 27 ottobre 1040 (il giorno prima della data della “marcia su Roma”), con la presenza di Mussolini, che fece visita ai rimpatriati che abitavano gran parte degli alloggi costruiti e che entrò anche in alcuni appartamenti per vederli direttamente, in via Pitigliano, rilasciando in segreto commenti severi, assimilando gli appartamenti alle caserme…Fu un evento che ebbe vasta eco sulla stampa, ma che se posta con altri interventi di edilizia popolare (a Primavalle e al Quarticciolo), erano all’avanguardia sia per i criteri moderni che per le allusioni all’architettura razionalista di tipo fascista (per confronto si vedano gli edifici dell’Università La Sapienza di Roma), con la sperimentazione di edifici in linea con giochi aperti di pieni e vuoti sulle facciate e la previsione di ballatoi, con impatto estetico per l’epoca gradevole e che usciva fuori dal grigiore cittadino di altri quartieri, specie se confrontata con le costruzioni e insediamenti edilizi degli anni 60 e 70 non solo sul territorio municipale (oggi Municipio XI Arvalia-Portuense), ma nello sviluppo urbanistico della città, frutto di speculazioni edilizie e di arricchimenti nel settore anche con proventi e finanziamenti di natura poco “ortodossa”.
All’epoca date le famiglie numerose, appartamenti di 50 o 90 mq erano affollati e poco funzionali, oggi con la ridotta composizione dei nuclei familiari, il fatto assume altra rilevanza. Specie perché l’edilizia irregolare e privata, anche soggetta a forme di abusivismo edilizio poi “sanate” o condonate, in qualche modo, aveva posto questa zona e la borgata quasi in situazione di accerchiamento, insediamenti quasi abusivi a Via Monte delle Capre o le speculazioni a via di Montecucco (con una cementificazione di box per auto e magazzini e nuove palazzine), a sinistra e a destra della borgata del Trullo, che ne fa una caratteristica della zona, pur lamentando da sempre i servizi, specie quelli di trasporto, insufficienti e la carenza di infrastrutture per l’epoca, luoghi di ritrovo esclusi quelli delle organizzazioni fasciste e giovanili e la chiesa (oggi la chiesa di San Raffaele a via Ventimiglia) o di scuole.
La carenza dei servizi: infatti l’unica linea di trasporto la 225, cambiò percorso rispetto a quello originario, che collegava Portuense alla Magliana, deviò per raggiungere la fermata, si faceva il tragitto a piedi fino a via San Pantaleo Campano alla PARROCCHIETTA, creando grossi problemi di mobilità e di raggiungimento delle zone centrali della città. La prima scuola elementare del Villaggio Ciano fu ricavata nel lotto XI, l’unico bar da uno scantinato al lotto 1, su impulso dell’OMNI (Opera Nazionale per la maternità e l’Infanzia) nel 1942 fu aperto un consultorio pediatrico con 1 medico specializzato.
In pratica a parte la Maccaferri, chi trovò occupazione presso le vetrerie San Paolo, nell’edilizia, nelle ferrovie come ausiliari o nei cantieri della ferrovia metropolitana e nei cantieri della E-42, che doveva collegarsi verso Termini o in lavori saltuari, concretamente “SI TIRAVA A CAMPARE”.
Episodio lampante, nel 1941, lo sfratto di circa 300 famiglie dell’Istituto IFACP, quasi tutte di rimpatriati, per insolvenza nel pagamento di fitti e mutui, che portò all’interessamento della Chiesa e dello stesso Mussolini.
In pratica il tenore di vita e la difficoltà di ottenere forme di promozione sociale e lavorativa stabile, rimase sempre modesto e con alti livelli di disoccupazione e di scarsa scolarizzazione. Né la situazione mutò con l’occupazione nazista della città e della zona, con i corollari di limitazioni e restringimenti della vita personale e l’installazione a Monte delle Capre e Montecucco di batterie antiaeree e l’occupazione delle caserme e deposti del Genio Militare.
Ci fu in quella fase la rottura con il fascismo, che molto aveva promesso e poco dato in concreto, con la ripresa del nome originario, di Borgata del Trullo, per la presenza nei pressi del Tevere di un “TRULLIO”, sepolcro romano appartenuto a una ricca famiglia del I secolo A.C., della zona Porta Portuense…e dopo la resistenza antifascista, che fu attiva anche in questa borgata, si arriva ai giorni nostri…ma questa come si dice, è un altro capitolo di questa storia.
A cura di Roberto Martelli (Usi 1912)
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